Quando ero più giovane la mia generazione pullulava di gruppetti di ragazzi che si facevano la band. Non serviva avere nozioni musicali studiate o talento innato. Si improvvisava seguendo una passione. Si pensava al successo ma ci si divertiva anche a suonare senza avere pubblico, per il piacere di farlo. E non diventava quasi mai un lavoro.
Oggi, molti giovani si fanno la startup. Ma la startup nasce per essere un lavoro e un lavoro ha successo se propone qualcosa che serve agli altri; se entra nel mercato. O se lo crea, addirittura.
Eppure, queste startup sono sempre l’espressione di un sogno, della voglia di far conoscere agli altri l’intuizione nel cercare una soluzione a una necessità che troppe volte è solo di chi propone una specifica idea. È sufficiente inciampare nella mancanza di un servizio in una determinata situazione per concludere che se quel servizio va creato.
Ma è così semplice? Il mondo in cui viviamo, la quotidianità che condividiamo con persone (vicine e lontane) è davvero sprovvista di servizi così necessari? È vero, viviamo in un mondo che cambia a una velocità davvero maggiore rispetto al passato, anche recente, ma forse proprio questo dovrebbe suggerirci la domanda «Quello che vorrei fare è così necessario da resistere ai continui cambiamenti che vivo?».
La risposta è davvero complicata e, al di là di ricerche, studi e previsioni di mercato, vanno valutati alcuni aspetti forse anche più spigolosi dei semplici numeri.
Proviamo a risolvere in 4 mosse.