Meno complessità, meno sensori, meno costi e più capacità di andare al sodo. È questa l’industria 4.0 che oggi preferisce vendere ai propri clienti la Cpm di Beinasco, in provincia di Torino. Se non si rischiasse di entrare in loop terminologici, si potrebbe parlare di industria 4.1 o versione 2.0 dell’industria 4.0. La sostanza però non cambia: quando Massimo Bellezza, a capo della società nata dalle ceneri dell’indotto Fiat, andava a proporre la vasta gamma di tecnologie che identificano il cuore della nuova industria interconnessa, la reazione era di spavento, soprattutto se dall’altra parte della scrivania trovava i rappresentanti di piccole o medie imprese con impianti non ancora arrivati a fine vita. «Due anni fa tutti avevano paura dell’Industria 4.0», spiega Bellezza. Poi, col tempo, un sentiero percorribile è stato tracciato, le prime orme a rassicurare il cammino di chi arrivava dopo. «C’è stata un’evoluzione da allora – continua -. inizialmente si pensava al 4.0 pensando di riempire di sensori tutta la fabbrica. In realtà ci siamo accorti che già solo elaborando e gestendo i dati che si ricevono dal “campo” si può avere una casistica capace di coprire già quasi l’80% della diagnostica». Per questo motivo, aggiunge, se con i nuovi impianti viene fornita la tecnologia più avanzata, «per i sistemi esistenti ci siamo concentrati nel proporre la modifica degli stessi impianti attraverso dei “retrofit”».
Per i clienti questo ha significato un risparmio ma anche un avanzamento nella capacità di analizzare i dati, uno dei punti di forza della manifattura di nuova generazione, assieme alla personalizzazione estrema, alla possibilità di produrre in lotti minori e al dialogo più serrato con manutentori, clienti e fornitori. Un altro degli effetti ottenuti dal nuovo corso della Cpm è di tipo psicologico, perché l’Industria 4.0 si accompagna a una sorta di “ansia da prestazione” per gli imprenditori, certificata da numerosi studi. Secondo una recente analisi di Bcg, tre quarti dei manager intervistati hanno affermato che la complessità nella gestione dei dati sta rendendo più difficile ottenere i risultati. E solo il 17% di loro pensa che i loro sforzi di semplificazione riescano a risolvere il problema. Nella fiera Sps Italia organizzata da Messe Frankfurt, edizione 2016, è stata non a caso allestita una mostra, chiamata “Know How 4.0” il cui scopo era mostrare le potenzialità dei nuovi strumenti e rassicurare le imprese che avrebbero potuto dotarsi solo di una parte di tali strumenti, quella più adatta alle proprie esigenze. La mostra si troverà anche nell’edizione 2017 si Sps, che si terrà alla Fiera di Parma dal 23 al 25 maggio.
«Due anni fa tutti avevano paura dell’Industria 4.0. Da allora c’è stata un’evoluzione. Ci siamo accorti che si può avere una casistica capace di coprire già quasi l’80% della diagnostica senza riempire di sensori la fabbrica»
Se alla Cpm hanno sviluppato la capacità di entrare in sintonia con le piccole imprese meccaniche, è perché quella è anche la loro origine. Fondata nel 1962 da Gianfranco Bellezza, padre dell’attuale amministratore delegato, la società nasce nel settore della carpenteria metallica, a cui ancora fa riferimento la sigla del nome. L’impresa era una delle tante industrie che a partire dal Dopoguerra hanno fornito alla Fiat la componentistica necessaria, ed è una delle pochissime sopravvissute ai cambiamenti epocali della manifattura. «Negli anni Sessanta facevamo strutture in acciaio. Poi è arrivato il momento dei sistemi per il sollevamento delle auto, quello dei sistemi di trasporto e successivamente dell’assemblaggio automatizzato – dice Bellezza -. Con l’industria 4.0, che sta nascendo ora, si va oltre i sistemi di assemblaggio automatizzati. È l’analisi di dati che diventa fondamentale».
Oggi a ricordare quel passato “manifatturiero” nella sede di Beinasco c’è un sistema di trasporto a soffitto, con appesa una Fiat 500, oltre ad alcune foto d’epoca. Si tratta del Twin Trolley System, una delle più importanti innovazioni Cpm, sul quale oggi vengono testati sistemi di diagnosi e di automazione smart che costituiranno le novità di domani. Dall’altra parte del vetro c’è il cervello da cui nascono questi prodotti. In un’ambiente dominato dal colore bianco, c’è una fila di computer, dietro ai quali sono schierati gli ingegneri meccanici e informatici. Sono la rappresentazione plastica di un lavoro di selezione e formazione del personale che ha compreso, tra le altre cose, l’adozione dell’inglese come lingua unica all’interno dei documenti dell’azienda. Il loro lavoro è quello di progettare le catene di montaggio, sia delle piccole e medie imprese di cui sopra, ma soprattutto dei grandi colossi dell’automotive mondiale. Per certi versi la Cpm (da qualche anno controllata con il 51% dal gruppo tedesco Dürr, specializzato nella verniciatura) si potrebbe definire la fabbrica delle fabbriche del futuro. Qui è stata progettata la linea per le nuove Alfa Romeo Giulia e Stelvio (primo Suv del marchio) fabbricate nello stabilimento Fca di Cassino. Ma l’elenco delle realizzazioni è lungo. Per Fca è stata progettata la linea di Melfi, dove si producono le Fiat 500X e le Jeep Renegade. Prima era stata la volta degli impianti Pomigliano, di Pernambuco, in Brasile, così come di quelli di Fca in Serbia e in Polonia. Per la Chrysler sono stati progettate linee a Toledo, Ohio, e in Cina, per una joint venture tra Fca e lo Stato di Changsha. Altri nomi di clienti blasonati sono quelli di Ferrari, Lamborghini (compreso il nuovo Suv Urus), Bentley, Volkswagen, Audi, Gm, Land Rover e vari altri, anche nel campo aeronautico.
«Tutti gli indicatori ci dicono che il mondo dell’auto elettrica è destinato a fare grandi numeri, sebbene con caratteristiche diverse: negli Stati Uniti con auto di fascia alta, in Cina di fascia bassa»
La novità più visibile delle nuove catene di montaggio è che oggi non producono più, come in passato, un solo tipo di automobile. Sui binari girano vari tipi di pallet, ognuno dei quali supporta un tipo di auto. In questo modo a Melfi, per esempio, si riesce a produrre sulla stessa linea le Fiat 500X e le Jeep Renegade. Nei capannoni di Beinasco si vedono gli spazi per la prototipazione di questi nuovi pallet. Parte della produzione fisica, inoltre, è rimasta, anche se appaltata a una rete di fornitori della zona.
La vera frontiera, per l’ex azienda di carpenteria metallica, è però quella dell’auto elettrica. Da anni il focus si è spostato sui nuovi produttori americani e in particolare su quelli californiani (i nomi non sono divulgabili ma facilmente immaginabili), ma anche su quelli cinesi. Il punto di contatto tra i due mondi sono i nuovi motori elettrici. Che Bellezza non ha dubbi a vedere come “la” tecnologia del futuro, assieme all’ancora lontano ibrido elettrico-idrogeno. «Tutti gli indicatori ci dicono che il mondo dell’auto elettrica è destinato a fare grandi numeri, sebbene con caratteristiche diverse: negli Stati Uniti con auto di fascia alta, in Cina di fascia bassa».
Quello che conta, per l’ad della Cpm, è che l’assemblaggio delle auto elettriche è molto diverso da quello delle macchine con il motore a scoppio. «Per un certo periodo vedremo auto normali che avranno le versioni ibride ed elettriche. Ma in realtà il futuro vedrà auto puramente elettriche, perché la struttura della vettura è completamente diversa ed è molto più conveniente progettare una nuova vettura che adattare una esistente». La vettura elettrica si presta a un assemblaggio molto più automatizzato rispetto a quello di una vettura normale, proprio per la diversa struttura, in particolare del powertrain è completamente divera. I nuovi stabilimenti vedono quindi «riduzione dello spazio, riduzione delle linee, riduzione del personale all’interno della linea e incremento dell’automazione», spiega Bellezza, che non fatica a immaginare che in tempi brevi il reparto dedicato alle auto elettriche peserà per il 50% e oltre del fatturato. Un cambiamento che d’altra parte è già nei numeri attuali. Nel 2017 a Melfi con 1.800 operai si producono 1.200 auto al giorno. Nella Mirafiori degli anni Settanta, servivano 30mila operai per poco più di 3mila auto.
«Per un certo periodo vedremo auto normali che avranno le versioni ibride ed elettriche. Ma in realtà il futuro vedrà auto puramente elettriche, perché la struttura della vettura è completamente diversa ed è molto più conveniente progettare una nuova vettura che adattare una esistente»