Quesiti linguisticiSi dice “presepe” o “presepio”? Risponde la Crusca

Sia Manzoni sia Petrarca usavano entrambe le formule. E se lo facevano loro...

Tratto dall’Accademia della Crusca

La mira Madre in poveri

panni il Figliol compose,

e nell’umil presepio

soavemente il pose;

e l’adorò: beata!

innanzi al Dio prostrata,

che il puro sen le aprì.

Senza indugiar, cercarono

l’albergo poveretto

que’ fortunati, e videro,

siccome a lor fu detto,

videro in panni avvolto,

in un presepe accolto,

vagire il Re del Ciel.

(A. Manzoni, Il Natale, vv. 64-70 e 92-98)

Se uno dei padri della lingua italiana come Alessandro Manzoni poteva usare nello stesso componimento e in un contesto assai simile sia presepio che presepe non possiamo dare altra risposta alla domanda dei nostri lettori che non sia: si possono usare entrambi i termini.

Già il latino aveva due forme, quella più antica praesaepe, –is, sostantivo neutro della terza declinazione attestato anche in Virgilio – a cui si affianca una forma femminile praesaepes, –is usata da Plauto – e praesaepium, praesaepii, neutro della seconda (lo troviamo in Plinio, nel I sec. d. C.) ricostruito sul plurale praesaepia (cfr. E. Vineis, Studio sulla lingua dell’Italia, “L’Italia Dialettale”, XXXIV , 1971, pp.137-248: 177-178). La fortuna di questa forma più recente è legata alla sua presenza sia nella versione latina del testo della Bibbia adottata dalla Chiesa, conosciuta come Vulgata, sia nelle varie e incomplete versioni precedenti indicate solitamente col nome di Itala.

La stessa pluralità del latino troviamo testimoniata nei primi secoli dell’affermazione del volgare in testi di varia provenienza: franco-piemontesi, toscani e, più specificatamente, fiorentini, ma anche mediani e meridionali, per forme riconducibili a presepe, e lombardi, bolognesi, trevisani, veneziani , toscani, fiorentini, pisani per forme riconducibili a presepio (cfr. TLIO sv PRESEPE e PRESEPIO). Il valore è quello già latino di ‘mangiatoia’ con in più il riferimento all’episodio evangelico della Natività; si tratta infatti di voci dotte diffuse in larghi strati anche bassi della popolazione soprattutto attraverso la predicazione in latino o in volgare. Un ulteriore mezzo di propagazione è costituito dalle sacre rappresentazioni che mettevano in scena la nascita di Gesù (cfr. Luca, II, 7-16), di cui la più famosa è senza dubbio la Natività di Greccio a opera di san Francesco nel 1223, considerata il primo presepe vivente della storia.

L’incertezza tra le due forme permane per tutto il Trecento: lo stesso Petrarca le usa entrambe sia in senso religioso, sia “laico”, ovvero nel significato proprio di ‘mangiatoia’. Nei secoli successivi sembra prevalere la forma presepio: dalle attestazioni, quasi tutte di ambito religioso e molte riferibili alle sacre rappresentazioni, del ’400, si passa a un impiego più esteso nel ’500: è questa infatti l’unica forma usata dal Tasso, dall’Alamanni, dal Vasari, dall’Aretino. Presepe è comunque presente in alcuni autori, specie nel senso non religioso. Questa tendenza (sia chiaro mai pienamente realizzata) a impiegare presepe in senso proprio e presepio in riferimento alla Natività si trova anche nel Seicento, anche in uno stesso autore: Giovambattista Marino usa presepio in poesia (La galeria) e in prosa (in una lettera al Ciotti stampatore) in senso religioso, mentre nell’Adone impiega presepe in senso “laico”.

Il largo accoglimento di presepio rispetto a presepe che abbiamo rilevato già a partire dal XV secolo, trova riscontro nel Vocabolario degli Accademici della Crusca, le cui prime tre edizioni (1612, 1623, 1691), registrano solo presepio col valore di ‘stalla, mangiatoia’ con il supporto di due esempi di ambito religioso tratti dalle opere del monaco pisano Domenico Cavalca (1270-1342?). Solo nella quarta edizione (1729-1738) il lemma diviene “presepe e presepio […] Stalla, ed anche la Mangiatoia, che si pone nella stalla” e ai due passi di Cavalca si aggiunge una citazione “laica” dalla Fiera commedia di Michelangelo Buonarroti il giovane (1568-1646). Sembrerebbe confermata quindi quella sorta di “spartizione di campo” alla quale accennavamo sopra per cui la forma di derivazione virgiliana pare configurarsi come latinismo dotto in senso proprio, mentre per indicare la mangiatoia di Gesù si sarebbe adottata la forma derivata dal latino tardo della Vulgata.

Nella letteratura settecentesca, pur continuando la duplice possibilità d’impiego per entrambi i termini, notiamo che solo presepio è usato da Alessandro Da Morrona (Pisa illustrata nelle arti del disegno) in relazione alle rappresentazioni pittoriche della Natività e solo presepe si trova, ovviamente in senso laico, nelle Notti romane al Sepolcro degli Scipioni di Alessandro Verri (1792-1804), nella traduzione dell’Odissea di Ippolito Pindemonte (1753-1828), e in quella dell’Iliade di Vincenzo Monti (1754-1828). La stessa tendenza ritroviamo poi in Pascoli e D’Annunzio (cfr. Biblioteca italiana e GDLI).

Nella relazione tra i due termini è necessario prendere in considerazione anche l’evoluzione del significato. Abbiamo visto che ancora nella IV Crusca il significato registrato era ‘stalla’, ‘mangiatoia che si pone nella stalla’, mentre il valore attuale si riferisce all’intera rappresentazione della Natività – di cui archetipo si considera quella di san Francesco a Greccio, già ricordata – realizzata nelle chiese e nella case, in vari modi e con vari mezzi, nella quale stalla (o grotta) e mangiatoia sono solo elementi della composizione. In questo significato più ampio, almeno in Toscana, a partire dal Seicento stando al Vocabolario della Crusca, si usava la vocecapannuccia, oggi quasi scomparsa, che era, dalla prima alla quinta edizione, la piccola capanna “che si fa nelle case, o nelle chiese per la solennità del Natale”. Questa voce comunque, secondo il GDLI, resta chiusa nell’ambito toscano, per non dire fiorentino – citazioni da G.M. Cecchi, F. Baldinucci, G. B. Fagiuoli e B. Cicognani, tutti fiorentini tranne l’ultimo, fiorentino d’adozione e per parte di madre – e si esaurisce intorno agli anni ’30 del Novecento; oggi lo troviamo in GRADIT come toscano.

In realtà, almeno a partire dal 500, è presepio che sembra affermarsi in questo nuovo significato più ampio in ambito artistico, oltre che religioso, visto che il Vasari (cfr. Lo Zibaldone di Giorgio Vasari, a cura di A. Del Vita, Roma 1938) lo usa in riferimento alla rappresentazione statuaria di Arnolfo di Cambio per la chiesa di Santa Maria Maggiore a Roma (1290-92), forse l’esempio più antico del genere, e ad essa il Tasso dedica una delle composizioni poetiche dal titolo Per il presepio di nostro Signore nella cappella di Sisto V in Santa Maria Maggiore.
L’uso di presepe in questo senso pare invece molto più tardo: il GDLI riporta come primo esempio un passo dei Ricordi giornalistici di Federico Verdinois datati 1920.

Nella lessicografia successiva alla IV Crusca, con poche eccezioni, è registrata la coppia presepe /presepio, con diverse valutazioni del reciproco rapporto. Tra i dizionari post-unitari di impronta toscanista e fino a tutta la prima metà del Novecento presepe appare spesso glossato come voce letteraria e poetica, o meno comune rispetto a presepio; si nota anche lo slittamento di significato fino a raggiungere la sinonimia col tradizionale capannuccia; è da rilevare che spesso gli esempi di contesti d’uso proposti in questo caso presentano la forma presepio.

Dalla seconda metà del secolo scorso si tende a operare una distinzione unicamente sul piano semantico, applicando la glossa “letterario” al valore di ‘stalla, mangiatoia’, sancendo così la raggiunta sostanziale parità nell’uso tra i due lemmi, a meno che non si risolva il rapporto in termini di diatopia: dal 1971 al 2014 presepe è glossato come “non toscano” nel Devoto-Oli. Sembrerebbe quindi del tutto scomparsa la distribuzione per ambito d’uso tra le voci che vedeva presepe come voce letteraria o poetica, specie dopo che anch’esso è passato a indicare la rappresentazione natalizia; se eventualmente oggi possiamo notare una restrizione nell’impiego dei termini è a scapito di presepio che sembra aver perso terreno anche in Toscana.

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