Sostiene VoltolinaPortiamo le ragazze nelle stanze dei bottoni

Perché le donne si fanno ancora incastrare negli stereotipi che le relegano in alcuni mestieri tradizionalmente femminili? Perché i top manager sono quasi tutti uomini? Costanza Ramorino, 3 figli e un ruolo apicale in Unicredit, ha molte risposte. E con Valore D vuole rendere più forti le ragazze

47 anni, tre figli, HR manager in UniCredit: Costanza Ramorino è quello che si definisce un “role model” per le ragazze. Una carriera internazionale, tanta capacità organizzativa e la voglia di trasmettere coraggio e competenze alle altre donne: per questo Ramorino è anche, dal giugno di quest’anno, vicepresidente di Valore D. Obiettivi dell’associazione, che ad oggi conta oltre 150 aziende aderenti: promuovere ambienti di lavoro flessibili e attenti ai bisogni delle persone, attuare politiche di inclusione e della diversità nella strategia di gestione delle risorse umane, caldeggiare modelli di leadership e di governance inclusivi ed equilibrati, e proporre modelli di innovazione sociale e sostenibilità per orientare i percorsi di studio delle ragazze e superare stereotipi di genere in famiglia e al lavoro.
Oggi alla convention annuale di BIP, società di consulenza virtuosa con il “Bollino OK Stage” della Repubblica degli Stagisti, Ramorino ha premiato uno dei due vincitori del premio “stagista dell’anno” – la giovane Alia Falcone. Un’occasione per fare il punto sulla condizione ancora difficile delle donne nel mondo del lavoro italiano: pur laurendosi le studentesse prima e con voti più alti dei colleghi maschi, il tasso di occupazione femminile in Europa nella fascia 20-64 anni è un misero 50,6%, contro una media europea del 64,3% e sopratutto a fronte di una media maschile, in Italia, di ben 20 punti superiore (70,6%). E se poi si vanno a guardare i ruoli apicali, in azienda e nelle liberi professioni, il quadro è ancor più deprimente: urge invertire la rotta e «rendere le donne capaci di gestire il potere».

Da qui al 2020, secondo la Commissione europea, si apriranno 900mila posti di lavoro nel settore digitale e ICT. Eppure le giovani italiane sembrano ancora restie a studiare queste materie: nell’anno accademico 2015/16 l’area scientifica è stata scelta solo dal 37% delle donne contro il 63% degli uomini. E la cosa grave è che sono le stesse identiche percentuali di dieci anni fa. Valore D mette l’orientamento verso questi percorsi di studio tra i suoi obiettivi.
Sì, perché nei percorsi di studio di bambine e bambini i bias, i “pregiudizi”, iniziano prestissimo a influenzare le scelte. Secondo alcuni studi, già a 6 anni i bambini classificano i lavori come maschili e femminili, a 8 limitano le loro aspirazioni in base al loro genere, e a 13 anni molti di loro non aspirano ad alcune professioni in base a stereotipi di genere. Si dice: “le bambine hanno più capacità nelle materie linguistiche, dunque sono più portate per questo tipo di studi!”, ma in realtà ciò non è vero: è solo che nelle bambine lo sviluppo del linguaggio avviene prima. Da qui discende il pregiudizio che le bimbe siano più brave dal punto di vista linguistico piuttosto che da quello scientifico. È necessario un correttivo di comportamento e di attitudine: non è che se uno si esprime meglio, ciò automaticamente significa che non sia bravo in matematica! Questo bias dev’essere bloccato fin dall’inizio.

Come?
Alfabetizzando il tessuto scolastico, insegnanti e genitori, sul fatto che l’espressione delle competenze è diversa ma la capacità potenziale è la stessa per entrambi i generi. E cambiando i libri di testo: i materiali didattici sono ancora pieni di immagini stereotipiche e pregiudizi circa i ruoli sessuali. La sottovalutazione del contributo storico e scientifico delle donne porta le ragazze ad avere meno autostima, ad abbassare il profilo delle aspettative future, a evitare la competizione con i maschi e ad autoescludersi nella scelta dei percorsi professionali da attività considerate appannaggio maschile come le scienze e le tecnologie. Invece nche le bambine possono essere molto brave in queste materie: bisogna ridare la stessa opportunità di partenza. Lo dimostra il fatto che nei test che misurano le capacità linguistiche, di lettura, di matematica e di logica, la differenza di genere è minore o addirittura inesistente nei Paesi in cui la cultura di parità tra i sessi è maggiormente diffusa. Per questo porteremo “Inspiring girls” in Italia.

Di cosa si tratta?
Di una campagna lanciata nel 2013 dall’avvocata Miriam González Durántez. La campagna vuole di coinvolgere ragazze delle scuole medie e superiori con l’obiettivo di creare consapevolezza del proprio talento e costruire un ambiente di pari opportunità. Centinaia di donne volontarie dedicano un’ora all’anno per andare nelle scuole a parlare della propria vita e del proprio lavoro, dei percorsi di carriera e di come bilanciano la loro vita lavorativa con le altre responsabilità: per fare un passo avanti e superare gli stereotipi legati al genere.

Già a 6 anni i bambini classificano i lavori come maschili e femminili, a 8 limitano le loro aspirazioni in base al loro genere, e a 13 anni molti di loro non aspirano ad alcune professioni in base a stereotipi di genere.


Costanza Ramorino, HR manager di UniCredit e vicepresidente di Valore D

Gli stereotipi spesso nascono e si radicano proprio in famiglia. Come si combatte questo imprinting negativo?
Sopratutto puntando sulla genitorialità condivisa, vissuta da ambedue le parti come un’opportunità. Questo è un tema su cui Valore D si sta interrogando e sul quale agirà con un programma che coinvolgerà sia uomini sia donne. Da quest’anno, per esempio, apriremo i nostri corsi anche agli uomini. Bisogna poi cercare anche di esercitare una influenza da un punto di vista legislativo: noi per esempio supportiamo la proposta che il presidente dell’Inps Tito Boeri ha presentato di recente qui a Milano, al forum Elle Active!, sull’introduzione di un congedo di paternità obbligatorio di 15 giorni. Il bilanciamento è la chiave d’azione anche in azienda. Il confronto tra uomini e donne deve diventare una costruzione comune e non una barriera: questa è la chiave di volta, infatti noi puntiamo sull’inclusione piuttosto che sulla diversità. Includere gli uomini nei percorsi di supporto delle donne nella loro crescita in azienda è indispensabile, anche perché gli uomini sono molto più presenti in posizioni apicali: se non li coinvolgiamo, non avremo mai la parità.

E qui si passa nel campo del lavoro: come si superano gli stereotipi di genere in ufficio?
Attraverso la consapevolezza. Uomini e donne devono rendersi conto dell’esistenza dei bias: gli stereotipi devono essere prima di tutto riconosciuti. Non si possono cancellare, ma si può lavorare avendone piena coscienza, guardandoli con occhi trasparenti e affrontandoli giorno dopo giorno. Con Valore D vogliamo creare una società in cui tutte le particolarità individuali vengano valorizzate, permettendo a ciascuno di esplicitare completamente il suo talento.

Si torna alle competenze: quanto più le giovani donne si formano nei settori più richiesti dal mercato, tanto più avranno opportunità professionali interessanti.
Certo. Le competenze necessarie nel mondo del domani sono quelle di carattere scientifico, la capacità di elaborazione dei dati. La strategia giusta per poter partecipare di più al mondo lavorativo è proprio quella di formarsi secondo le aspettative del mondo di domani: e ingegneria e informatica sono certamente le lauree sono più richieste, per il momento.

Bisogna cercare anche di esercitare una influenza da un punto di vista legislativo: con Valore D supportiamo la proposta che il presidente dell’Inps Tito Boeri ha presentato di recente sull’introduzione di un congedo di paternità obbligatorio di 15 giorni.


Costanza Ramorino, HR manager UniCredit e vicepresidente Valore D

In questo senso la 23enne “miglior stagista Bip” del 2016 Alia Falcone, laureata in Management alla Bocconi, ha scelto bene insomma.
Direi proprio di sì, e allargherei il discorso: è importante, per tutti ma in particolare per le giovani donne, l’ambizione e la perseveranza nel provare a realizzare i propri sogni. In un momento di crisi c’è il rischio di rinchiudersi in un ruolo, di rinunciare a sogni e desideri. Invece avere una capacità di visione che vada oltre il contesto, che di primo acchito oggi non è positivo, fa cogliere più opportunità. Un mercato in crisi è paradossalmente più fertile di un mercato florido, perché ci sono più opportunità per il talento individuale. Anche nelle grandi crisi del passato chi ha fatto la differenza sono le persone che hanno visto oltre il contesto del momento e hanno avuto una visione di più ampio respiro. Oggi la capacità di visione viene limitata: invece dobbiamo essere capaci di vedere le opportunità, magari in aree di nicchia. Bisogna essere in grado di guardare oltre il grigiore, avere la capacità di surfare sull’onda della crisi invece di affondare nel mare del vittimismo e nella disfatta. Bisogna avere il coraggio di credere nei propri sogni e nelle proprie capacità. Alle ragazze dico: cercate di tirare fuori il meglio di voi stesse e non abbiate paura.

Il messaggio che avete dato con l’iniziativa “In the boardroom”, e che continuerete a portare in giro, nel 2017, con il programma “C-Level School”, un percorso ideato per donne che ricoprono posizioni C-Level, quelle di “executive manager”, con l’obiettivo di rafforzare le competenze necessarie ad esercitare ruoli apicali in azienda.
Proprio così: “In the boardroom” era, in estrema sintesi, un programma di formazione dedicato alle donne che siederanno nei consigli di amministrazione delle società quotate. Perché quello che manca alle ragazze di oggi è la prospettiva e il “role modeling”, poter vedere e conoscere donne leader che gestiscono le problematiche di avere figli piccoli, genitori anziani. Come si fa a gestire tutto? Se noi condividessimo peso grazia e necessità di quello che facciamo con le nuove generazioni, le aiuteremmo a comprendere come ce la possono fare anche loro. Dobbiamo diventare “role model” delle ragazze perché possano capire come farcela. Faccio un esempio: le donne tendono a lavorare moltissimo su contenuti e dettagli, mentre chi ha successo lavora su un livello più alto, tenendo in mano le poche leve di controllo dei punti veramente importanti, dove non si può fallire. Questo significa entrare nelle cose in maniera non superficiale ma concreta; gli uomini non chiedono tutti i dettagli prima di prendere una decisione. Bisogna capire questo per fare il salto e poter ed essere in grado di gestire le leve strategiche. Noi vogliamo rendere le donne capaci di gestire il potere.