Se fosse un cinepanettone, si chiamerebbe “Natale a Doha”. Gli elementi ci sarebbero, eccome. A cominciare da un presidente di una squadra di calcio che parla di cinesi che mangiano bambini, o arbitri e giudici da cambiare in vista della partita. E a seguire, il copione si potrebbe basare sull’irresistibile commedia degli equivoci generata dall’aereo che non parte, con la squadra lasciata a terra proprio da quella compagnia che è suo sponsor di maglia. E poi il caldo, le palme, i cammelli e qualcosa da riciclare da grandi classici come “Natale su Nilo” e il gioco è fatto.
Ma da qualche anno i cinepanettoni non tirano più, non fanno ridere. Mentre la Supercoppa Italiana che si gioca appunto a Doha è un affare molto più serio di quanto si creda. Perché il trofeo che si disputano da fine anni Ottanta la vincitrice del campionato e della Coppa Italia (o la finalista, in caso di double), dopo anni di pellegrinaggi in giro per il mondo, finali agostane spesso meno avvincenti di un trofeo estivo in alta montagna e regie cinesi imbarazzanti, sembra aver trovato finalmente la formula vincente.
Una vera e propria boccata d’ossigeno per il nostro calcio, alla ricerca di quel rilancio internazionale che all’estero ormai hanno intuito da tempo: chiamasi “fare sistema”, quella cosa che da noi è sinonimo di mettere tutto nelle mani di una sola azienda (Infront) – e negli interessi dei dirigenti del calcio che le sono legati – e che negli altri grandi campionati vuol dire avere una lega professionistica che promuove gli interessi di tutti. Per fare un esempio natalizio, in Germania la Bundesliga si ferma addirittura un mese per la pausa invernale, visto che da quelle parti il clima a gennaio non è l’ideale per far sì che 22 ragazzi in pantaloncini si mettano a inseguire in pallone per un’ora e mezza. Ma i tedeschi hanno fatto di necessità virtù e anziché starsene in panciolle a bere birra, sfruttano la suddetta pausa per andare con i club in tournée nei Paesi caldi: i giocatori non perdono la forma, le squadre incassano soldi alla voce marketing e la Bundesliga ne guadagna in quella visibilità da sfruttare per aumentare il valore dei contratti di diritti tv all’estero.
In Inghilterra avviene tutto il contrario: a Natale si gioca – nel cosiddetto Boxing Day, cioè il 26 dicembre -, a capodanno pure. La gente indossa il cappello di Santa Claus e va felice allo stadio: in questo periodo gli incassi da matchday fanno registrare numeri pazzeschi, ogni anno. Ma entrambi in modelli, in Italia, sono inapplicabili. Se al pubblico italiano togli il campionato per un mese, sarebbe un piagnisteo continuo: basta leggere sui social come reagisce il pubblico durante la pausa delle nazionali, che priva un solo weekend delle gare di Serie A, figuriamoci quattro. E nemmeno il modello inglese sarebbe applicabile: i nostri stadi, eccetto rari esempi, sono allo sfascio: la loro scomodità non invoglia certo il pubblico ad andarci per prendere pacchi di freddo. Se si giocasse a Natale, si sentirebbe l’eco del pallone calciato per chilometri. Meglio stare a casa, al caldo, davanti alla tv: in Premier per evitare lo svuotamento degli impianti, hanno capito già anni fa che non è il caso di trasmettere proprio tutte le gare in tv, per valorizzare le esclusive e allo stesso tempo anche le presenze dal vivo, a differenza del nostro Paese, dove i grandi broadcaster comandano e gli stadi si svuotano. Con l’effetto che siamo costretti per certi vesri a esportare parte del prodotto, per valorizzarlo: ecco perché il Community Shield non si gioca a Bangkok, per dire.
allo stesso tempo, in Italia a Natale la voglia di calcio c’è. Due anni fa ne abbiamo avuta la conferma, con la prima edizione della Supercoppa Italiana giocata il 22 dicembre, sempre a Doha. Per la prima volta, quella finale vinta ai rigori dal Napoli sulla Juventus ha visto sfondare il muro dei 6 milioni di spettatori. La finale del 2014 è entrata nella top 20 dei programmi più visti sulla Rai, al posto numero 11, con 7,8 milioni di spettatori e uno share del 34%: ai rigori, i numeri sono schizzati a 11 milioni di spettatori e share al 41%. Un risultato notevole, visto che quello è stato l’anno dei Mondiali brasiliani: senza Italia-Uruguay, sarebbe stata top 10.
Il trofeo che si disputano da fine anni Ottanta la vincitrice del campionato e della Coppa Italia (o la finalista, in caso di double), dopo anni di pellegrinaggi in giro per il mondo, finali agostane spesso meno avvincenti di un trofeo estivo in alta montagna e regie cinesi imbarazzanti, sembra aver trovato finalmente la formula vincente.
Così, dopo i disastri della finale 2015 in Cina con polemiche televisive annesse (a bordo campo c’era anche il logo di Expo…), la Lega Calcio si è mossa nella maniera più giusta, tornando a Doha. Per la gioia prima di tutto della Rai, che ne detiene i diritti fino al 2018. E a chi si domanda perché dovremmo giocare in mezzo alle dune anziché in Italia, il motivo è presto detto. Qua la sabbia è solo alla fine di una cintura urbana che nel giro di pochi ha visto uno sviluppo che, grazie ai petrodollari, ha trasformato Doha da un villaggio di pescatori di perle in una metropoli ad alta densità di lusso e tecnologia. Dalla sabbia sta inoltre emergendo un polo sportivo non da poco. A Doha si è giocata la fase finale del Mondiale per club di pallavolo, mentre in zona c’è il Losail International Circuit, dove corre la MotoGp. E qui si giocherà anche la finale dei Mondiali del 2022, portato dalla potente federcalcio locale guidata da Hamad bin Khalifa bin Ahmad Al Thani. Un nome di cui avrete già sentito parlare: la sua famiglia è quella legata agli emiri del Qatar e che possiede il Paris Saint Germain, oltre ad aver finanziato la creazione di Al Jazeera, a sua volta editrice dell’emittente sportiva BeIn Sports, che detiene i diritti tv del nostro campionato in molti Paesi esteri. E di mezzo c’è anche la Aspire Academy – la grande scuola calcio per nuovi talenti che vede coinvolti stelle del calcio come l’ex Blaugrana Xavi – che già per la finale del 2014 era stata tra le promotrici dell’evento e che Galliani si è precipitato a visitare, dopo aver opportunamente sbollito la rabbia per il volo ritardato. D’atra parte, pagano tutto gli sceicchi: volo, vitto e alloggio. Così che i circa 4 milioni che le due squadre si spartiscono per giocare sono in pratica netti.
Per la Lega, quindi, portare la Supercoppa a Doha significa guardare al futuro. Perché come avrete capito, è qui che sta il “grano”. In Italia i qatarioti hanno speso da tempo: tramite il fondo sovrano Qatar Investment Authority hanno contribuito allo sviluppo della zona di Porta Nuova, a Milano. E sempre in città, hanno da tempo messo mano al portafogli, sponsorizzando la maglia del Milan. Ora il flusso di soldi cerca di invertire la rotta: dal calcio italiano al Qatar. E la Supercoppa Italiana è la chiave: qui il trofeo è già arrivato e in esposizione per i partner commerciali. Se i numeri in termini di Auditel del 2014 venissero confermati, l’Italia potrebbe aver trovato il proprio Boxing Day. Anzi, il proprio cinepanettone più riuscito.