Per chi cercasse di farla, non ci sono le premesse. Si intende, in questo caso, la polemica del giovane di belle speranze schiacciato da un vecchio ottuso e legato al passato. Un cliché che è piaciuto molto agli inglesi del Remain (“Gli anziani ci rubano il futuro”, dicevano, fino a chiederne l’interdizione per età eccessiva), che in tanti hanno riproposto per la vittoria di Donald Trump. Per l’Italia del referendum, come sempre eccezione delle eccezioni, non funziona. Secondo le prime elaborazioni, i giovani hanno votato No. Gli under 34 hanno votato contro la riforma in una forbice compresa tra il 69% e l’81%. Gli anziani, secondo altre rilevazioni, hanno votato Sì. Il giochino si è inceppato. Forse perché in Italia va tutto alla rovescia?
Può essere. Di analisi minuziose abbondano le pagine dei giornali e i servizi dei telegiornali. Il punto, modesto, di LinkPop, è un altro ed è molto semplice. I giovani, come recitava Massimo Fini in un antico articolo (ma sempre attuale) “non esistono”. Una semplificazione, ma che ha il merito di segnalare che l’età anagrafica non è sempre un riferimento attendibile per formare categorie sociologiche. “Esistono gli operai giovani, gli impiegati giovani, i contadini giovani, i borghesi giovani, ma non esiste una classe di giovani che abbia caratteristiche di omogeneità che vadano oltre alcuni stereotipi di superficie”. Questo scriveva nel 1980, ma vale ancora.
Anche perché (contadini a parte) le cose non sono cambiate molto: certo, ora ci sono i giovani startupper (ma quanti sono?) e molti più giovani disoccupati – sia al Nord, sia (e di più) al Sud. Più ancora che nel 1980, ci sono giovani che vanno all’estero per sfondare e giovani che vanno all’estero per raggranellare qualche soldo. I giovani possono essere illusi, e possono essere stati delusi. Ci sono ancora i giovani operai (non gli stessi degli anni ’80) e i giovani impiegati. E ancora: ci sono giovani borghesi e i giovani piccolo-borghesi. I ricchi giovani e i poveri giovani. Insomma, i giovani sono tutti diversi, e la categoria del Millennial funziona (forse) soltanto per definire i consumi perché, come scriveva sempre Fini, “i giovani sono conformisti. Basta vedere come vanno vestiti: tutti allo stesso modo. Come si muovono: tutti alla stessa maniera. Cosa pensano: le stesse cose”. Ma per il resto, non ci sono giovani che fanno i giovani.
Basarsi sui giovani in quanto giovani è, allora, un errore strategico. Ci casca chi non vede più che la gioventù è solo retorica: giovani che vogliono il cambiamento, che chiedono la novità, che aspettano la loro occasione esistono solo nella propaganda. Quando si è trattato di cambiare, hanno preferito di no. Perché? Chi può dirlo. Forse perché non sono davvero rivoluzionari come si dice (ma la riforma della Costituzione è una rivoluzione?) o forse perché, alla fine, il governo ha preferito avvantaggiare con una serie di bonus e aiuti economici i pensionati, perché sono di più, a discapito dei meno numerosi venti-trentenni. Tutto ai vecchi e niente ai giovani. Ecco, in questo modo sì che hanno creato la categoria dei “giovani”. Penalizzandoli.
Se è così (discussioni costituzionali a parte), i soldi si confermano una materia decisiva. Di fronte ai soldi i giovani non sono né più puri né più idealisti come spesso si vorrebbe – e ci mancherebbe. Sono proprio come i loro omologhi più anziani, con la differenza che loro, i soldi, non li hanno ricevuti. E in un’ottica di ampio respiro, questo è stato il più grande errore del governo.