Gli elettori cercano alternative. Riconoscibili. E, quindi, votabili. La rivoluzione politica che si sta consumando nelle frastornate democrazie europee, benché ancora non compiuta, mette in discussione anche il disegno delle grandi coalizioni ispirate dalla ragion di Stato. Matrimoni di interesse fra il vecchio centrodestra e il vecchio centrosinistra, che hanno puntellato il sistema istituzionale nei momenti di crisi ma che non coinvincono più. Perché sono durati troppo, finendo per rappresentare uno dei segnali di declino del sistema dei partiti tradizionali.
Sono tanti i motivi di crisi. Ma il principale è che, cercando una continua mediazione, questa formula politica ha contribuito a produrre quei figli indesiderati frettolosamente battezzati come ‘populisti’. In un momento di paura e trasformazione dell’elettorato, le grandi coalizioni hanno infatti mortificato la ricerca di un’alternativa al partito al governo. E quindi l’alternativa è stata trovata altrove. Fuori dal matrimonio.
Qualche segnale dal passato. In Austria, la grande coalizione è una tradizione politica da trent’anni. Socialdemocratici più cristiano-democratici: alle elezioni del 2013 superavano, insieme, il 50% dei consensi. Alle elezioni presidenziali dello scorso anno, però, nessuno dei due partiti di governo ha portato un suo candidato al ballottaggio per la presidenza della Repubblica. Ci sono andati, invece, la destra nazionalista e i verdi. In Grecia, stesso scenario nel 2015 ma in un contesto ben più drammatico: il 35% del movimento Syriza di Alexis Tsipras arrivava dopo i governi di unità nazionale che hanno dovuto gestire l’inizio della crisi del debito.
Qualche segnale dal futuro. In Germania, è bastato che la Spd candidasse un outsider come Martin Schulz, per tornare a competere (nei sondaggi) con la Cdu della cancelliera Angela Merkel, alla guida per la seconda volta di una grande coalizione. In Francia non c’è stato ‘l’inciucio’ fra socialisti e gollisti, ma al secondo turno c’è sempre stata un’alleanza fra i due schieramenti tradizionali per estromettere le forze estremiste o gli outsider. Quest’anno, alle presidenziali, potrebbe succedere invece l’imprevisto: che al ballottaggio vadano due candidati, Marine Le Pen ed Emmanuel Macron, che non fanno parte né dell’uno né dell’altro schieramento e di fatto non hanno al momento forze parlamentari proprie.
Difficile trarre una morale definitiva, da questi segnali. Si potrebbe tornare indietro anche al caso italiano e parlare del boom del Movimento 5 Stelle coinciso, nel 2013, con la fine del governo di Mario Monti, appoggiato sia da Pierluigi Bersani sia da Silvio Berlusconi.
Appare però probabile che gli elettori europei siano sempre meno attratti dalle formule di palazzo e dalle alchimie politiche, che uniscono pezzi di interessi ma non parlano alle persone. Meglio proposte riconoscibili. Si profila così una stagione in cui destra e sinistra torneranno a essere divise, ma con siginifcati diversi. Nazionalisti contro cosmopoliti. Tradizionalisti contro innovatori. Esclusivi contro inclusivi. Insomma, uno scontro fra identità che non potrebbero diluirsi in una formula di governo onnicomprensiva.
@ilbrontolo