Comunque andrà a finire, potremo chiamarlo Patto della Paura perché è la Paura con la maiuscola l’elemento dominante di questa crisi senza precedenti il cui solo obiettivo, par di capire, è quello di fare un Renzi-bis con o senza Renzi e assicurare i tempi supplementari a leve politiche ormai con l’acqua alla gola. La “sfilata degli irrilevanti”, ieri al Quirinale, resterà come dato simbolico dell’orribile disastro combinato nell’ultimo quinquennio dai partiti. Che il Capo dello Stato sia stato costretto ad ascoltare, per un pomeriggio intero, mentre succedevano cose enormi come la bocciatura europea della proroga al salvataggio Mps, gente che a malapena distingue il bottone con cui vota da quello dell’ascensore, la dice lunga sullo stato delle cose. Quale contributo avranno dato alla soluzione del rebus Renata Bueno, capodelegazione di se stessa (Unione sudamericana emigrati italiani), oppure quelli del Ppa-Pensiero e Azione, misterioso gruppo di fuoriusciti da Idv e Pd di cui nemmeno i cronisti più attenti ricordavano l’esistenza? Ma soprattutto: da dove vengono? Chi li ha portati in Parlamento? Qual è il virus che ha consegnato la nostra democrazia a questo tipo di rappresentanza, o meglio di non-rappresentanza?
Siamo senza premier, senza governo, con il segretario del più grande partito della sinistra delegittimato dal voto referendario, quello della destra bandito per sentenza dalla vita politica, il principale gruppo di opposizione guidato da un incandidabile, oltreché senza regole per eleggere un nuovo Parlamento
Chiunque abbia visto nei tg quella sfilata di facce senza storia e senza argomenti, e chiunque oggi vedrà gli esercizi retorici dei rappresentanti dei partiti maggiori (nessun leader tranne Berlusconi andrà, la melina delle dichiarazioni è immaginabile) avrà la tentazione di dire: “‘mo basta. Per questi non si può più votare”.
E quindi il Patto della Paura, qualunque sarà, avrà un suo fondamento perché i partiti fanno bene ad essere spaventati. È ormai chiaro a tutti che hanno portato l’Italia all’empasse assoluto, costruendo una crisi che non può essere affrontata con le vie ordinarie – il voto – perché non c’è legge elettorale per il Senato e quella per la Camera è sub judice della Corte Costituzionale. E persino chi non sa niente di politica si rende conto dell’eccezionalità della situazione, perchè mai nella Prima o nella Seconda Repubblica – dove pure le torsioni non sono mancate – ci si è ritrovati senza premier, senza governo, con il segretario del più grande partito della sinistra delegittimato dal voto referendario, quello della destra bandito per sentenza dalla vita politica, il principale gruppo di opposizione guidato da un incandidabile, oltreché senza regole per eleggere un nuovo Parlamento.Fino a un mese fa, tuttavia, persino questo grandissimo pasticcio sarebbe stato considerato tollerabile, superabile, avrebbe suscitato preoccupazione ma non panico. Oggi, dopo il voto referendario, c’è qualcosa di più. L’elemento nuovo ed emergenziale scaturito dalle urne del 4 dicembre è la consapevolezza che un’alta partecipazione al voto può determinare, di per se stessa, l’affondamento dell’intera barca.
Il vecchio assetto dei partiti è rimasto tutto sommato a galla nei passaggi elettorali degli ultimi due anni, caratterizzati da una scarsa presenza ai seggi che ha incoraggiato alla continuità salvo rare eccezioni (Roma, Torino). Ma appena l’affluenza è tornata a salire sopra l’asticella del 60 per cento si è verificato lo tsunami. “Se la gente vota, ci vota contro”, si dicono le classi dirigenti. Anche se stiamo tutto il giorno in tv. Anche se monopolizziamo la Rete. Anche se arruoliamo i maghi della propaganda e spendiamo milioni in slogan e in spot. Ed è da questa convinzione, del tutto fondata, che nascerà il Patto della Paura prossimo venturo.Può darsi che Renzi ci metta la faccia oppure no, magari resterà a casa e userà le sue energie per difendere la leadership del partito e puntare al girone di ritorno. Ma la sostanza degli accordi per il prossimo governo non cambierà. Saranno intese e decisioni determinate dallo spavento, una linea che nelle grandi crisi di sistema non sempre funziona: la politica italiana si comportò in modo molto simile nel ’92, quando pensò di arginare il successo della Lega e della destra rifugiandosi nella continuità e scommettendo sull’istinto conservatore e continuista del Paese. Sappiamo come è andata. Tutti i conti si rivelarono sbagliati. Ricordarsene oggi sarebbe opportuno.