Il mito dei sindaci? Ucciso da politica e inchieste

Mentre torna in auge il Mattarellum, sembra finita l'epoca d'oro dei primi cittadini. Da Renzi alla Raggi, restano in piedi le velleità di pochi. Come il progetto di Pisapia

L’uomo della provvidenza che prende Palazzo Chigi e risolve i problemi con la bacchetta magica ha generalmente fallito. Che si chiamasse Berlusconi o Renzi o anche Monti. A sua volta, la leggenda dei governatori chiamati a garantire la dignità delle autonomie locali ha perso smalto in poco tempo, visto che le Regioni raramente sono diventate comunità politiche solide. Persino dopo la famigerata riforma del titolo quinto. C’è solo un mito che resiste, fra alti e bassi, nell’immaginario politico italiano: quello del sindaco. Ma anche questo, nell’anno di grazia 2016, appare in declino, stritolato nella contesa politica nazionale.

Finora, nell’Italia dei campanili, il sindaco è infatti stato l’unico uomo solo al comando che è piaciuto generalmente a tutti. I segnali che questo comando sia sempre più debole si stanno però moltiplicando. In tutti gli schieramenti. La falsa partenza della Giunta di Virginia Raggi, a Roma, è il caso più clamoroso. Era la pietra miliare della scalata del Movimento 5 Stelle al governo nazionale, la Raggi si è per ora impantanata in una serie di errori che hanno diviso gli stessi attivisti grillini. Difficoltà nel completare la squadra, nei rapporti con la stampa, nell’affermare una svolta nella gestione della città. Fino all’arresto di Raffaele Marra e alla ‘bocciatura’ del bilancio. Non che questo abbia indebolito le ambizioni del Movimento di Beppe Grillo, anche perché finora i sondaggi non annunciano precipitose ritirate. Ma di certo non sarà il nome del sindaco di Roma a trascinare alla vittoria. Sulla strada dei Cinque Stelle si è perso anche un altro sindaco-modello, Federico Pizzarotti, la cui elezioni nel 2010 a Parma aveva fatto conoscere per la prima volta la potenzialità di questa nuova proposta politica alternativa ai partiti tradizionali: fra pochi mesi si tornerà a votare e Pizzarotti è fuori dal M5S. Troppo lontano dall’ortodossia grillina.

E poi c’è Matteo Renzi, ancora lui. Perché il leader del Pd aveva dato la scalata a Palazzo Chigi presentandosi come il sindaco d’Italia. Sindaco, lo era, in effetti. A Firenze. Una garanzia di vicinanza ai problemi del territorio, alla quotidianità dei cittadini, si diceva. Ma arrivato a guidare il partito di maggioranza relativa e, poi, il governo, anche Renzi ha perso quest’aura. Ed è finito a schiantarsi nell’operazione politica meno vicina alla concretezza del sindaco. La riforma costituzionale, e le alchimie di palazzo che si portava dietro. Il mito del sindaco d’Italia è stato archiviato forse anche per questo. Persino una figura come quella di Giuseppe Sala, il sindaco di Milano chiamato appena un anno fa a radicare in una grande città proprio la narrazione renziana, si è ritrovato in mezzo al guado nei giorni della caduta di Renzi. Sala resta al suo posto, ma la sua immagine è stata messa in una luce strana dall’indagine che lo ha coinvolto pochi giorni fa, con l’accusa di concorso in falso ideologico e materiale per l’appalto della piastra di Expo 2015, l’Esposizione universale di cui è stato commissario di governo. Il sindaco si era autosospeso, poi è tornato nella pienezza delle funzioni dicendosi sicuro della sua innocenza. Ma c’è chi scommette che al prossimo sospetto, anche lui dovrà farsi da parte.

Nel centrodestra, questo problema dei sindaci non c’è. Perché nessuno di loro guida una grande città. A Venezia una figura non strettamente politica come quella di Luigi Brugnaro, che però al ballottaggio aveva avuto l’appoggio di tutta quest’area, si è persino schierata a favore del Sì al referendum costituzionale. Finiti i tempi del sindaci berlusconiani di Milano, da Gabriele Albertini a Letizia Moratti, che avevano la visibilità di un ministro, nel centrodestra restano i medio-piccoli Comuni. L’unico sindaco che faceva parlare di sé, lo ‘sceriffo’ leghista di Padova, Massimo Bitonci, è caduto poche settimane fa per uno scherzetto politico: alcuni consiglieri della sua maggioranza, soprattuto di Forza Italia, si sono dimessi. Anche questo esperimento non ha funzionato. Come non ha funzionato la candidatura a sindaco di Milano di Stefano Parisi: l’ex manager chiamato a sfidare Sala aveva riunito attorno a sé tutto il centrodestra, dalla Lega a Forza Italia agli ex Ncd, ma il suo attivismo ha finito per isolarlo da tutti.

L’Italia non è più un Paese per sindaci? Politicamente, si direbbe di sì. C’è un problema annoso di risorse, visti i tagli che tutti i governi degli ultimi quindici anni hanno fatto ai trasferimenti agli enti locali, con il risultato che i cittadini non sanno più a chi rivolgersi. E c’è un problema di rapporto con la giustizia: fare l’amministratore di questi tempi porta, nei fatti, a essere coinvolti in numerose indagini (l’abuso d’ufficio è un’accusa abbastanza diffusa) che scoraggiano a invetarsi soluzioni ardite che aggirino le difficoltà di bilancio. Qualcuno cerca di salvarsi da questo declino, e si tratta soprattutto di quei sindaci di cui si parla meno. Chiara Appendino a Torino è, al momento, il modello di pacifica amministrazione dei Cinque Stelle. Giorgio Gori lo è, a Bergamo, per il Pd. Poco rumorosi, appunto. E poi c’è il centrosinistra in senso più ampio che ha i suoi modelli sempre verdi. Luigi De Magistris a Napoli, che però rischia di fare storia a sé. E la rete che vorrebbe ricostruire un’alleanza più simile al vecchio Ulivo attorno alla leadership di Renzi: ci sta lavorando l’ex sindaco di Milano, Giuliano Pisapia, insieme ai primi cittadini di Bologna e Cagliari, Virginio Merola e Massimo Zedda. La scena però è ristretta. Non è più quella di inizi anni Novanta. La stessa scena, curiosamente, del redivivo Mattarellum.

@ilbrontolo

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