Star Wars è come il pesce, dopo un po’ puzza

Dopo l'episodio VII dell'anno scorso, ora è la volta del primo di tre spin off della saga ideata da George Lucas. Si intitola Rogue One, racconta un episodio di poco precedente ai fatti dell'Episodio IV, ma, tentando di rendere realistico l'universo narrativo di Star Wars, fallisce

Un proverbio contadino che non ha età e che è tanto vero da essere il primo comandamento di una religione dice che del porco non si butta via niente. Ed è tanto sacro il porco che sono secoli che ci inventiamo ogni modo per non buttare nemmeno una fibra di muscolo, un grammo di grasso, un tendine o un centimetro di trippa di quella santa bestia. La stessa cosa accade con Star Wars, una delle saghe più prolifiche del cinema, 40 anni di storia alla spalle, 7 episodi ufficiali e, da pochi giorni, anche uno episodio collaterale intitolato Rogue One: A Star Wars Story e girato da Gareth Edwards. L’unica differenza tra Star Wars e il maiale è che la saga fantascientifica di George Lucas, all’ennesima operazione di sfruttamento, più che al maiale somiglia al pesce — o a certi ospiti — e puzza.

Rogue One non è una operazione derivativa di spin off. Non si inventa nulla. Non procede lungo sentieri narrativi paralleli, ma si limita piuttosto a riempire un non detto che sta alla base dell’episodio IV: come hanno fatto i ribelli a entrare in possesso dei piani di progettazione della Morte Nera? Una domanda che pare essere venuta in mente a John Knoll, uno che a lavorato come supervisore agli effetti visivi in quattro dei set delle puntate precedenti, ma che a livello narrativo, per uno spettatore normale, è completamente ininfluente. La sospensione volontaria dell’incredulità, infatti, serve proprio per questo, a poter dare per scontato qualche passaggio. È così che quando inizia Una nuova speranza nessuno si chiede come diavolo faccia Leila ad avere i progetti della Morte Nera. Ce li ha, punto.

Per la natura dell’operazione, quindi, quando lo spettatore si siede sulla sua poltroncina al cinema sa benissimo dove andrà a parare lo spettacolo a cui sta per assistere. Certo, non sa esattamente come, ma non può avere alcun dubbio che, alla fine del film, quei dannati piani di progettazione della Morte Nera giungeranno nelle mani di Leila. Sapere dove va a parare un film già dalla partenza non è un problema, anzi. In Breveheart lo sappiamo benissimo che alla fine William Wallace verrà fatto a pezzi. Esattamente come in Robin Hood sappiamo che alla fine ritorna re Riccardo, o come, nel Signore degli anelli, che alla fine vincono i buoni.

Il problema di questo Rogue One quindi non è il punto di arrivo, chiaro fin dal principio, né quello di partenza, arbitrario come lo sono tutti i punti di partenza di qualsiasi storia. Il problema di Rogue One è che non ci scorre dentro la Forza. Ma proprio per niente. Gareth Edwards, infatti, oltre a fare a meno dei classicissimi titoli iniziali a scomparsa, ha fatto a meno anche della mistica, ovvero di quello che è il più potente ingrediente segreto di Star Wars, girando, in fin dei conti, un film di guerra virato al realismo e ambientato nello Spazio.

Edwards ci ha provato: sapendo di non poter fare un vero Star Wars — probabilmente non ne aveva nemmeno il mandato, e ci sta anche — ha provato a buttare su quell’immaginario le sfumature di grigio che non ha mai avuto. Per la prima volta, il mondo in cui si muovono i nostri eroi non è un mondo in bianco e nero, fatto di eroi e di cattivoni. Il tranquillizzante manicheismo della saga originale qua si sfilaccia, tanto che persino i ribelli, per una sorta di eccesso di politically scorretness, non sono buoni tout court e lo confessano pure: tradiscono, giocano sporco e sanno essere cattivi.

Ma Star Wars è una favola e come ogni favola si regge su tutti questi elementi: mistica, soprannaturale e manicheismo. E se ci vuoi tirare fuori l’ennesimo film derivato e, contemporaneamente, per distinguerti fai quello che lo vuol rendere realista e questi ingredienti ce li togli alla fine non ti resta in mano nulla. E se poi in quel nulla non riesci nemmeno a buttarci una spruzzata di epica, se non riesci nemmeno a tirarmi fuori una emozione, be’ allora hai sbagliato qualcosa: hai provato a uscire dal tempio di Alessandretta con il Graal in mano e, come Indy insegna, ti è crollato addosso tutto.

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