Futuro del lavoroNon solo robot, sono Amazon e le altre aziende “superstar” che stanno schiacciando i lavoratori

Uno studio americano dimostra come nei settori in cui maggiore è la concentrazione di mercato nelle mani di pochi grandi, diminuisce il valore del lavoro

Immaginiamo una torta farcita. Quella torta è il sistema economico di un Paese. Succede però che la fetta destinata ai lavoratori si stia assottigliando sempre di più. Si perdono posti di lavoro, e avere un’occupazione non garantisce una vita dignitosa (i famosi working poor). Cala il valore del lavoro, insomma. C’è chi punta il dito verso le macchine e i robot, che sostituiscono il lavoro umano. Chi, come il presidente americano Donald Trump, se la prende con la delocalizzazione e la manodopera straniera a basso costo. Ma un nuovo studio pubblicato dal National Bureau of Economic Research americano ha trovato un altro colpevole: le cosiddette “superstar companies”, i giganti dell’economia come Google, Facebook, Amazon, Walmart che dominano interi settori di mercato e non hanno bisogno di molti lavoratori per produrre profitti miliardari.

La ricerca, condotta da un gruppo di economisti del Mit, di Harvard e dell’università di Zurigo, ha analizzato i dati finanziari di 676 aziende in sei settori diversi (manifatturiero, commercio al dettaglio, commercio all’ingrosso, servizi, finanza, trasporti). Facendo emergere come la concentrazione di mercato sia cresciuta molto negli ultimi anni: da una media del 38% del 1982 al 43% nel 2012 nel settore manifatturiero, dal 24 al 35% nella finanza, dall’11 al 15% nei servizi, con un raddoppiamento dal 15 al 30% nel commercio al dettaglio. E più la concentrazione di mercato aumenta, scrivono gli economisti, più il reddito da lavoro cala.

Nella ricerca non vengono fatti i nomi delle aziende analizzate , ma gli autori scrivono che queste «società possono occupare una larga quota di mercato con una forza lavoro relativamente piccola, come dimostrano i casi di Facebook e Google». Facebook, per fare un esempio, conta poco più di 17mila lavoratori nel mondo con un ricavo di oltre 27 miliardi di dollari nel 2016. La crescita tra profitti e posti di lavoro è tutt’altro che proporzionale.

Le cosiddette “superstar companies”, i giganti dell’economia come Google, Facebook, Amazon, Walmart, dominano interi settori di mercato e non hanno bisogno di molti lavoratori per produrre profitti miliardari

I giganti del tech sarebbero in prima fila in questo downgrade del lavoro. Trattandosi di grandi aziende, spiegano gli economisti, le superstar sono in grado di coprire un costo del lavoro fisso, anche alto, mentre profitti e ricavi continuano a salire, fagocitando una parte sempre più ampia di mercato. Una concentrazione che, spiegano, ha portato a enormi profitti per investitori e proprietari di colossi come Facebook, Google, Amazon. Senza però aprire i caveau della ricchezza anche ai lavoratori, aumentando posti di lavoro e stipendi. Nel corso degli anni, la quota della ricchezza destinata al lavoro è andata via via erodendosi. Laddove prima su dieci dollari prodotti circa 6 andavano ai lavoratori, oggi questa cifra continua ad assottigliarsi.

Un declino che si è sovrapposto con un rallentamento nella crescita complessiva e una crescita netta delle diseguaglianze. «Il lavoro sta diventando una fetta sempre più sottile di una torta che non sta crescendo poi così tanto», dice Autor.

Prendiamo il settore del commercio, tradizionalmente affollato di tanti piccoli negozi. Oggi dominano i grandi centri commerciali, giganti come WalMart o Target e Amazon nell’e-commerce. «Sono aziende molto efficienti e sofisticate, che non usano così tanto lavoro per funzionare bene», ha spiegato uno degli autori dello studio, David Autor, economista del Mit di Boston. Grazie allo sfruttamento della tecnologia e allo sviluppo di software e piattaforme competitive, sono in grado di offrire una maggiore varietà di prodotti e prezzi più bassi, grazie al taglio dei costi, e possono entrare più facilmente in contatto con clienti di ogni parte del mondo.

La tecnologia può essere costosa da sviluppare e installare nella fase iniziale, ma non da espandere successivamente. Il vantaggio competitivo resta, i profitti crescono e per farli lievitare non servono molti più lavoratori. Non c’è bisogno di raddoppiare stipendi e organici.

È un po’ come quando una superstar come Beyoncé polverizza i concorrenti raggiungendo milioni di spettatori utilizzando solo la tv via cavo o Internet. La produttività aumenta, i profitti pure, ma non i salari di quelli che lavorano per lei. E in questa corsa ad accaparrarsi fette sempre più ampie di mercato, la differenza si vede – come dimostra la ricerca – non tra le buste paga all’interno della stessa azienda, ma nell’enorme differenza di stipendi tra un’azienda e un’altra. Le aziende più grandi, che sono anche le più dinamiche e più inclini ai cambiamenti tecnologici, tendono a pagare meglio i dipendenti di quelle più piccole, soprattutto nel settore tech.

I lavoratori insomma non hanno smesso di condividere la torta, che per alcune aziende continua a crescere. Ma sono sempre di meno quelli che arrivano a mangiarla.

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