Elezioni in Olanda, il problema non è Dio. Per ora

In campagna elettorale con Geert Wilders, fra la paura dell'Islam e la difesa della società liberal. Ma il tema religioso è solo un paravento del diffuso disagio sociale (anche contro l'Ue). E persino i leader più moderati sono spinti a fare i populisti

Geert Wilders non è ancora arrivato. Manca un’ora all’appuntamento con i suoi sostenitori di Breda, nella regione meridionale del Brabante. Ma ad anticipare il leader della destra nazionalista olandese ci hanno pensato alcuni attivisti di Pegida, il movimento antislamico tedesco che ha generato un suo piccolo seguito anche nei Paesi Bassi. È l’8 marzo, festa delle donne: in cinque sfidano la pioggia indossando i burqa. Tre burqa sono di stoffa, due vengono improvvisati coi sacchi neri di plastica, quelli per l’immondizia. Gli attivisti distribuiscono ai passanti un volantino in cui si vede il piede di una donna bianca che calpesta – con tacco 12, rosso – un Corano. “No Islam, solo libertà”, è lo slogan di Pegida. “Vogliamo avere la nostra terra indietro, punto. Vogliamo vivere come cristiani – ci dice Edwin Wagensveld, che coordina il volantinaggio – invece abbiamo le strade piene di criminali. L’Islam è violento, cerca di portare la guerra in Europa. Voi in Italia avete migliaia di immigrati che sbarcano in Sicilia e dite che non è un vostro problema. E invece sì che lo è: dovete chiudere le frontiere”.

L’Olanda, terra di meditazioni e di eccessi, aveva risolto i suoi tormenti con Dio da molto tempo. Ma mercoledì 15 marzo i suoi cittadini andranno al voto per il rinnovo della Camera Bassa del Parlamento pensando un po’ anche a lui. È solo una minoranza, un quinto forse dell’elettorato, quella che crede veramente in una guerra di religione con l’Islam, vissuto come la faccia violenta della globalizzazione. Ma è una minoranza determinata che ha imposto a tutti gli altri partiti di schierarsi pro o contro le sue idee. Una minoranza che può portare il Pvv, il partito della libertà di Wilders, al primo o al secondo posto in una sfida coi liberal-democratici del premier Mark Rutte. Con due progetti chiave: mettere al bando Corano e moschee, e uscire dall’Unione Europea, con la Nexit. Le due cose si tengono insieme così: Netherlands first.


L’arrivo di Wilders, 53 anni, ex liberal-democratico, è una liturgia. Wilders rischia la vita, è da tempo indicato fra i target del fondamentalismo islamico, minaccia concreta dopo l’assassinio nel 2002 dell’uomo politico che più gli è stato di ispirazione: Pim Fortuyn. Due ore prima del suo arrivo a Breda, una strada pedonale lunga quasi un chilometro è stata divisa in due dalle transenne di sicurezza. È attorno a quelle transenne che si muovono gli attivisti di Pegida, si appostano decine di agenti di polizia e si ritrovano alcune centinaia di sostenitori del Pvv. Due camion messi di traverso impediscono l’accesso alla piazza dove è atteso Wilders. “Al momento, lui è il più onesto. Da soli saremmo più sicuri e guadagneremmo di più”, ci dice un operaio che lavora in un’azienda di lavorazione di metallo della zona, quasi sessantenne. E i musulmani? “Sono i benvenuti, non i criminali però”. Qualche metro più in là c’è un ex militare in pensione. “L’Olanda deve tornare agli olandesi”. E i musulmani? “Non sono tutti un problema, lo è quel 20% che commette reati e che non possiamo cacciare. Oggi qui vede decine di poliziotti, ma nella mia via se ne vede uno ogni tanto”.

Quando Wilders scende da una delle tre auto blindate, probabilmente i poliziotti sono anche qualche centinaio. Alcuni in borghese si infiltrano dentro la piccola folla di sostenitori e giornalisti. Guardano ogni singola faccia. Scrutano chi sta alla finestra. Controllano le mani che si allungano per una foto. I sostenitori del leader nazionalista (o populista che dir si voglia) sono gente normale. Bianchi. Molti appaiono in la’ con gli anni. Vestiti con gli abiti delle catene commerciali, pochi fronzoli. Parecchi sono venuti da soli, a vedere più che a farsi vedere. Timidi ma sicuri di essere nel posto giusto. “Se ce l’avete con Geert, non fatemi neanche una domanda”, una signora scansa così il microfono di una tivù inglese. Facce indurite, fra i giovani, ce ne sono. Alti. Tatuati. La testa rasata. Ma se ne stanno in disparte. Anche qualche contestatore non manca, senza clamori mediterrani. Tre ragazze – studentesse – sono venute a offrire abbracci gratis e palloncini bianchi. Un anziano col berretto rosso arriva con un cane nero acciambellato nel piccolo rimorchio della bicicletta. Smontano tutt’e due. Il cane per ficcare il naso sotto i tavolini di un bar, il padrone per dire la sua. “Mi chiamo Fortune, per me quello lá è solo un dittatore. Non ha un partito, lui è l’unico iscritto al Pvv. Anzi, non lo chiamo nemmeno per nome: per me lui è Blondie, ha i capelli come Trump. E lo chiamo così”. Il leader dai capelli biondi saluta uno per uno i sostenitori sotto la pioggia. Stringe mani, sorride sempre. Nessun comizio. Poi risale in macchina e se ne va. Assedio finito.

Che i sostenitori di Wilders lo vogliano o meno, le moschee fanno parte ormai del paesaggio olandese che in passato ha ispirato i grandi pittori. I musulmani sono arrivati più di un secolo fa, da colonie come l’Indonesia. Poi soprattutto da Marocco e Turchia, attraverso accordi fra i governi per muovere la manodopera. Oggi sono intorno al milione, il 6% dei 17 milioni di abitanti dei Paesi Bassi. Il treno che arriva dall’Aia (la capitale) prima di incrociare i palazzi di Rotterdam (la città del commercio guidata da un sindaco musulmano) sfreccia accanto a due alti minareti. E lo stesso accade uscendo dalla città verso Breda. E, ancora, arrivando da Breda alla vicina Tilburg. Quei minareti “più alti dei nostri campanili” sono uno dei bersagli polemici degli anti-islamisti. E diversi musulmani, con l’avvicinarsi di queste elezioni, hanno iniziato a dire di sentirsi guardati con sospetto. “Ma abbiamo permesso loro di costruire le moschee in quel modo, perché la nostra tradizione è la tolleranza, se lo mettano in testa i difensori della tradizione. Ci sono le chiese che hanno le sembianze delle chiese. Ci sono le sinagoghe che hanno le sembianze delle sinagoghe. Ci sono i templi buddisti che hanno le sembianze dei templi buddisti. E ci sono, quindi, le moschee che hanno le sembianze delle moschee”. Frank Bosman, 38 anni, è un giovane teologo cattolico dell’Università di Tilburg. Ha la barba lunga del pensatore ma indossa gli stivali neri dell’uomo di strada. Sorride quando gli si chiede se la religione sia tornata a essere, nel suo Paese, un tema politico. Sa bene che è un argomento che deve essere spiegato con un discorso largo, che ha inizio nelle guerre di religione seguite alla riforma protestante, cinquecento anni fa, e approda alla metà dell’Ottocento, quando finalmente è stata ristabilita la gerarchia cattolica nei Paesi Bassi. “Il Governo olandese allora disse – spiega Bosman – che tutti i cristiani avevano il diritto di essere cristiani nel modo in cui volevano loro. Da allora i problemi sono stati risolti nel dibattito politico”. Con una progressiva, e forte, laicizzazione della società olandese. Quando Dio è tornato a essere (apparentemente) un problema, è quando Al Qaida ha deciso di dirottare due aerei di linea contro le Torri Gemelle. A New York. Originariamente, la Nuova Amsterdam.

“L’Islam come tema politico – Bosman riprende il filo della storia – è entrato in scena dopo l’11 settembre del 2001 con Fortuyn. Da decenni avevamo molti marocchini e turchi che erano arrivati per lavorare e qui erano rimasti, integrandosi e mettendo su famiglia. L’unico ‘problema’ di cui venivano accusati era di portare via il lavoro agli olandesi. Con l’11 settembre, i musulmani, hanno iniziato invece a essere accusati di voler sovvertire la nostra società. Molti hanno iniziato a non considerarli più come un gruppo etnico, ma come un gruppo religioso. Anzi, come portatori di un’ideologia contraria alle istituzioni liberal-democratiche. Fortuyn è stato il primo politico a dirlo con convinzione e a essere preso sul serio. Con lui, e dopo di lui, è diventato normale parlare di Islam”.

«Abbiamo permesso loro di costruire le moschee in quel modo, perché la nostra tradizione è la tolleranza. Ci sono le chiese che hanno le sembianze delle chiese. Ci sono le sinagoghe che hanno le sembianze delle sinagoghe. Ci sono i templi buddisti che hanno le sembianze dei templi buddisti. E ci sono, quindi, le moschee che hanno le sembianze delle moschee»

Il problema non è, come in passato, la convivenza fra religioni. “C’è una minoranza di cristiani – dice Bosman – che condivide genuinamente la paura dell’Islam. Ma la maggioranza no. E anche i leader religiosi si oppongono fermamente alla discriminazione. Per un motivo semplice: ognuno in Olanda si è conquistato con fatica il diritto di professare pubblicamente la sua fede”.

E poi ci sono i numeri, che il professore sfoglia accanto alla finestra del suo ufficio, al primo piano dell’edificio dedicato a Dante. I suoi colleghi dell’Università di Nimega sono da tempo impegnati a ‘cercare’ Dio fra gli olandesi. Se nel 1966 quelli che si dichiaravano credenti in un Dio particolare erano il 47%, nel 2015 sono diventati il 14%. Praticamente stabili al 28% quelli che credono in qualcosa ma non sanno cosa. Aumentati dal 16 al 34% gli agnostici, dal 6 al 24% gli atei. Nel complesso, secondo questo studio, solo il 25% degli interpellati si riconosce in una chiesa cristiana, il 5% nella fede musulmana.

Non può essere una guerra fra credenti. A meno che non si consideri il laicismo come una fede. “Ci sono politici – conclude Bosman – che non vanno in chiesa e si presentano come i paladini del cristianesimo. Ma il loro obiettivo è solo di capitalizzare la rabbia e la paura. Dopo queste elezioni vedo due possibili sbocchi. Se la xenofobia andrà al potere, ci saranno divisioni sempre più profonde, perché una parte dei musulmani si sentirà minacciata. Se ci sarà ancora un governo moderato, come credo, la comunità musulmana dovrà invece trovare il modo di sentirsi coinvolta. Penso che dovrà anzi organizzarsi per iniziare a partecipare attivamente alla vita politica più di oggi. E, perché no, fondare un partito che sia come i partiti cristiani: non di un’ideologia, non di una fazione, ma che rappresenti tutto il mondo musulmano in maniera laica”.

Secondo lo studio, solo il 25% degli interpellati si riconosce in una chiesa cristiana, il 5% nella fede musulmana. Se la xenofobia andrà al potere, ci saranno divisioni sempre più profonde perché una parte dei musulmani si sentirà minacciata

Ecco un possibile snodo delle elezioni del 15 marzo: fomentare uno scontro ancora circoscritto o trovare una via per laicizzare tutta la comunità musulmana. Tenendo conto che Dio c’entra poco, alla fine. L’Islam appare come il catalizzatore di tutto ciò che non funziona. Di tutta una serie di problemi che si sono ingigantiti con la crisi economica e hanno accresciuto il disagio sociale, indebolendo i partiti tradizionali. Problemi di sicurezza e di convivenza, che ci sono in certi quartieri dove i ‘bianchi’ si sentono sopraffatti e ormai in netta minoranza. Problemi di lavoro. Problemi di identità e ruolo in una società che fatica a immaginare un futuro prospero per tutti. Il voto anti-establishment cresce dove la percentuale di nuovi immigrati è più alta e il tasso di criminalità pure, nei quartieri-dormitorio di Rotterdam o ad Almere, 180.000 abitanti, di cui il 40% non originari dell’Olanda. E’ però un voto solido anche nelle aree più interne e tradizionaliste dei Paesi Bassi, al confine con la Germania, dove la globalizzazione non ha portato vantaggi. E si avverte forte anche in pittoreschi paesini come Volendam, scenario ideale per le fotografie dei turisti, non certo sovrastato dalla presenza di migranti, dove i pescatori accusano l’Ue di aver tolto loro il lavoro e la tradizione legata al loro lavoro. L’Islam e l’Unione Europea.

Per tutti questi motivi, nonostante l’attenzione internazionale si sia (quasi) tutta concentrata sul fenomeno nazionalista-pupulista del Trump d’Olanda, è in realtà l’intera mappa dell’offerta politica a essere in corso di trasformazione. A destra c’è, appunto, Wilders. Più moderato Rutte, con il Vvd. I due si contendono almeno un 16% e circa 25 seggi a testa in Parlamento, su 150 a disposizione. Secondo una recente analisi pubblicata da Bloomberg, l’effetto Trump a favore del primo si starebbe tra l’altro sgonfiando,ma si sa che i sondaggi vanno sempre presi con cautela. Al centro ci sono, poi, i partiti di ispirazione cristiana, che potrebbero essere l’ago della bilancia fra centrodestra e centrosinistra per formare il prossimo governo di coalizione, strada obbligatoria in un sistema proporzionale puro come quello dei Paesi Bassi. A sinistra, stanno emergendo invece forze frammentate ma nuove, alternative ai laburisti finora al governo con i liberal-democratici, caduti sotto il 10% per aver appoggiato le politiche di austerità di Rutte, nella grande coalizione. C’è persino una lista, Denk, di ispirazione musulmana e pro-immigrati, ma senza una base popolare ancora riconoscibile. E poi c’è il giovane leader dei Verdi (Groen Links), Jesse Klaver, 30 anni, che promette bene: esprime una sinistra popolare, organizzata col metodo dei meet-up, difende il welfare e la società aperta. Soprattuto, dicono, Klaver è abile come comunicatore, come e meglio di Wilders e Rutte. E sogna di essere la terza forza.

“Penso che alla fine ci sarà ancora un governo liberale, anche se Rutte ha avuto una svolta un po’ populista, ma del resto è questo che vuole il popolo ed è questo che farà vincere le elezioni”, pronostica Roberto Paletta, calabrese di 43 anni, da 10 a Utrecht, dove è uno dei più attivi rappresentanti della comunità italiana, anche in ambito cattolico, con le Acli. La svolta populista del primo ministro è legata a una lettera aperta in cui in campagna elettorale Rutte ha invitato gli immigrati a comportarsi secondo le tradizioni locali o andarsene. E’ comparsa persino alle fermate degli autobus. “Se un primo ministro compra le pagine dei giornali per dire questo, anch’io mi sento coinvolto e non mi piace, perché vivo qua, pago le tasse, vorrei poter votare il governo e dire la mia su temi che mi riguardano da vicino, come la sanità o la previdenza sociale”, dice Paletta, mentre nel bar del palazzo dei concerti di Utrecht riunisce i giovani collaboratori di Radio Pizza, l’emittente in lingua italiana che coordina in Olanda. “La religione? C’entra niente. Questo Paese è veramente, ma veramente laico. La religione sta dentro le chiese, non fuori. E l’Olanda è veramente interessata a che l’economia vada bene, punto”.

Gli italiani nei Paesi Bassi sono meno di 50.000. Daniela Tasca, siciliana espatriata nel 1989 e autrice di un bel lavoro di ricerca (lo trovate qui) sulla storia dei suoi connazionali nel Paese di Rembrandt e Van Basten, annota: “Qui la comunità italiana si delinea come non ben definita, frammentata ed eterogena, sicuramente esemplare come impegno, talento e capacità di adattamento, spesso addirittura riferimento per altri gruppi successivi. Ma praticamente è assente nell’immaginario collettivo olandese”. Che cosa può succedere a questi italiani, dopo le elezioni? “Certo – risponde Paletta -, ormai quasi tutti i partiti hanno preso posizione per rendere più rigide le regole per chi vuole essere naturalizzato, parecchi di loro vorrebbero innalzare la soglia minima da cinque a dieci anni. Ma gli italiani sono europei, sono migranti economici che vengono a svolgere una determinata professione, soprattutto nel terziario. E sono sempre liberi di andarsene a cercare lavoro da un’altra parte”. Liberi tranne chi, come lui, si è sposato con un’olandese e ha due figli che parlano entrambe le lingue. Ma questa è tutta un’altra storia.

@ilbrontolo

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