«L’aeroporto del Mela si farà». Meno male che ci sono le certezze incrollabili della Gazzetta del Sud a toglierci con gli indicativi ogni dubbio sul futuro che ci aspetta. Perché, sì, Messina avrà il suo aeroporto. Sicuro. E i soldi, 300 milioni, li metterà un imprenditore indiano, Mahesh Panchavaktra. E il modello è l’aeroporto di Dubai, una cosuccia da 78 milioni di passeggeri, giusto l’hub di Emirates. I lavoratori saranno 1.500 e con l’indotto si arriverà a 5mila. Tutto questo sorgerà nella vale del Mela, vicino Milazzo. L’opera, che “si innesta in maniera armonica con porto, svincoli autostradali e ferrovia”, ci informa il quotidiano, sarà costruito nel tempo record di 18 mesi, non avrà alcun impatto sul territorio e sarà autonomo dal punto di vista energetico, visto che sarà circondato da centinaia di pannelli solari. Un sogno. Anzi, una “concretezza”, dato che non solo lo dimostrano gli studi di settore svolti dalla società indiana nella provincia negli ultimi quattro anni, ma perché è già arrivato il via libera da parte del consiglio comunale del Comune di Pace del Mela, 6mila abitanti. Nel paese della Madonna della Visitazione, una visita dell’imprenditore indiano c’è stata effettivamente, alla fine di dicembre, e la ripresa dell’evento ha coinvolto tutti i media locali e non, dal Giornale di Sicilia alla Repubblica. L’appoggio non arriva solo dai politici locali (il sindaco di Milazzo, Giovanni Formica, anzi, nel 2015 sollevò molti dubbi al riguardo), ma anche dall’assessore regionale alle attività produttive Mariella Lo Bello e, a livello nazionale, dal vicepresidente della Comissione Trasporti della Camera, il messinese Vincenzo Garofalo.
Ora, si potrebbe anche evitare il sarcasmo e provare a credere al progetto, ma basta fare un piccolo sforzo di memoria (per esempio ricordare che dell’aeroporto si parlò per la prima volta nel 1955, alla vigilia delle elezioni regionali) e sentire un sindacalista di quelli seri per tornare con i piedi per terra. In Sicilia, che ha quattro aeroporti sull’isola (Catania, Comiso, Palermo, Trapani) e due nelle isole minori di Lampedusa e Pantelleria, in maniera ricorrente saltano fuori progetti per nuovi aeroporti. Come dimenticare, tra il 2009 e il 2010, le manifestazioni e gli entusiasmi per l’aeroporto di Agrigento? Per la pista, che sarebbe sorta presso Licata, sono nelle cronache le promesse di “fare di tutto per la realizzazione” dell’allora ministro della Giustizia Angelino Alfano. Portò, possiamo immaginare con quale entusiasmo, l’ex presidente della provincia di Agrigento Eugenio D’Orsi e l’ex presidente della Regione Siciliana Raffaele Lombardo, all’Enac. Vito Riggio, presidente dell’ente aviazione civile, benché siciliano originario di Barrafranca (Enna) garbatamente sbatté la porta in faccia a tutti quanti. Anche allora, nonostante il piano nazionale aeroporti fosse una bozza, era già chiara l’impossibilità di costruire nuovi aeroporti. Eppure, allora si parlò dell’interesse di un’azienda svizzera che aveva intenzione di investire – la società, la Blue Iron Group, 100mila euro di capitale sociale, si era messa alla guida di un consorzio temporaneo di imprese e aveva affidato la pratica a un messinese. E se ne parlò molto: alla ricerca “progetto aeroporto agrigento” Google sputa oltre 125mila risultati.
Allora dunque erano gli svizzeri. Poi toccò ai cinesi, a Enna. La cosa sembrò anche più seria, per un certo periodo. Lo scalo avrebbe dovuto essere destinato al cargo e i costi tutti sarebbero stati a carico degli investitori stranieri. Come poi successe a Parma, dove doveva rinascere l’aeroporto della Food Valley emiliana, i cinesi poi si eclissarono. Era tutto un sogno, pardon, una concretezza, anche allora: 5 chilometri di piste, un costo stimato in 300 milioni di euro per un aeroporto intercontinentale a Centuripe, a pochi chilometri da Enna e da Catania, vicino al porto di Augusta. Appoggio, neanche a dirlo, dell’ex presidente siciliano Raffaele Lombardo. E infiniti articoli a commento (75mila risultati per “aeroporto Enna cinesi”).
Dell’aeroporto di Messina si parlò per la prima volta nel 1955, alla vigilia delle elezioni regionali. Ma da Agrigento a Enna, periodicamente tornano in auge progetti per nuovi scali promessi dai politici locali
Trecento milioni, vicinanza alle ferrovie, imprenditore straniero pronto a investire: sono gli ingredienti del nuovo scalo “modello Dubai” di Messina. Perché non dovrebbe funzionare ora? Per alcuni motivi. Primo: la realizzabilità economica. La zona non ha sufficienti attività industriali che giustifichino l’investimento. Due di queste, la raffineria di Milazzo e la centrale termoelettrica, sarebbero invece troppo vicine, per chi è contrario all’opera, all’area individuata per lo scalo. Secondo: con la probabile chiusura prossima dell’aeroporto di Reggio Calabria, l’area ha dimostrato di non riuscire a sostenere un aeroporto da poco meno di 500mila passeggeri; il break even point attuale di un aeroporto si attesta a circa un milione di passeggeri (fonte: Unioncamere) e la recente chiusura dello scalo di Crotone dovrebbe ricordarlo. Terzo: il progetto di farne un hub del cargo si scontra con la presenza minima di cargo nel grande e maturo aeroporto di Catania (1/130 di Malpensa) e nulla in uno scalo giovane come Comiso che pure è circondato da produttori di primizie che beneficerebbero di tempi rapidi (fiori, pomodori di Pachino e ortofrutta pregiata). Quarto: pur essendoci una piana, non siamo nel deserto (nonostante il modello sia Dubai) e ci sarebbero da mettere in conto i costi degli espropri. In un progetto del 2007, per lo stesso aeroporto, furono conteggiate in 250 le abitazioni da abbattere.
Quinto: il piano nazionale aeroporti, volto alla razionalizzazione degli scali, ha congelato la costruzione di nuovi aeroporti e previsto la marginaizzazione degli scali minori. Sesto: con l’eccezione di un ampliamento della pista di Brescia è dal progetto di Malpensa 2000 che non si costruiscono nuove piste in Italia. L’aeroporto di Comiso fu una conversione di uno scalo militare e la sua sopravvivenza è legata a un legame con Catania in logica di sistema e con la giustificazione degli stop periodici imposti dall’attività vulcanica dell’Etna. Settimo: gli aeroporti, anche se privati, hanno costi pubblici di vigili del fuoco, polizia e assistenti di volo, su cui – nonostante siano stato il fattore che ha bloccato l’apertura di Comiso per anni – si sta allegramente sorvolando. Ottavo: il presidente dell’Enac Riggio anche questa volta ha dichiarato di non essere mai stato consultato al riguardo e poi a La Sicilia ha espresso la sua contrarietà, quasi una pietra tombale: «Ma quale aeroporto – ha detto -. In Sicilia non si devono fare altri aeroporti perché quello che ci sono bastano a coprire le esigenze di tutti. Dicono che il costo sarebbe tutto a carico di una holding indiana, ma questo non vuole dire niente: per certe cose bisogna andare al ministero del Trasporti, poi all’Enac e all‘Enav e via di questo passo. Del progetto si è parlato dieci anni fa, abbiamo studiato la situazione e deciso di non fare niente perché il territorio non sarebbe stato in grado di supportare l’aeroporto».
Ci sono almeno una dozzina di motivi per diffidare degli annunci sull’aeroporto di Messina. Uno su tutti: la valutazione già fatta dall’Enac, conclusa con una bocciatura nettissima
Nono: l’imprenditore Mahesh Panchavaktra (qui il profilo Linkedin), del gruppo omonimo. Specializzato in energie rinnovabili, infrastrutture e logistica, potrebbe anche avere degli interessi nella costruzione dello scalo. Ma vale la pena ricordare un precedente: nel 2012 si lo stesso Panchavaktra si fece avanti per rilevare la compagnia aerea catanese Windjet di Antonino Pulvirenti, poi fallita (Pulvirenti è stato arrestato nel gennaio 2016 per bancarotta fraudolenta, ed è tornato in libertà a giugno). L’offerta fu ritirata. La Repubblica, nell’edizione di Palermo, ha avuto gioco facile a ricordare i tanti imprenditori stranieri apparsi e poi scomparsi in questi anni in Sicilia per risolvere problemi di lungo corso, dalla squadra di calcio del Palermo allo stabilimento ex Fiat di Termini Imerese. I cavalieri bianchi, in quest’ultimo caso, avrebbero dovuto essere prima gli indiani di Reva e poi la Grifa, sostenuta da un fondo brasiliano poi rivelatesi una scatola vuota (l‘esito è stato poi positivo grazia a un’impresa di Torino, la Blutec). Un esempio positivo ha riguardato l’aeroporto di Trapani Birgi, ma in quel caso l’imprenditore arrivato, l’argentino Eduardo Eurnekian, aveva ben altro background alle spalle (con la sua Corporación América è proprietario degli scali di Pisa e Firenze).
Altri motivi contro l‘aeroporto li cita il sito lacittadimilazzoblog.it: «Problemi di sicurezza in quanto la pista sarebbe troppo vicina agli insediamenti industriali (raffineria e centrale termoelettrica); andrebbero espropriati i terreni utilizzati dalle aziende florovivaistiche ed agricole che costituiscono il vanto della nostra comunità e una delle maggiori fonti di reddito rischio esondazione, in un’area che già nell’ultimo quinquennio ha subito due alluvioni».
Ora sicuramente andrà diversamente e tra due anni ci sarà l’aeroporto più sostenibile del mondo. Ma sarebbe il caso di farselo ancora venire. O metterla in poesia, come fa lacittadimilazzoblog.it: « (…) Ai propositi assai insani / degli investitori indiani / rese quindi, scuro in faccia / il Mela pane per focaccia / agli indù mostrò il suo volto / più riottoso, e l’aeroporto / tornò a esser solo fuffa / (se non proprio una gran truffa) / spinta alla sua sorgente / da una stampa connivente / ma col veto, giù alla foce /posto all’assessore Croce».