L’indagine su Sala, in bilico l’unico sindaco renziano

A Milano una scommessa politica di Renzi, che rischia di declinare rapidamente proprio pochi giorni dopo le dimissioni del leader Pd da Palazzo Chigi. L'ex commissario Expo attende di capire gli sviluppi di un'inchiesta anomala. I 5 Stelle intanto si scaldano

E’ l’unico sindaco dell’era renziana, anche se non ha tessere di partito. Il ruolo di Giuseppe Sala è, politicamente, questo. Nelle ore in cui la Procura Generale di Milano lo ha indagato con l’accusa di concorso in falso materiale e ideologico, nell’ambito di un’indagine sull’appalto della piastra dell’Expo 2015, di cui era commissario di governo, Sala appare in bilico fra due vite. Quella che lo ha portato in politica, sull’onda appunto dell’Esposizione universale e dell’appoggio di Matteo Renzi e di gran parte dell’establishment milanese ma non solo. E quella che potrebbe portarlo fuori dalla scena nemmeno sei mesi dopo la sua elezione. Per ora il sindaco resta, anche se si è “autosospeso” nelle mani del prefetto Alessandro Marangoni, in attesa di capire quale sia la sua posizione di fronte alla giustizia.

Non è un’indagine scontata. Perché risale a fatti del 2012, quindi prima del coinvolgimento politico di Sala. E perché la Procura di Milano aveva chiesto nei mesi scorsi l’archiviazione del fascicolo su quei fatti, ottenendo una risposta negativa dal Gip: la Procura Generale a quel punto ha avocato a sé l’indagine, arrivando a indagare anche il sindaco. Sostanzialmente Sala è accusato, insieme ad altre sei persone, sulla base di quanto è scritto in un’informativa della Guardia di Finanza del maggio 2014, secondo la quale due verbali relativi alla “sostituzione” di altrettanti componenti della commissione giudicatrice della gara per l’appalto della Piastra dei servizi riporterebbero “circostanze non rispondenti alla realtà”. In particolare, sarebbero stati retrodatati con “l’intento di evitare di dover annullare la procedura fin lì svolta”, per non ritardare il cronoprogramma di Expo. C’è stata una guerra fra gli uffici della Procura di Milano in questi anni (lo scontro Bruti-Robledo). E per molti l’apertura dell’inchiesta su Sala è la prova che finora sull’Expo era stato messo tutto a tacere. Qualcuno la chiama da tempo una moratoria. E’ su questo crinale che si gioca la resistenza di Sala.

La sua è stata una candidatura costruita nel tempo. Un anno fa, proprio di questi giorni, si preperavano le primarie che dovevano consacrare la corsa di Sala. E’ a lui che venne affidato, sotto gli auspici renziani, il compito di prendere il testimone di Giuliano Pisapia ma con un ruolo molto difficile. Tenere insieme la sinistra e quel mondo moderato che a Milano fa la differenza. Ci è voluta l’abilità degli equilibristi, perché Sala non solo non era un politico (veniva da una carriera manageriale passata da Telecom e Pirelli) ma era stato anche il direttore generale del Comune di Milano con Letizia Moratti, l’ultimo sindaco berlusconiano della città. Il profilo di outsider che piace anche a destra andava benissimo a Renzi e ai suoi. E alla fine è andata bene, anche se in maniera più sofferta del previsto: Sala è stato eletto al ballottaggio battendo Stefano Parisi, lo sfidante di centrodestra che era per molti tratti simile a lui. Soprattutto, fra le grandi città a Milano c’è stata l’unica vera vittoria del Pd che contemporaneamente ha perso Roma e Torino, confermando Bologna.

Da allora Renzi è stato a Milano, nelle vesti sia di premier sia di segretario del Pd, quasi ogni settimana. E’ stata una delle poche città dove ha prevalso il Sì al referendum costituzionale e dove questa domenica Renzi aveva inizialmente pensato di convocare l’Assemblea nazionale del Pd che aprirà la stagione congressuale. Milano. La vetrina del suo governo, anche grazie a Expo. Il modello politico che funziona. Se questo modello salta, subito dopo la sconfitta di Renzi al referendum costituzionale, salterà tutto ciò che è rimasto del renzismo oltre a Renzi. Ed è legata soprattutto a questo la preocupazione sul futuro politico di Milano. Non solo in area Pd, perché le dimissioni di Sala allontanerebbero una nuova vittoria a elezioni anticipate, che ci sarebbero in primavera. Dal centrodestra nessuna richiesta diretta di dimissioni a Sala, almeno dai vertici: sia Matteo Salvini sia Stefano Parisi hanno chiesto a Sala di rimanere a tempo pieno se si ritiene innocente o di dimettersi solo nel caso ammetta qualche responsabilità. Chi avrebbe da guadagnarci da questa situazione sono i 5 Stelle, mai veramente competitivi a Milano: i griilini attendevano l’apertura di un’inchiesta sull’ex commissario Expo da mesi, prima della campagna elettorale. E pensano di entrare per la prima volta in corsa.

@ilbrontolo

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