“Se vuoi, puoi” è ormai un mantra che avrà confuso migliaia di persone che sicuramente vogliono, ma che non stanno ottenendo niente.
Molti sedicenti “coach” lo utilizzano per pubblicizzare il loro fantastico corso che ti farà diventare ricco in tre giornate o poco più – ma solo se lo vuoi, altrimenti non puoi.
D’altronde, nell’era del tutto e subito, ci siamo dimenticati una lezione che è sempre valida: la perseveranza è tutto.
Volere è fondamentale perché indica la direzione da seguire. Più una cosa è importante e non rappresenta un obiettivo finto, perché vuoi fare colpo su qualcuno o perché vuoi accontentare i genitori o il tuo partner, più avrai la motivazione necessaria per superare i momenti difficili.
Volere però non è potere, mi dispiace, questa volta il proverbio proprio non ci sta. Volere è volere: è solo la capacità di farsi spazio tra obiettivi falsi e imposti dal mondo – spesso facili da raggiungere – e quelli veri che vogliamo noi, che ci renderebbero persone autentiche o che farebbero crescere la nostra azienda, ma che sono dannatamente più difficili da perseguire.
Dopo il volere, viene un verbo che a pochi piace: dovere. Sì, esatto, se vuoi, devi. Non basta desiderare quello che vuoi, chiudere gli occhi e aspettare che il governo ti porga il tuo nuovo lavoro, che il mercato ti faccia crescere, che un benefattore ti regali il negozio bio che vuoi tanto aprire.
Dato che lavoriamo molto con le aziende, ho coniato un acronimo, tanto caro ai manager, proprio per ufficializzare qualcosa di cui tutti parlano ma che prendiamo poco sul serio: il P2P. No, non è il nuovo modello di Playstation, è il “price to pay”, il prezzo da pagare. Ogni “voglio” ne ha uno e tu sai esattamente qual è, se la smetti di raccontarti le storie sul “non ce la farò perché lui/loro/il mercato/la crisi”.
Dopo il voglio quindi devi guardarti allo specchio e farti due domande fondamentali:
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