TaccolaAl diavolo i metri quadri, la casa del futuro è piccola, sicura e connessa

Come cambiano le preferenze dei clienti che cercano casa: non si chiedono più abitazioni grandi ma posizionate in posti sicuri, puliti e connessi. Le stanze più importanti? Camerette e cucina

Le nostre case cambiano continuamente. I nostri salotti diventano sempre più inutili, le cucine tornano a essere centrali, così come le camere da letto. Ma soprattutto, è cambiato tutto su quello che ci aspettiamo dalle nostre case. In una parola: i metri quadrati hanno perso radicalmente la loro importanza. Non solo: non ha proprio più senso parlare di mercato immobiliare, ma casomai di tanti, variegatissimi, mercati. Dove il prezzo cambia non più tra centro e periferia, ma tra palazzo e palazzo, perfino da piano a piano. Sono alcune delle provocazioni lanciate durante Immonext, un evento organizzato dalla società di annunci immobiliari Idealista, arrivato in Italia (venerdì 17 febbraio, al Teatro dell’Arte della Triennale) dopo che da anni è un appuntamento fisso in diverse città europee. Il formato è quello degli speech da 15 minuti, sul modello dei TEDx. Si alternano in tredici tra analisti, docenti universitari, professionisti dell’immobiliare, giornalisti. Le provocazioni su come cambia il nostro rapporto con le case le lancia soprattutto Fabio Guglielmi, direttore della società Sant’Andrea Luxury Homes.

Si comincia da una constatazione: è finita un’era durata decenni in cui si era sicuri di rivendere la propria casa e di rivenderla a prezzi crescenti. Oggi ci sono zone che hanno perso il 50% del valore rispetto al 2007, altre il 15 per cento. «Il lusso non è più distinto tra centro e periferia», spiega. Un esempio classico è la zona di Porta Nuova a Milano. Era semi-periferia, oggi è un nuovo centro. «Il lusso è il palazzo, fianco a fianco ci sono case da 15mila e altre da 4-5mila euro al metro quadrato». E «il lusso è il piano: un appartamento al quarto piano costa la metà di uno al 21esimo».

E questo è il lusso. Ma che dire di noi mortali? Anche noi siamo cambiati, e molto. La chiave è l’utilità: sempre più si passa dallo “spend to have” allo “spend to use”. Che valore potrà avere un box a Milano tra 15 anni? Impossibile dirlo, visto il diffondersi dei vari servizi di car sharing e li potenziamento delle linee metropolitane.

Ma il cambiamento entra proprio nelle nostre case. A partire dal famoso “tinello“. Negli anni Settanta era quello, la cucina, il centro di una casa, la zona di maggiore socialità. Negli anni Ottanta abbiamo iniziato a distruggere gli ambienti, abbiamo abbattuto i corridoi, ridotto le dimensioni delle cucine: abbiamo fatto i grandi soggiorni con la cucina a vista o la cucina americana o il cucinotto, perché il soggiorno era diventato il nuovo centro di socialità. Come mai? Per la televisione. «Negli anni Ottanta l’ambizione era di possedere il telecomando. Ora chi possiede il telecomando si ritrova in salotto da solo», spiega Guglielmi. Perché? Perché i ragazzi si sono trasferiti in camera, «dove c’è un’altra socialità, che virtuale ma quanto mai reale». La stanza da letto, che era stata ristretta fino a diventare il luogo dove si va solo a dormire, è diventata invece un luogo da abitare e da cui comunicare. E la cucina? Anche in questo caso c’è un ritorno di gloria, spinta dalla nuova popolarità dei programmi televisivi dedicati e degli stessi chef.

La stanza da letto, che era stata ristretta fino a diventare il luogo dove si va solo a dormire, è diventata invece un luogo da abitare e da cui comunicare. E la cucina? Anche in questo caso c’è un ritorno di gloria

Anche le dimensioni sono cambiate: «Le persone vogliono spendere meno ma avendo quello che avevano prima. Quindi vogliono una casa più piccola ma che risponde alle nuove necessità. Se dovessi richiedere una casa nuova oggi, chiederei allo sviluppatore una camera in più piuttosto che un soggiorno molto grande», spiega Guglielmi.

Ma soprattutto sono cambiate le priorità che sono considerate quando si acquista una casa. In breve: il metro quadrato non conta più. Cosa vuole un cliente, invece? «La prima richiesta è la sicurezza. Si vuole un quartiere sicuro, in cui non bisogna guardarsi attorno quando si entra in casa – risponde il direttore commerciale della società di vendita di immobili di lusso -. Poi si cerca un quartiere pulito. E connesso, nel senso che da lì si possa raggiungere qualsiasi posto di interesse nella città. È solo dopo queste che arrivano le richieste sui metri quadri. Lo slogan è “meno metri quadrati, più servizi”».

Tutti gli interventi hanno però affrontato il tema dei cambiamenti sociali, a partire dalle scelte dei Millennials, sempre più orientati, anche per necessità, a scegliere l’affitto. Fino agli scenari futuri della diffusione dei “nomadi digitali”, senza una vera residenza (a loro l’Estonia ha già proposto la “residenza digitale”). Un quadro già attuale riguarda la diffusione di due fenomeni ispirati alla sharing economy: il co-working e il co-housing. Ne ha parlato Giovanni Grassi, general manager di MADE expo, la fiera dell’edilizia che si terrà alla Fiera Milano Rho tra l’8 e l’11 marzo e che propone una serie di approfondimenti mensili tramite il suo laboratorio di ricerca, Osservatorio MADE expo. Il co-working non è più visto solo come una necessità, ma un valore che permette di condividere esperienze con persone con cui si hanno interessi comuni. La sua influenza è talmente ampia che al di là delle strutture che si sono diffuse (a Milano i più noti sono i Talent Garden e lo spazio di Copernico Milano), lo spirito di apertura e commistione ha ispirato anche gli uffici tradizionali. Tra tutti, sempre a Milano, la nuova sede di Microsoft, la nuova sede di EY (Ernst & Young) e le nuove filiali di Banca Intesa, che a vario titolo permettono l’ingresso delle persone in spazi comuni aperti a tutti. Diverso è il caso del social housing. Diffuso nel Nord Europa, all’aspetto sociale affianca la possibilità, ancora una volta, di condividere gli interessi. Un esempio su tutti: a Malmoe, in Svezia, c’è il Cykelehuset Ohboy!, un palazzo pensato in tutto e per tutto per gli amanti delle bici: niente garage per le auto, percorsi ciclabili, ascensori pensati per le bici. E in Italia? Siamo quasi all’anno zero. «Finché non sarà spinto da soldi pubblici sarà solo una nicchia per ha una forte spinta motivazionale», mano pubblica che ha spinto i vari progetti europei, compresi i molti in Francia.

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