Cittadinanza per i figli degli stranieri, riforma delle adozioni, reato di omofobia, prescrizione, concorrenza, reato di tortura, tutela dei whistleblower. Leggi e norme “sensibili” che da tempo stazionano in Parlamento. Temi che spostano voti, sui quali si gioca il consenso elettorale. E che, con il referendum alle porte, nessuna delle forze politiche in campo si è intestata, in attesa di capire quale sarebbe stato il destino del governo Renzi. Il mantra era “se ne parla dopo il referendum”. Ma ora che ha vinto il No e che, come si dice sempre “le priorità sono altre” (l’Italicum ad esempio, ma non ne siamo certi), con molta probabilità di queste leggi non sentiremo parlare per un bel po’. Finiranno nel cassetto, e tutti chiuderanno un occhio. A meno che qualcuno, chiusa la parentesi del referendum, alzi la mano e dica: “Di cosa stavamo parlando?”.
Il giorno dopo il referendum, tra le seconde generazioni di immigrati la sensazione è che la riforma della legge sulla cittadinanza sia bella che andata. Almeno per il momento. La Rete G2, che più di tutti si è battuta per l’approvazione della legge, ha chiesto più volte di votare la legge prima del referendum. Poi di rinvio in rinvio si è arrivati allo stallo attuale. Il disegno di legge, approvato alla Camera in prima lettura, è bloccato da più di un anno nella Commissione affari istituzionali del Senato. Sepolto da una coltre di emendamenti. Eppure i movimenti della campagna “L’Italia sono anch’io” avevano fatto uno sforzo di concretezza, accettando il downgrade dei cosiddetti ius soli temperato e ius culturae.
Le associazioni ora dicono che chi ha preso un impegno prima del referendum deve rispettarlo anche dopo. Ma le incognite sono tante. E di certo la cittadinanza non è tra le priorità di Salvini, Meloni, Berlusconi, Grillo e colleghi. E l’ipotesi che si vada di nuovo alle elezioni politiche senza permettere ai figli degli immigrati di diventare cittadini, e quindi di votare, c’è eccome. Ma forse certe cose Salvini non le direbbe se alle elezioni votassero anche loro. Staremo a vedere.
L’ipotesi che si vada di nuovo alle elezioni politiche senza permettere ai figli degli immigrati di diventare cittadini, e quindi di votare, c’è eccome. Ma forse certe cose Salvini non le direbbe se alle elezioni votassero anche loro
Anche perché ora ci sono da gestire gli sbarchi, che non si sono certo fermati per aspettare l’esito del voto del 4 dicembre. Alla vigilia del referendum, il prefetto Mario Morcone, capo dipartimento immigrazione del Viminale, aveva detto che il piano dell’Anci sulla redistribuzione degli immigrati tra i comuni era fermo anche per via del referendum e che dal 5 in poi sarebbe partito. Ma chissà cosa ne sarà ora di quel piano, con due forze politiche in campo, la Lega e il Movimento cinque stelle, che di immigrazione non vogliono sentir parlare (in realtà di Salvini sappiamo cosa pensa degli immigrati, i grillini invece evitano del tutto il tema). Bisognerà aspettare per capire.
Così come ci sarà da aspettare anche per la tanto sbandierata riforma della legge sulle adozioni. Dopo lo stralcio della stepchild adoption nella legge sulle unioni civili, non c’è stata forza politica che non abbia detto “ora mettiamo mani alle adozioni”. Alla Commissione Giustizia della Camera si sono susseguite le audizioni degli esperti, ma tutto è ancora in alto mare. E lo sarà per molto visto che la riforma è al palo. Per giunta, la ministra Mariaelena Boschi, intestataria della defunta riforma costituzionale, da poco è diventata anche presidente della Commissione adozioni internazionali.
Dopo lo stralcio della stepchild adoption nella legge sulle unioni civili, non c’è stata forza politica che non abbia detto “ora mettiamo mani alle adozioni”. Alla Commissione Giustizia della Camera si sono susseguite le audizioni degli esperti, ma tutto è ancora in alto mare. Ora qualcuno se ne occuperà?
Fermo da più di un anno, dopo il via libera della Camera, è pure il ddl sugli atti di omofobia e transfobia. Sepolto, anche questo, da migliaia di emendamenti, soprattutto della Lega Nord. Stesso destino per il disegno di legge sul reato di tortura, sospeso a luglio a un passo dal voto finale di Palazzo Madama, dopo le richieste di Forza Italia, Lega Nord e Conservatori e riformisti, e con lo zampino del ministro dell’Interno Angelino Alfano.
Bloccata pure la riforma del processo penale che allunga i temi di estinzione dei processi per intervenuta prescrizione e norma le intercettazioni. Il ministro della Giustizia Andrea Orlando ha detto più volte che sarebbe stato «un errore non approvare il ddl prima del 4 dicembre». Ma nessuno lo ha ascoltato. Renzi ha sancito l’armistizio con Piercamillo Davigo prima del referendum. E, da calendario, il testo torna in aula a Palazzo Madama il 7 dicembre. Poi si vedrà. Appese a un filo pure la legge sulla concorrenza e quella sulla tutela dei whistleblower, che si sono arenate da tempo nelle sabbie mobili del Parlamento senza che le forze politiche si mettessero d’accordo sul da farsi, troppo impegnate nella campagna elettorale.
E chissà, forse questi testi “difficili”, che basta toccarli per perdere voti, nelle sabbie mobili ci rimarranno ancora per molto tempo, ora che tutti hanno il pretesto delle “altre priorità” dopo le dimissioni di Renzi.
Forse questi testi “difficili”, che basta toccarli per perdere voti, nelle sabbie mobili ci rimarranno ancora per molto tempo, ora che tutti hanno il pretesto delle “altre priorità” dopo le dimissioni di Renzi