Gonna e stellette, sono più di 11mila le donne che servono la Patria in armi. Carabiniere, soldatesse e marinaie d’Italia. Da quando nel 2000 è stato aperto l’arruolamento anche alle ragazze, le nostre Forze armate si sono tinte di rosa. Siamo stati lenti a riconoscere la parità di genere, bisogna essere onesti. Ultimi tra i paesi della Nato a permettere alle donne di indossare la divisa. Stando all’ultima relazione sullo stato della disciplina militare trasmessa dal governo al Parlamento, il 31 dicembre 2015 l’Italia poteva contare su 11.895 militari donne. Ci sono 1.340 ufficiali, 1.374 sottufficiali, 9.181 tra graduati, militari di truppa e allieve nelle varie scuole di addestramento. La parola d’ordine, neanche a dirlo, è parità. Nei primi anni dopo l’apertura degli arruolamenti, al personale femminile era precluso il servizio nei sottomarini (per evidenti problemi di spazio e impossibilità di creare ambienti separati). Oggi gli impieghi sono in tutto e per tutto uguali agli uomini. Ci sono donne impiegate come piloti di aerei ed elicotteri, donne negli equipaggi dei carri armati, donne imbarcate in tutte le unità della Marina militare. «Non ci sono donne unicamente nei reparti speciali delle nostre Forze Armate» ha spiegato ieri il ministro della Difesa Roberta Pinotti durante un incontro alla Camera sul ruolo femminile nelle missioni all’estero. Nessun pregiudizio, però. «L’unico motivo è che non sono ancora riuscite a superare i test di accesso, piuttosto duri. Ma diversi comandanti con cui ho parlato mi hanno confermato che presto entreranno a far parte anche di questi reparti». Del resto non esistono limitazioni di impiego per il personale femminile. E la prova è l’assegnazione del personale di truppa di sesso femminile, almeno nell’ambito dell’esercito, a realtà altamente operative. Non è raro trovare bersagliere, alpine e paracadutiste.
Ci sono donne impiegate come piloti di aerei ed elicotteri, donne negli equipaggi dei carri armati, donne imbarcate in tutte le unità della Marina militare. Non è raro trovare bersagliere, alpine e paracadutiste. Secondo gli ultimi dati, sono arruolate nelle Forze Armate 11.895 militari. Di loro, 1.340 sono ufficiali
Il ministro ricorda la titubanza di molti, quando ormai diciassette anni fa vennero aperte le caserme alle donne. Un passaggio epocale, che arrivò insieme alla fine della leva obbligatoria. Tappa decisiva per la maggior professionalizzazione delle nostre Forze armate. L’ingresso del personale femminile ha accompagnato una transizione storica, aiutando non poco la trasformazione dei reparti. La presenza delle donne ha finito per «normalizzare le relazioni» all’interno di presidi e caserme, contribuendo a ridurre drasticamente i vecchi rituali di nonnismo. «Un fenomeno negativo, che sembrava insormontabile, e di cui oggi non ci sono più riscontri diffusi». Il generale Claudio Graziano, capo di stato maggiore della Difesa, conferma. Già dai primi anni dopo l’ingresso nelle nostre Forze armate, «la componente femminile si è rivelata un moltiplicatore di forze ed esperienze». La strada resta in salita. Pochi giorni fa la titolare della Difesa ha incontrato il capo di stato maggiore croato. Ebbene, dall’altra parte dell‘Adriatico le donne rappresentano ormai il 20 per cento delle forze armate. «Da noi i numeri sono ancora piuttosto bassi, siamo intorno al 5 per cento». Ma il confronto con altri paesi europei non è poi così negativo. In Francia, dove vengono reclutate da ormai 50 anni, le donne rappresentano il 10 per cento del personale militare. Nel Regno Unito la percentuale è simile, anche se il personale femminile non può essere impiegato in diversi corpi, tra cui i Royal Marines, i reparti di Cavalleria e di Fanteria. Nelle forze armate tedesche le donne hanno una presenza simile a quella Italiana. Diverse, semmai, le carriere. Mentre in numerosi paesi esistono già generali e ammiragli con la gonna, da noi i gradi più alti restano appannaggio degli uomini. Non è una questione di discriminazione, ma di tempi. I primi arruolamenti sono avvenuti troppo recentemente. E così, come si legge nel documento trasmesso dal governo al Parlamento, bisognerà attendere almeno otto anni perché il primo ufficiale donna sia valutato per l’avanzamento al grado di colonnello. «In ogni caso non possiamo accelerare i tempi per l’avanzamento di carriera – ammette il ministro – Sarebbe una discriminazione per gli uomini».
Mentre in numerosi paesi esistono già generali e ammiragli con la gonna, da noi i gradi più alti restano appannaggio degli uomini. Non è una questione di discriminazione, ma di tempi. I primi arruolamenti sono avvenuti troppo recentemente. Bisognerà attendere almeno otto anni perché il primo ufficiale donna sia valutato per l’avanzamento al grado di colonnello
Intanto le Forze armate italiane sono sempre più rosa. Nel 2015 sono state reclutate 2.158 donne su poco meno di 20mila posti messi a concorso. «Il dato esprime una percentuale di immissione di personale femminile intorno all’11 per cento di tutto il personale reclutato» spiega l’esecutivo. Senza preclusioni né limitazioni, le nostre militari ormai vengono impiegate anche in prima linea. Operano all’estero in operazioni di sicurezza e nelle missioni di peacekeeping, dall’Afghanistan al’Iraq. Militari a tutti gli effetti, ma anche donne. E così, spiega il ministro Pinotti, «c’è un elemento in particolare che stiamo cercando di tutelare: la maternità». Anche nelle Forze armate, la gravidanza non può rappresentare un ostacolo alla carriera. E così da qualche tempo il ministero ha avviato un progetto per l’apertura di asili nido all’interno delle caserme. Iniziativa utile, a dire il vero, per i militari di entrambi i sessi. Per il momento sono stati investiti 12 milioni di euro. La prima struttura è già stata inaugurata, presto ne arriveranno altre 17. Spazi pensati per i bambini dei militari, ovviamente, ma che saranno aperti anche alle comunità che vivono a ridosso delle caserme.