Tre giorni e poi fuori. O, in alternativa, due settimane e poi fuori. Fuori da dove? Dai Cas – i Centri di accoglienza straordinaria – colmi di richiedenti asilo politico, tutte persone che, per legge, hanno diritto a restare in Italia fino a quando un giudice non decreta il contrario in via definitiva. E che rischiano di finire per strada, nei parchi o chissà dove. E il Prefetto che ha preso (o almeno firmato e avvallato) questa decisione, non è chiaro sulla base di quali indicazioni ministeriali, è una vecchia conoscenza della politica lombarda. Finì coinvolta in una delle tante “affittopoli” italiane – quella legata al Pio Albergo Trivulzio.
Il documento di cui parliamo è una circolare della Prefettura di Bergamo, una nota di due pagine datate 2 settembre 2016, rimasta seppellita nei cassetti per oltre 90 giorni. E recapitate a inizio autunno alle cooperative che nella bergamasca lavorano nell’accoglienza dei migranti.
La prima denuncia arriva 48 ore fa da BGReport, un servizio di informazione locale. Alcune delle coop sociali contattate da Linkiesta, otto in totale e che sul territorio accolgono 1518 persone (dati maggio 2016), confermano l’accaduto. Si dicono pronte a “disobbedire” alle nuove linee guida. Che prevedono essenzialmente due cose. Primo: i migranti che hanno visto rifiutata la loro richiesta dalle Commissioni territoriali congiunte (Questura, Prefettura, Comune e quasi sempre Unhcr) e poi dai Tribunali, perdono il diritto a stare nei centri anche se hanno ancora un grado di giudizio a disposizione, in Appello. A meno che un magistrato non abbia emanato una sospensiva per la singola persona.
Nella forma non cambia niente, era così anche prima. Nella sostanza cambia tutto. Perché il tempo a disposizione per migranti e avvocati per preparare le carte e ottenere questa sospensiva scende e viene quantificato in “3 (tre) giorni dalla notifica” – come scrive proprio la Prefettura. Un cavillo. Non c’è avvocato al mondo in grado di ottenerla in tre giorni perché del resto non c’è Corte veloce al punto da decidere in quel lasso di tempo – come ci confermano due legali che collaborano con l’Associazione Studi Giuridici sull’Immigrazione. E come ci conferma il buon senso. C’è un’altra contraddizione: poniamo che chi non ottiene la sospensiva in tre giorni (cioè nessuno) se ne va. Bene. I suoi legali continuano a portare avanti i ricorsi mentre questa persona vive in uno stato di semi abbandono, di fatto da irregolare pur non essendolo. E se dopo quattro mesi la sospensiva viene concessa che si fa? Il migrante ha diritto a rientrare nei centri dopo quasi mezzo anno? Zero risposte al momento.
Orazio Amboni della Cgil di Bergamo fa parte anche della rete di solidarietà con i migranti che ha organizzato l’anno scorso la “marcia degli scalzi”. Ci spiega che il il nuovo Prefetto, Tiziana Costantino, arrivata proprio a cavallo di quella decisione, ha cercato di placare gli animi promettendo una sospensione del provvedimento. Solo a parole. Perché se carta canta non esiste a oggi nessun documento, comunicazione o scambio di mail che smentice quella circolare del 2 settembre. E ad alcune coop sono già arrivate pressioni per sgomberare i posti letto nel più breve tempo possibile e fare spazio, come dimostrano diversi scambi di messaggi fra dipendenti e operatori sociali. Anche se arriva l’inverno e chi passa il Natale per strada rischia gravi danni alla salute come le amministrazioni lombarde sanno bene, visto che ogni anno varano il piano freddo per aiutare i senzatetto. Per fortuna esiste una rete di volontari e dormitori che anche nella peggiore delle ipotesi può intervenire.
Tre giorni e poi la strada per chi ancora può fare ricorso. Quindici giorni per chi è già un rifugiato con asilo politico. I legali di Asgi: «Tempi folli, non c’è avvocato al mondo che può fare ricorso in tre giorni»
Ma il peggio deve ancora venire. Anche chi ha ottenuto lo status di rifugiato politico o la protezione sussidiaria in Italia non se la passerà bene, almeno a Bergamo. Ha un tot di tempo per fare le valige e sgomberare dalla propria struttura. Due settimane, anzi, quindici giorni per la precisione. Creando così sia il contesto ottimale per l’attrazione da parte di reti criminali o simili – quanti sono i rifugiati che trovano lavoro, si sistemano, parlano la lingua in 15 giorni? – che una disparità di trattamento fra migranti stessi. Perché, al contrario, chi ha la “fortuna” di essere collocato in una delle strutture Sprar (Sistema di protezione per i richiedenti asilo) ha tempo fino a 6 mesi, con percorsi di integrazione annessi e connessi. Qui le interpretazioni giuridiche si sprecano. In teoria qualunque struttura di “seconda accoglienza”, come si dice in gergo, deve uniformare i suoi standard al sistema Sprar, stando alle direttive. Il punto è se i Cas sono da considerarsi prima o seconda accoglienza. La sigla contiene l’espressione “accoglienza straordinaria” ma nei fatti non è così. Si resta dentro un anno, un anno e mezzo, anche di più. Persone che hanno diritto allo Spar spesso non vengono spostate per carenza di disponibilità da parte dei Comuni ma il loro trattamento deve essere comunque uniformato, in quel caso.
Sistema d’accoglienza con mille criticità: tempi, disparità di trattamento fra Sprar e Cas, il caso Gorino e tutti gli altri che tengono sotto scacco i sindaci
Dire che l’intero sistema sia bizantino è un’ovvietà. Sei settimane prima della débacle referendaria il Governo Renzi ha provato a mettere una pezza con un piano di incentivi, quote comunali e soldi stanziati in finanziaria, suscitando entusiasmi prematuri. Il 2017 sarà forse l’anno da cui trarre un vero bilancio. Ma nonostante il piano i problemi del sistema sono noti ad addetti ai lavori e opinione pubblica: difformità di regolamenti, scarsa disponibilità degli enti locali e, spesso, mancati o ritardi nei pagamenti algi enti gestori; mancanza di posti letto, circolari del Ministero che si sovrappongono una con l’altra e, infine, il percorso di accoglienza nelle strutture e quello per la richiesta d’asilo che non corrono su binari paralleli ma su binari casuali. A volte si incrociano, altre volte no.
Il Prefetto Vicario di “affittopoli”
Alla luce di queste criticità la decisione presa nella quarta città della Lombardia può avere un solo senso: quello di liberare spazi, in prospettiva di nuovi arrivi, ma con una scelta controproducente. E in effetti nell’ultima settimana si sono moltiplicate le pressioni nei confronti di chi gestisce le strutture d’accoglienza. Il diktat è solo uno: mandate fuori le persone, abbiamo bisogno di spazio. Chi si oppone rischia di vedere revocato il proprio ruolo nei bandi del futuro. La soluzione sarebbe la disponibilità degli enti locali, ma dopo Gorino e tutti gli altri casi di “barricate” trovare un sindaco disponibile è come cercare un ago nel pagliaio. Resta il fatto che la circolare della Prefettura anche se conforme nei modi al Decreto Legislativo 142/2015 sull’accoglienza prevede dei tempi che sono stati inventati di sana pianta a Bergamo. Nessuna legge o direttiva del Dipartimento Immigrazione e Libertà civili del Ministero degli Interni, almeno fra quelle rese pubbliche, menziona la durata di 3 o 15 giorni. È un settore dove quasi non esistono regole o norme. Esistono invece prassi consolidate, confidando nel buon senso di chi conosce la macchina amministrativa e quella della giustizia. Di chi conosce i suoi tempi. Una fiducia forse eccessiva.
Firma e decisione sono del Prefetto Vicario Francesca Iacontini, ex commissario nei comuni sciolti nominata da Gian Valerio Lombardi. Beccata nella “affittopoli” 2011 a pagare 2mila euro all’anno per un appartamento da 75mq in Porta Venezia a Milano, di proprieta del Pio Albergo Trivulzio
La firma sulla circolare degli uffici bergamaschi è quella di Francesca Iacontini, tecnicamente la numero due della Prefettura ma è lei a gestire il dossier immigrazione. Napoletana, nella pubblica amministrazione dal 1981 e anche in regione di lei si è parlato spesso. Per anni è stata commissaria prefettizia in vari comuni della Lombardia sciolti. Per esempio a Buccinasco fra 2011 e 2012, dopo l’arresto del sindaco e dell’assessore ai lavori pubblici per un giro di tangenti. L’anno prima si era trovata a reggere il comune di San Giuliano Milanese. Formalmente, nella cittadina, si era sforato dal Patto di Stabilità interno, per questo l’amministrazione venne sciolta; nella pratica si è trattato di una bega politica con “voto di sfiducia” del parlamentino locale. Infatti i Comuni che non presentano entro certe date atti come il bilancio, perché la maggioranza nel frattempo si è sfaldata, vengono commissariati. La Iacontini viene nominata dall’allora Prefetto di Milano, Gian Valerio Lombardi – oggi a capo di Aler, celebre la sua frase «esistono famiglie mafiose ma a Milano la mafia non esiste» – e proprio mentre sta lavorando viene coinvolta nello scandalo “affittopoli” legato al Pio Albergo Trivulzio. Si scopre che dal 29 novembre 2004 è stata intestataria di un contratto d’affitto per 6 anni di un appartamento da 75 mq in zona Porta Venezia a Milano, fra le più belle della città, a un canone da 2502,72 euro all’anno, 200 euro e spiccioli al mese. Lo confermano le liste dell’Istituto che gestisce case di cura e centri per anziani. Durante il suo anno a San Giuliano sono in molti della politica locale a lamentarsi: il Comune è formalmente in dissesto finanziario e quindi senza risorse ma in 12 mesi lei spende più di 100mila euro di soldi pubblici in consulenze legali. La dottoressa Iacontini non ha risposto alle domande de Linkiesta in tempo utile per la pubblicazione di questo articolo.
Svuotare “l’imbuto” Italia
Alcune cooperative di Bergamo, con dimensioni molto diverse fra loro per numero di posti di letto offerti, già si dicono pronte a non collaborare, forse boicottare, le scelte da pugno di ferro prese dalla Prefetto Vicario, Francesca Iacontini. Ma a quel punto i costi economici della permanenza dei migranti e l’affollamento successivo che ne deriverebbe cadrebbero sulle loro spalle per intero. Non si capisce nemmeno se al Ministero degli Interni abbiano idea della decisione presa 700 chilometri più a nord. Il Prefetto Mario Morcone e il suo Capo di Gabinetto, Alessandra Camporota, rispettivamente numero uno e due al Viminale per quanto riguarda l’immigrazione, non hanno risposto alle domande de Linkiesta in tempo utile alla pubblicazione dell’articolo. E anche per il neo Ministro Minniti questa potrebbe essere la prima grana da risolvere da quando lunedì si è insediato a Piazza del Viminale.
Alcune coop boicoterrano la decisione della Prefettura. Ma arrivano sengalazioni da tutta Italia
Mentre scriviamo arrivano segnalazioni simili, da verificare, in altre zone d’Italia. Dall’Alto Adige passando per il Veneto. E l’ipotesi che dietro ci sia una strategia non dichiarata serpeggia. Disincentivare migranti e avvocati a portare avanti i ricorsi con la tecnica dei tre giorni. Senza modificare l’assetto dei tre gradi di giudizio – oggettivamente farraginoso – per legge, preservando quindi la forma “garantista”. E che non siano solo errori di valutazione ma, forse, strategie lo lascia intendere quello che sta accadendo sugli altri fronti immigrazione: “l’imbuto al contrario”, come veniva definita l’Italia qualche anno fa con lo scoppio della crisi migratoria, non riesce a liberarsi dei profughi a nord. Con l’Europa, tutta, che litiga su qualunque forma di redistribuzione da anni – fra referendum ungheresi sulle quote e veti incrociati – un piano di re-location che non decolla (meno del 10 per cento rispetto agli obiettivi) e i confini alpini dove la parola Schengen è solo un ricordo scolorito da quanto accaduto nelle stazioni e lungo le frontiere di Ventimiglia, Brennero e Como.
L’ipotesi di una strategia italiana: se le frontiere del nord restano chiuse allora disincentiviamo migranti e avvocati a fare ricorso. E Migration Compact con i Paesi africani: soldi in cambio di migranti
L’Europa accusa le ong
Migliaia di chilometri più a sud prende forma compiuta il “Migration Compact”, la strategia dell’ex premier Matteo Renzi, sancita col Processo di Khartoum e il summit de La Valletta, di accordi bilaterali con i Paesi africani sul modello di quello siglato il 18 marzo fra Ue e Turchia. Matrimoni a due dove la comunione dei beni è molto semplice: noi vi diamo i soldi (i visti, le infrastrutture o altro) voi vi tenete i migranti o li accettate quando vengono rimpatriati.
È già in essere quello col Sudan mentre si tratta con il Gambia – appena uscito da una dittatura che durava dal colpo di Stato del 1994 – Nigeria (Gentiloni ci è stato ad agosto come numero uno della Farnesina, pochi giorni dopo Angela Merkel), Eritrea, Etiopia, Mali, Niger ed Egitto. A cui va aggiunto il “memorandum of understanding” del 23 agosto siglato con la Libia per l’addestramento di 78 ufficiali di Tripoli, dall’Ammiraglio Enrico Credendino, comandante della flotta europea EuNavFor Med – operation Sophia, e dal comandante della Guardia Costiera della nazione africana, Abdallah Toumia.
Da ultimo la notizia rilasciata poche ore fa dal Financial Times: il quotidiano della City, assieme a un think tank olandese, cita rapporti confidenziali dell’Agenzia europea Frontex in cui si accusano le ong che lavorano nel Mediterraneo di collusione con i trafficanti di uomini. Accuse che, al momento, di circostanziato hanno ben poco: non c’è scritto quali ong, i moventi, le prove raccolte e in quali date. Addirittura nell’articolo del think tank olandese le ong vengono definite “la mafia in combutta con l’Unione Europea […] Le loro reali intenzioni non sono chiare e non saremmo sorpresi se lo avessero fatto per soldi”.
L’Europa non decide accusa le ong. Il Financial Times cita rapporti confidenziali di Frontex in cui si accusano le ong che lavorano nel Mediterraneo di collusione con i trafficanti di uomini. Accuse respinte al mittente
Ci potrebbe essere dietro un tentativo di delegittimazione nei confronti delle organizzazioni non governative che hanno comunque rispedito al mittente ogni accusa. Quasi tutte infatti, escluse le più grandi come Medici Senza Frontiere, sono nate all’inizio non per effettuare soccorsi ma per denunciare le violazioni delle norme internazionali e della “legge del mare”, in Italia sancita dal codice di navigazione che recita: obbligo del soccorso in situazione di pericolo senza mettere a repentaglio la vita dei soccorritori. Fino a qualche anno fa le no profit stavano a largo della Libia ad osservare e monitorare cosa accadeva. Hanno cominciato a fare operazioni di ricerca e soccorso solo in seguito, perché le imbarcazioni delle flotte europee non esistevano, erano troppo poche o non arrivavano in quanto il mandato politico sancito fra Bruxelles e Varsavia (sede di Frontex) era quello di sorvegliare i confini, non salvare le persone.
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