Siamo un popolo di migranti. Gli italiani che cercano un futuro all’estero sono sempre più numerosi. È un fenomeno antico, che negli ultimi anni ha ripreso a crescere. Ormai il flusso di espatri ha raggiunto livelli importanti. Se negli ultimi tempi il ritmo fisiologico era di circa 40-50mila partenze l’anno, più recentemente sono stati superati i 100mila emigrati l’anno. E così oggi i nostri connazionali che vivono all’estero sono quasi cinque milioni. 4.811.163, secondo gli ultimi dati disponibili. Una migrazione continua: basta pensare che fino al 2006 nell’anagrafe degli italiani residenti all’estero erano iscritti poco più di tre milioni di concittadini. Le mete preferite? Circa la metà degli italiani che hanno deciso di lasciare il proprio paese si sono trasferiti in Europa. Ci sono poi un milione e mezzo di residenti in America meridionale. Poco meno di mezzo milione (437.710) hanno scelto l’America settentrionale e centrale. Solo 270mila, invece, vivono tra Asia, Africa e Oceania.
Difficile tracciare un identikit dell’emigrato italiano. Ma è evidente che nelle ultime migrazioni si registrano importanti differenze rispetto al passato. In questi giorni all’esame della commissione Esteri di Montecitorio c’è una proposta di legge bipartisan che chiede di istituire una giornata nazionale degli italiani nel mondo. Nel documento si trovano alcuni dati interessanti. Nel 2015, si legge, i cittadini italiani che hanno trasferito la loro residenza all’estero sono stati 101.297. A questi si aggiungono i connazionali che si spostano per lavoro, non sempre in maniera definitiva, senza lasciare tracce anagrafiche. La maggior parte di chi se ne va è un uomo (56 per cento) e celibe (59,1 per cento). Giovani, in gran parte. Del resto un emigrato su tre ha un’età compresa tra i 18 e i 34 anni. Soprattutto, si tratta di persone preparate e istruite. «Rispetto al passato – si legge nel documento parlamentare – sono più elevati il grado di scolarizzazione dei migranti e il loro retroterra sociale, nonché il numero di coloro che hanno una specializzazione di tipo accademico».
Un emigrato su tre ha un’età compresa tra i 18 e i 34 anni. Si tratta di persone preparate e istruite. «Rispetto al passato – si legge nel documento parlamentare – sono più elevati il grado di scolarizzazione dei migranti e il loro retroterra sociale, nonché il numero di coloro che hanno una specializzazione di tipo accademico»
Secondo il recente report Istat sulle “migrazioni internazionali e interne della popolazione residente”, i laureati che nel 2015 hanno lasciato l’Italia per cercare fortuna altrove sono cresciuti del 13 per cento rispetto all’anno precedente. Una fuga di cervelli, direbbe qualcuno. Il rapporto della fondazione Migrantes, sugli “italiani nel mondo 2016” aiuta a scoprire nuovi dettagli sui nostri emigrati. Rispetto al passato, ad esempio, è interessante notare come i flussi non trovano origine solo nelle regioni meridionali. Negli ultimi tempi si assiste a un abbassamento dei valori percentuali delle aree del Sud, proprio a favore delle zone settentrionali del Paese. Tra le regioni dalla “marcata dinamicità” spiccano in particolare Lombardia e Veneto. E dove vanno a vivere i nuovi emigrati italiani? Le statistiche riferite al 2015 indicano Germania e Gran Bretagna tra i paesi più ambiti. Entrambi hanno accolto circa 16mila nuovi italiani. Sono dati che fanno riflettere, specie dopo le ultime novità politiche. Come influirà su questo fenomeno l’uscita del Regno Unito dall’Europa? Dopotutto Londra ospita ormai 250mila nostri connazionali, al pari di molti importanti capoluoghi italiani. Tra le altre mete spiccano la Svizzera (11.441 arrivi nel 2015) e la Francia (10.728).
Dall’Argentina agli Stati Uniti, vivono ancora decine di milioni di persone che parlano la nostra lingua e condividono la nostra cultura. Sono gli oriundi. Espressione dei flussi migratori di più vecchia data. Persone che spesso hanno acquisito la cittadinanza nei paesi di insediamento, ma non per questo rinunciano a forti legami con l’Italia
I flussi di emigrati crescono, le dinamiche cambiano. Anche le percezioni rischiano di essere sbagliate. Come spiega un dossier pubblicato qualche tempo fa dal centro studi Idos, per la prima volta da vent’anni, nel 2014 i cittadini italiani residenti all’estero sono aumentati più degli immigrati residenti in Italia. Con buona pace di tanti luoghi comuni. Ma in giro per il mondo non ci sono solo cinque milioni di italiani residenti all’estero. Dall’Argentina agli Stati Uniti, vivono ancora decine di milioni di persone che parlano la nostra lingua e condividono la nostra cultura. Sono gli oriundi. Espressione dei flussi migratori di più vecchia data. Persone che spesso hanno acquisito la cittadinanza nei paesi di insediamento, ma non per questo rinunciano a forti legami con l’Italia. Si parla di una popolazione enorme, equivalente a quella dei residenti in Italia. «Il ministero degli affari esteri nel 1995 parlava di 58,5 milioni di oriundi» si legge nella proposta di legge in discussione alla Camera. Secondo alcune stime, entro pochi anni il numero dei nostri oriundi potrebbe raggiungere i 70 milioni. La maggior parte di loro vive in America latina (quasi 40 milioni di persone). Ma è imponente anche il numero degli italiani di origine che oggi vivono in America del Nord, oltre 16 milioni.