I panifici artigianali chiudono, il pane si compra nei supermercati a prezzi più bassi, e molto di quello che arriva in tavola viene importato ormai dall’Est Europa, dove produrlo costa meno. L’industria del pane in Italia è una giungla, tra scarsa qualità dei prodotti e realtà lavorative al limite della legalità, mentre gli addetti del settore, circa 80mila, da quasi due anni (22 mesi) aspettano il rinnovo del contratto nazionale di panificazione. Tanto che, per la seconda volta in due mesi, il 12 dicembre hanno lasciato lieviti e farine e indetto di nuovo otto ore di sciopero davanti alla “Casa del Pane” di Milano. E con le festività natalizie alle porte minacciano di farsi sentire ancora.
«Le feste stanno arrivando e il pane deve arrivare nelle case degli italiani. Bisogna capire che il pane di qualità passa anche dalla qualità del lavoro di chi lo fa», dice Ettore Ronconi della Flai Cgil, dopo un incontro dei sindacati (inclusi Fai Cisl e Uila Uil) con Federpanificatori e Fiesa, le associazioni degli imprenditori che invece propongono una destrutturazione del contratto. «Aspettiamo la riapertura delle trattative e una nuova convocazione a gennaio, altrimenti torneremo a farci sentire».
In Italia si contano circa 22mila imprese del pane, con una media di 3,5 addetti per attività. Oltre ai panifici, ci sono le aziende medio-grandi che producono pane a livelli industriali. «Molte sono sull’orlo del fallimento», raccontano i sindacalisti. Una delle più grandi, ad esempio, la Panem di Monza, è in crisi dal 2011. E da parecchi mesi «non riceviamo lo stipendio», raccontano i dipendenti e rappresentanti sindacali scesi in piazza.
A dare il colpo di grazia ai panifici italiani è stata la concorrenza dei supermercati, che offrono pane, solitamente precotto e surgelato, a prezzi più bassi. Spesso anche importato, dove costa di meno. Il pane fresco “come una volta” è diventato un lusso per pochi. E chi tra i panettieri cerca di sopravvivere si è dovuto reinventare, spiegano dalla piazza, allargando la gamma dei prodotti in vendita, offrendo anche caffè e cappuccini per i clienti e specializzandosi su prodotti di nicchia.
Perché intanto il consumo di pane è diminuito, toccando quest’anno il minimo di 85 grammi al giorno per persona (secondo i dati di Coldiretti), mentre il prezzo del grano duro ha toccato minimi storici. E con la paura dilagante per il glutine e i carboidrati, tra chi le intolleranze ce le ha davvero e chi no, sono sempre più apprezzati i prodotti ritenuti più salutistici, con farine particolari, dal kamut alla segale fino al pane nero con il carbone vegetale. Ma seguire i gusti dei consumatori non è semplice per un piccolo forno, mentre il consumo di pane artigianale è in costante calo.
Ogni azienda, di fronte alla crisi del settore, ha cercato di reagire alla crisi a modo suo. Ma il più delle volte si è risparmiato sul costo del lavoro. «Soprattutto nei piccoli panifici», spiegano i sindacalisti, «assistiamo sempre più alla diffusione del lavoro pagato con i voucher, o addirittura del lavoro nero». In Emilia Romagna, ad esempio, spiega Umberto Franciosi, segretario della Flai Cgil regionale, «spesso i panifici vengono dati in appalto alle cooperative, con lavoratori sottopagati e senza alcuna formazione sull’igiene, con conseguenze inevitabili anche sulla qualità del prodotto». E trattandosi spesso di lavoro notturno e faticoso, a farne le spese sono sempre più i lavoratori stranieri.
«I lavoratori del settore sono in sofferenza», denuncia Roberto D’Arcangelo, della Flai Cgil milanese. «E il mancato rinnovo del contratto non fa che aggravare questa situazione». Davanti alla crisi del settore, Fiesa (Federazione italiana esercenti specialisti dell’alimentazione) e Federpanificatori, che rappresentano solo una parte degli imprenditori del pane, hanno proposto di legare gli aumenti salariali previsti dal contratto nazionale al merito. «In questo modo si supera il contratto», denunciano però i sindacati in piazza, che temono la deregolamentazione totale del settore. Per i lavoratori, ma anche per chi il pane lo mangia. «Stiamo cercando di sensibilizzare anche i consumatori», spiegano i sindacati. «Il pane è un prodotto sensibile e deve essere di qualità. C’è pane e pane: un conto è quello fresco, un altro è quello prodotto industrialmente, non si sa quando e dove, che al supermercato viene solo riscaldato».