Governabilità è parola quasi sacra in Vaticano, e nel pieno della crisi politica in cui è precipitato il Paese dopo il referendum dello scorso 4 dicembre, è tornata di fortissima attualità fino a risuonare come un mantra oltre le mura leonine. Se insomma nelle settimane e nei mesi precedenti, il dibattito sulla riforma costituzionale aveva creato diversi ‘partiti’ anche Oltretevere, dove non mancavano sostenitori prudenti o convinti della legge Boschi, o avversari (molti) del governo e della riforma, oltre a una fazione di indifferenti-scettici, il big bang referendario con la netta vittoria del ‘no’, ha ricompattato la Chiesa su una posizione comune: finisca il tempo delle divisioni, è il momento di ricucire gli strappi e dare risposte a molte questioni aperte.
Per questo il governo guidato da Paolo Gentiloni, dicono in Vaticano, non può essere solo un traghettatore verso il voto. Matteo Renzi viene giudicato severamente per aver favorito la crescita della conflittualità e delle contrapposizioni nel Paese, di conseguenza viene scaricato senza tanti complimenti…almeno per ora; in particolare prendono le distanze dall’ex premier quei settori legati ai gesuiti, l’ordine religioso cui appartiene il Papa, che avevano accompagnato con aspettative tutto sommato positive e con un certo consenso il processo di riforma costituzionale avanzato dal governo. D’altro canto, e al contrario, nell’episcopato italiano il Renzi cattolico che faceva approvare le unioni civili non era mai piaciuto, e anzi più d’uno fra i vescovi gliel’aveva giurata.
In Vaticano sanno bene, in ogni caso, quanto siano varie e multiformi le fluttuazioni politiche italiane, di governi in questi settant’anni ne hanno visti a iosa, così come di partenze e di ritorni.
Matteo Renzi viene giudicato severamente per aver favorito la crescita della conflittualità e delle contrapposizioni nel Paese, di conseguenza viene scaricato senza tanti complimenti…almeno per ora
Tuttavia, se il Papa neanche questa volta è intervenuto direttamente negli affari politici della Penisola, fedele a quanto disse circa un anno fa – «nella politica italiana non m’immischio» – dopo il referendum, dal Vaticano hanno battuto un colpo bello forte. Nell’ultimo numero del 2016 della Civiltà cattolica diffuso il 29 dicembre (la rivista dei gesuiti le cui bozze vengono controllate dalla Segreteria di Stato), è apparso un articolo che più chiaro non poteva essere. “In questo tempo di crisi istituzionale – si leggeva infatti – auspichiamo che tutte le forze politiche facciano ognuna un passo indietro e insieme due in avanti, nell’interesse del Paese. La crisi istituzionale può essere risolta solo con l’assunzione di un alto senso di responsabilità: se l’auto che si stava guidando è finita nel fosso, responsabile del tirarla fuori e guidarla fino all’officina delle nuove elezioni è la principale forza di Governo. Il resto delle forze politiche è invece chiamato a garantire stabilità al Paese almeno fino all’evento del G7, in programma a Taormina nel prossimo maggio”. Il “fosso” nel quale è finita l’auto non poteva che evocare il guidatore, ovvero l’ex presidente del Consiglio Matteo Renzi, e il riferimento al G7 di maggio faceva intendere che la data delle elezioni doveva essere posticipata oltre giugno poiché l’affidabilità internazionale del Paese costituiva un bene superiore alla contesa elettorale.
Per far capire che non si trattava di parole casuali, veniva citato pure quanto affermato dal Segretario di Stato, cardinale Pietro Parolin alla Radio Vaticana sulla situazione politica nazionale: “Seguiamo con molta attenzione tutte le vicende. L’Italia in ogni caso ha le risorse umane e spirituali per affrontare questa nuova fase e trovare delle soluzioni. Tutti dobbiamo avere un grande senso di responsabilità, e devono averla le forze politiche e cercare l’unità”. Unità, dalle parti del Vaticano, significa governabilità, condivisione delle scelte, maggioranza ampie in Parlamento; in sostanza pedalare tutti nella stessa direzione senza fare storie. È chiaro, in tale visione, che in primo luogo c’è un severo richiamo al Pd, poi a quell’opposizione guardata con sempre maggior allarme dalla Santa Sede, anche per la prova di governo a dir poco incerta che sta dando nella capitale d’Italia e della cristianità.
La stella polare del Vaticano resta il Quirinale dove risiede un cattolico di vecchia data come Sergio Mattarella, e poi c’è Paolo Gentiloni alla guida del nuovo esecutivo. Il quale sarà pure un laico a tutto tondo, e tuttavia dalle parti di San Pietro non dimenticano che insieme al sindaco Francesco Rutelli, gestì quel Giuibileo del 2000 che rimane – fra successi e limiti, fra grandi eventi, opere utili e qualche mega parcheggio mezzo vuoto, un modello al quale – anche a causa delle miserie odierne – si guarda ormai con nostalgia. In questo quadro, dai sacri palazzi, arriva un ammonimento preciso: “Più che di elezioni imminenti o di governi tecnici, il momento d’incertezza in cui versa il Paese parrebbe esigere un esecutivo di responsabilità, in cui il Pd — che ha 301 deputati e 113 senatori — si assuma le responsabilità di risolvere i problemi urgenti dell’economia, continui il confronto con l’Europa sui migranti, rafforzi la politica del lavoro e ritorni a uno stile di governo non rissoso e abbia il coraggio di riprendere il cammino delle riforme”.
La stella polare del Vaticano resta il Quirinale dove risiede un cattolico di vecchia data come Sergio Mattarella, e poi c’è Paolo Gentiloni alla guida del nuovo esecutivo
Tuttavia la cronaca incombe, e allora in Vaticano oltre alle prospettiva generali, guardano agli aspetti concreti, al salvare il salvabile di una situazione giudicata critica, e non da oggi. Se si fa una legge elettorale proporzionale, rileva la Civiltà Cattolica mettendo il dito nella piaga, serve uno sbarramento del 5% e la sfiducia costruttiva per dare stabilità all’esecutivo, altro che chiacchiere. E poi la riforma costituzionale, giudicata necessaria nel suo insieme, potrà essere approvata, un provvedimento per volta – dal superamento del bicameralismo al rapporto Stato-Regioni – da voti espressi dal Parlamento a maggioranza qualificata. Insomma, con accordi ben fatti e condotti, non ci sarà più la corrida del referendum e il Parlamento farà quelle riforme comunque necessarie.
Sotto accusa finisce invece la “campagna all’americana”, e “la personalizzazione” del fronte del sì ma, attenzione, neanche la minoranza del Pd si salva: “Nessun esponente del partito di Governo, invece – afferma il periodico del gesuiti – può chiamarsi fuori da una riforma da tutti votata in Parlamento”. Roberto Speranza e soci sono serviti. D’altro canto la Civiltà cattolica sul Pd e il suo stato di salute non fa sconti: “Ciò che sembra urgente è un congresso del Pd in primavera, per capire se potrà rimanere unito o no e ridefinire obiettivi, programma e regole interne”. Questioni che, almeno in parte, sono state eluse dalla discussione dentro il partito di maggioranza relativa. Così fra legge elettorale, crisi economica, problema migratorio, G7, congressi e riforme varie, le forze politiche più che al voto, è il messaggio non equivoco che arriva dal Vaticano, devono pensare a governare; per le campagne elettorali ci sarà tempo.