L’export è diventato un tema di divisione nell’Eurozona, in particolare a causa dello sforamento da parte della Germania del tetto del 6% del surplus commerciale raccomandato (ma non previsto come obbligo) dal trattato di Maastricht. L’accusa è quella di non favorire uno sviluppo degli altri Paesi europei che si otterrebbe se si controbilanciassero le ottime performance dell’export con un aumento delle importazioni. O meglio, di un aumento di investimenti e stimoli per la domanda interna che finissero per favorire anche le importazioni, che ponesse la Berlino come una vera locomotiva europea. Tuttavia, uno studio dell’ERT, la European Round Table of Industrialists, invita a vedere le cose da un altro punto di vista. Questo:
Si tratta della bilancia commerciale dell’intera Unione europea a 28. Il grafico racconta molte cose: che il saldo commerciale dell’Unione è ampliamente positiva e si è capovolta dalla situazione negativa del 2010. Merito di un minore prezzo del petrolio, ma anche di un rafforzamento sul fronte delle esportazioni dei servizi e del manifatturiero. Solo verso la Cina e la Russia (in questo caso esclusivamente per l’energia) il saldo è negativo, mentre è stato sempre più positivo verso gli Stati Uniti e il resto del mondo. Perché questo dovrebbe avere importanza? Perché se l’export non porta di per sé alla crescita, moltissimi posti di lavoro sono legati alle esportazioni. Il grafico qui sotto racconta che sono oltre il 35% di quelli del settore privato, a livello europeo e considerando anche le esportazioni intra-Ue.
Se Germania, Polonia e Olanda sono in vetta, Italia e Spagna vengono subito dopo (considerando il solo Nord Italia saremmo su livelli tedeschi), davanti a Regno Unito e Francia. Anche in Italia oltre il 30% dei posti di lavoro sono legati all’export, di cui la metà derivanti da esportazioni dentro l’Unione.
Per questo, per l’Unione è il nuovo protezionismo che sta crescendo a livello globale il vero avversario da combattere. Protezionismo, che peraltro, è già iniziato ben prima dell’elezione di Donald Trump alla presidenza Usa e che ha avuto un’accelerazione con le sanzioni alla Russia e relative contro-sanzioni. Lo mostra il grafico qui sotto: da meno di 200 nel 2009, le misure restrittive (come dazi e barriere doganali) a livello globale sono salite a più di 800, in attesa di capire quanto ampie saranno quelle dell’era Trump.