Lo chiamavano Jeeg Robot
La notizia dell’anno non è che il cinema italiano sia tornato a fare scintille. La notizia dell’anno è che in Italia ancora c’è qualcuno che non se ne vuole accorgere. Non c’è altro modo, infatti, di valutare la scelta di non proporre Lo chiamavano Jeeg Robot alla selezione degli Oscar per il miglior film straniero. Peccato, perché portando a Los Angeles questa perla di Mainetti finalmente avremmo scosso gli americani dal torpore, dimostrando loro cosa vuol dire fare un vero film di supereroi nel 2016. Altro che Civil War.
The Hateful Eight
Con il suo ottavo film, Quentin Tarantino è diventato grande. Ma sul serio. Sia dal punto di vista della sicurezza del racconto, sia da quello della confidenza assoluta con il linguaggio di genere. Con Hateful Eight, che scala la classifica dei suoi migliori film fino al podio, Tarantino ha finalmente dimostrato che cosa vuol dire essere un grande regista: avere uno stile e imporlo agli spettatori realizzando un film totalmente tarantiniano senza cadere per niente nella tarantinata e arrivando a sceneggiare qualsiasi cosa, finanche la tua pisciata nell’intervallo.
Into the Inferno
Quando si parla di documentari Werner Herzog è una certezza. Con la sua voce metallica e quella sua pronuncia teutonica dell’inglese, il tedesco quest’anno ha sformato due grandissime perle. La prima si chiama Lo and Behold ed è un viaggio al termine del sogno tecnologico contemporaneo, la seconda, ancora più incredibile, si intitola per l’appunto Into the Inferno e ci accompagna drittti dritti di fronte alla nostra piccolezza e contingenza. Un documentario che sarebbe piaciuto un sacco a Giacomino Leopardi. Da far vedere ai technottimisti e alle loro meravigliose sorti e progressive.
È solo la fine del mondo
Uno dei migliori film dell’anno scorso si intitolava Mad Max ed era la prova che si può fare un film perfetto e fantastico senza usare praticamente nessun ingrediente narrativo. Quest’anno uno dei migliori film dimostra l’esatto opposto. Si intitola Juste la fin du monde, è scritto e diretto da Xavier Dolan e riesce a tenerti incollato alla poltrona per 97 minuti senza usare praticamente null’altro che piani ravvicinati e parole. La cosa divertente è che Dolan non ha nemmeno 30 anni, l’età in cui qui da noi si fa, quando va bene, gli stagisti, ma può già mangiare in testa a registi che hanno il doppio della sua età.
Mine
Due registi italiani di 35 anni che realizzano il proprio primo lungometraggio lavorando con gli americani? Qualche anno fa sarebbe stata una fantasia, e anche piuttosto ridicola. Il 2016, invece, ha dimostrato che si può fare. Il film in questione si intitola Mine, l’hanno scritto e realizzato Fabio Guaglione e Fabio Resinaro, è stato prodotto in America e ha dimostrato come nel nostro paese ci siano ancora idee fresche e grandi talenti. C’è un solo immenso problema: l’Italia è ancora il paese dove qualcuno ha ancora il coraggio di far finta di niente e continuare a buttare soldi producendo parafilm di Aldo, Giovanni e Giacomo o nelle baracconate dei vari Castellitto, Virzì, Tornatore e compagnia bella.