Non solo Isis, il pericolo viene dal degrado delle periferie italiane

Dal falò di via Gola, alla rivolta del Cpa di Cona. Due storie del primo dell'anno, che raccontano quanto lo Stato si sia ritirato dalle nostre banlieue. Vanno bene i cecchini sui tetti per proteggerci dall’Isis, ma la nostra sicurezza dipende soprattutto dalla quotidiana follia delle nostre città

Mettiamo i cecchini sui tetti a Capodanno, poi succede che a Milano – via Gola, il quartiere dei pusher e delle occupazioni abusive a due passi dalla passeggiata del lusso – si ripeta la “tradizione antagonista” di un falò di mezzanotte, menino un residente che protesta, arrivino i pompieri, i pompieri siano accolti a bottigliate, l’incendio minacci le case e boh, è andata così. Mettiamo i cecchini sui tetti a Capodanno poi succede che a Venezia, Cpa di Cona, la venticinquenne Sandrine Bakayoko si senta male, muoia prima che arrivi l’ambulanza, e i suoi amici – mille in una gabbia costruita per seicento persone – si infurino, sfascino tutto, costringano medici e operatori a chiudersi in un container per tutta la notte, e anche qui boh, è andata così.

Nella straordinaria amministrazione contro il terrorismo, insomma, siamo bravissimi. Abbiamo l’intelligence. Abbiamo l’esercito. Abbiamo pure, da quest’anno, i cecchini sui tetti per sorvegliare le modeste feste da crisi che si svolgono nelle nostre città. È nell’ordinario che siamo catastrofici, slabbrati, perdenti: e l’ordinario conta moltissimo perché da noi, a differenza che in Francia e che in Germania, la percezione di insicurezza e disagio non è legata allo choc di un pazzo che spara col mitra in una discoteca ma dalla quotidiana sensazione che lo Stato si sia ritirato da certi posti, non se ne interessi più, li abbia abbandonati alla legge del caso e del più forte.

Le vicende di via Gola e di Cona sono diversissime, ma raccontano entrambe questo indecente ripiegamento del pubblico. A Milano, nella zona di via Gola, si contano più di ottocento appartamenti dell’Aler un quarto dei quali è occupato abusivamente. Il centro sociale Cuore in Gola, tendenza anarchica, da tre anni festeggia il 31 dicembre ammucchiando mobili vecchi e robaccia in mezzo alla strada e dandogli fuoco. E’ un atto di forza che segnala l’extraterritorialità del quartiere, prima piazza di spaccio del nord, la Scampia di Milano, più o meno tollerata da tutte le amministrazioni: quando tre anni fa si tentò un intervento, il commissariato locale fu assaltato e non se ne parlò più. A Venezia il centro di identificazione per rifugiati, al di là del nome altisonante, è una tendopoli nel nulla. Ospita oltre mille persone. Non c’è un bar ne’ uno spaccio. È stato creato per sopperire alla mancanza di posti in Veneto, dove i comuni resistono al piano di distribuzione dei profughi sul territorio. Molti sono lì da un anno. Le foto mostrano enormi hangar di tela impermeabile suddivisi in centinaia di loculi con cartone e coperte, miserabile espediente per un po’ di privacy: una scena da terzo mondo, e non è difficile capire come basti una scintilla per provocare un incendio di rabbia.

Da noi, a differenza che in Francia e che in Germania, la percezione di insicurezza e disagio non è legata allo choc di un pazzo che spara col mitra in una discoteca ma dalla quotidiana sensazione che lo Stato si sia ritirato da certi posti, non se ne interessi più, li abbia abbandonati alla legge del caso e del più forte

Mettiamo i cecchini sui tetti, ecco, ma intorno alle nostre feste sorvegliate da tiratori scelti c’è questa roba qui, ed è difficile immaginare che la convivenza, la sicurezza, lo Stato, si salvino se non ritornano a esistere nelle enclave della paura e della disperazione che si allargano a ridosso delle nostre città. Neanche l’alibi di dire: è il solito Sud, problema endemico, che ci vuoi fare? E’ civilissimo il nord-ovest, il laboriosissimo nord-est, e il fatto che queste macchie della vergogna stiano estendendosi a latitudini impensate autorizza il sospetto di un silenzioso patto con questo tipo di situazioni, simile all’antica non-ingerenza con la mafia: noi ci giriamo dall’altra parte, voi cercate di limitare i fastidi. Nessuno sembra interessato a intestarsi una guerra con le banlieu dello spaccio. Nessuno vuole il fastidio politico di un braccio di ferro con i sindaci del No ai rifugiati.

Mettiamo i cecchini sui tetti, allora, e speriamo che bastino per dare ai cittadini la sensazione di essere al sicuro e di potersi fidare dei pubblici poteri. Ma a via Gola già non basta più da un pezzo, e a Cona figuriamoci, e a Roma c’è Tor Sapienza, lo sbando irrisolto del Baobab, a Napoli i quartieri di Gomorra, e Caivano, e la naturale abilità degli italiani nell’autogoverno delle emergenze e nell’integrazione spontanea del diverso già comincia a mostrare la corda, non potrà reggere a lungo: passato Capodanno, passati i cecchini, magari è tempo di pensarci.

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