Da mesi è tra i lbri più venduti e più discussi in Israele. Si intitola Esaudisco il suo volere e l’autrice si chiama Esty Weinstein. Anzi, si chiamava: la Weinstein, 50 anni, ha lasciato questa sorta di testamento prima di scomparire, gli ultimi giorni di giugno. Una settimana dopo la polizia ha trovato il suo corpo nell’auto che aveva parcheggiato in riva al mare.
Il libro è un romanzo dichiaratamente autobiografico, e racconta della vita all’interno della comunità Gur (ebrei ultraortodossi) in cui la donna era cresciuta e aveva vissuto la propria vita da adulta, da moglie e madre. La protagonista del romanzo, Dassy, impiega l’esistenza ad “esaudire il volere”. Dell’Onnipotente, del padre, dei rabbini, del marito sposato per decisione della famiglia ad appena 18 anni, dopo averlo incontrato due sole volte. Di lui la ragazza non sa nulla se non che il suo nome è Yaakov (Giacobbe).
In base alle regole degli ultraortodossi il marito non la chiamerà mai per nome (come fa per attirare l’attenzione della moglie? Con un sibilo, come si può fare con un gatto, o battendo le nocche delle dita su un tavolo), e non può avere con lei contatti fisici diretti (se devono passarsi il figlio che uno dei due tiene in braccio, prima andrà deposto sul letto, e solo in quel frangente l’altro potrà prenderlo). In automobile, la moglie viene relegata sul sedile posteriore. Gli incontri sessuali sono, per espresso diktat dei rabbini, solo due al mese. Una sera, Dassy (che – confida – si sente trattata alla stregua di un pacco) tenterà di convincere un confuso Yaakov a eludere la regola: il marito cercherà un telefono pubblico per consultarsi con il rabbino e dopo un’ora di contrattazioni tornerà con responso negativo.
Esaudisco il suo volere è la storia autobiografica di Esty Weinstein – nel romanzo, Dassy – che impiega tutta la sua esistenza ad “esaudire il volore”. Dell’Onnipotente, del padre, dei rabbini, del marito. Alla fine si arrenderà alla vita
Nel romanzo, la coppia faticosamente si conquista alcuni margini di libertà soprattutto a Tel Aviv, mentre a Gerusalemme resterà ligia alle regole e timorata: ma i familiari di Etsy si sono prodigati nello spiegare che queste parti sono invenzioni della donna, e non rispondono a realtà. Confermano invece un tentativo di suicidio della Weinstein di dieci anni addietro: in seguito Esty parve adattarsi, e tentò forse di fare suo il motto del marito, “Ciò che non si sa, non esiste”. In realtà si arrese: tornò a Gerusalemme, abbandonò la vita da “donna laica” che aveva provato a vivere. Riprese ad accudire le figlie (sette) e a ricoprire la chioma con una parrucca come prescritto.
Qualcosa dentro lei era andato in pezzi per sempre. Esty spiega in una lettera d’addio, prima di suicidarsi, che la scrittura del libro ha riaperto ferite, ha causato nuovo dolore che non è in grado di sopportare. Si vede come una perdente, che ha tentato di opporsi all’establishment e ne è uscita sconfitta: era profondamente convinta di non potere ricostruirsi altra esistenza al di fuori della “setta” dei Gur. L’unica via d’uscita possibile le pare il suicidio, dato che non può confessare in pubblico i suoi dubbi o peccati: così facendo alienerebbe le possibilità delle figlie di sposare giovani ortodossi.
All’unica figlia laica ha chiesto, prima di scomparire, che più gente possibile venisse a conoscenza di quello che accade quando la vita è regolata fin nei minimi termini da ‘Takunes’ (regole, in yiddish) stabilite da rabbini che paiono non amare le donne, e le trattano con estrema freddezza.
Per le altre sei figlie la madre era una persona malata, che con queste rivelazioni ha causato imbarazzo e sconcerto nella comunità. L’ex marito, Shlomo Weinstein, ha dichiarato di sentirsi messo alla gogna dai tabloid laici, che si stanno occupando con grande fervore del libro e della tematica femminile che tratta. Lui è ancora un membro della setta dei Gur.
L’ebraismo ortodosso ritiene che le parole della Torah (sia quelle della Legge Scritta che della Legge Orale) siano state dettate da Dio a Mosè: rimaste inalterate fino ad oggi, sono state date insieme a dettagliate spiegazioni su come osservarle e interpretarle. Gli Haredim sono la corrente più conservatrice dell’ebraismo ortodosso. Non sono un gruppo omogeneo, ma sono divisi in varie sette talvolta in violento antagonismo. Vivono in una sorta di isolamento dalla cultura generale e considerano le forme non ortodosse (e in qualche modo anche l’ebraismo ortodosso moderno) come deviazioni dall’ebraismo autentico. L’Halakhah, sorta di guida per tutto ciò che l’ebreo deve fare dal momento in cui si sveglia a quello in cui torna a riposare, viene seguita rigorosamente. Non fanno il servizio militare (che in Israele è obbligatorio), non lavorano (o al massimo hanno impieghi part-time): studiano Torah e Talmud e niente altro. Non studiano né le materie umanistiche né quelle scientifiche (niente inglese, matematica, storia). Su molti bus che viaggiano nei quartieri degli ultraortodossi le donne devono sedere nella parte posteriore: se nella parte anteriore, quella riservata agli uomini, vi sono posti liberi, devono egualmente rimanere in piedi nel loro settore. Si cominciano a vedere marciapiedi separati durante le festività, quando in tanti escono, le strade sono affollate e vi è il pericolo che maschi e femmine possano inavvertitamente toccarsi camminando. Si scorgono anche code separate in alcuni supermercati.
Le famiglie sono numerose, per seguire il comandamento della Torah. In generale i rabbini Haredim proibiscono di guardare televisione e film, di leggere giornali non religiosi e usare cellulari “complessi” (moltissime aziende in Israele offrono agli Haredim dei telefoni cellulari molto spartani, con limitate capacità interattive). Alcune pubblicazioni haredi hanno perfino adottato la politica di non pubblicare foto di donne (nel 2009 il Yated Ne’eman alterò le fotografie del nuovo Governo israeliano sostituendo due ministri di sesso femminile con immagini di uomini).
La crescita demografica degli Haredim è notevole, grazie al numero elevato di nascite, ma stime affidabili sono difficili da reperire per via della riluttanza a partecipare a sondaggi e censimenti. Secondo le ultime ricerche, in Israele dovrebbero essere circa 800mila (il 13 per cento del totale della popolazione ebraica).