TaccolaUn Paese verde solo a parole: scendono ancora gli investimenti per l’ambiente

Chiudono le fabbriche ma quelle che rimangono in piedi tagliano sugli investimenti per la prevenzione dell’ambiente. Tra le Pmi il calo è drastico. E se si interviene lo si fa solo mettendo le toppe

Christopher Furlong/Getty Images

Tra dire e il fare c’è di mezzo una crisi che non ci molla. E così, in mezzo a mille discorsi a favore dell’ambiente e qualche passo avanti sulle rinnovabili, dobbiamo fare i conti con la realtà: gli investimenti delle imprese industriali per la protezione dell’ambiente scendono. E non di poco. E non da ora: se si fa un confronto con gli ormai sbiaditi anni pre-crisi, c’è da preoccuparsi per come sta diminuendo l’attenzione per la mitigazione, e ancor più la prevenzione, dell’inquinamento. Gli ultimi dati, da poco diffusi dall’Istat, arrivano un po’ in ritardo, ci parlano del 2014. Ma segnalano una tendenza che continua da tempo. Vediamoli: nel 2014 la spesa a favore dell’ambiente è scesa del 19,7 per cento, poco meno di un quinto in un solo anno. Se pensassimo a calo dopo un risultato strabiliante ci sbaglieremmo. Il 2013, si scopre spulciando nell’archivio dell’istituto di statistica, si era chiuso con una discesa degli investimenti del 16,9 per cento. E se si va indietro fino al 2008 si vede che le cose hanno continuato a peggiorare. Un solo dato: gli investimenti per la protezione dell’ambiente nel 2014 sono stati pari a 1,1 miliardi di euro; nel 2008, sul limitare della Grande Crisi, furono di 1,8 miliardi.

L’obiezione immediata è che, nel frattempo, è scesa anche la produzione industriale. Ma la realtà è che, pur essendo scesi tutti gli investimenti, sull’ambiente si è tagliato di più. A dirlo sono altri due parametri rilevati dall’Istat. Il primo è la quota degli investimenti per la protezione dell’ambiente sul totale degli investimenti fissi lordi: era il 3,8% nel 2008, è scesa al 3,2% nel 2014. Ancora più sconcertante la spesa per addetto, precipitata da 407 a 294 euro. In questo caso davvero si parla di medie del pollo, perché si oscilla dai 93 euro delle Pmi agli 899 euro delle grandi imprese.

D’altra parte l’Istat ci informa che nel 2014 a rimandare tutto quello che era rimandabile sono state le piccole e medie imprese: la discesa è stata del 41 per cento, mentre le aziende industriali con più di 250 dipendenti hanno fermato l’emorragia a un decimo. L’anno prima il calo era stato però dovuto a loro, mentre le Pmi avevano avuto un sussulto.

L’obiezione immediata è che, nel frattempo, è scesa anche la produzione industriale. Ma la realtà è che, pur essendo scesi tutti gli investimenti, sull’ambiente si è tagliato di più

Tra le imprese, come prevedibile, spendono di più le imprese più inquinanti, quelle dei settori della siderurgia, chimica, conceria e pelletteria. Eppure, come abbiamo imparato dai casi limite delle acciaierie italiane, in testa l’Ilva, è molto più facile e diffuso mettere le toppe che risolvere i problemi alla radice. È lo stesso Istat a usare dei toni di rammarico. «Nel complesso le imprese industriali continuano a effettuare investimenti per rimuovere l’inquinamento dopo che è stato prodotto anziché integrare gli impianti con tecnologie “più pulite” che aiutano a proteggere l’ambiente dagli effetti negativi del processo produttivo».

In termini numerici, il 71% dell’investimento va in impianti e attrezzature di tipo “end-to-end” (cioè per mitigare l’inquinamento avvenuto), come gli impianti per il trattamento o il recupero dei rifiuti, i termoinceneritori, le reti di drenaggio per trattare versamenti di rifiuti o reflui e così via. Il restante 29% va alle attrezzature che si integrano con le attrezzature e degli impianti produttivi. Eppure nel 2008 la proporzione era ancora più sfavorevole (79-21%). Un’unica buona notizia in un mare di numeri preoccupanti.