Tratto dall’Accademia della Crusca
… Signorina è documentato in italiano a partire dal Cinquecento (il primo esempio finora reperito risale al 1533). La parola potrebbe essere stata formata a partire dal maschile signorino, documentato dal 1501; oppure sul modello dello spagnolo señorita, che pare cronologicamente anteriore; o ancora come diminutivo di signora, attestato già in italiano antico, se pure nel significato di ‘padrona’ e per di più non riferito a donne ma a entità astratte o spirituali. In italiano antico, in effetti, come allocutivi si usavano madonna e messere e non signora e signore, che iniziarono a diffondersi nel Rinascimento, per influsso dello spagnolo. Per molto tempo signorina risulta riferito o indirizzato a giovani nobildonne, a prescindere dal fatto che fossero sposate o meno. Il significato di ‘donna non ancora sposata’ non risulta documentato prima dell’Ottocento e anzi la più antica attestazione, al momento, è quella che si ha in una battuta della commedia I mariti di Achille Torelli, del 1867 («Deve avere quella lettera che gli scrivesti quando eri ancora signorina, e mi par conveniente che la restituisca»).
Ciò premesso, veniamo all’uso attuale. Signore, signora e signorina possono essere usati sia come appellativi, per indicare persone presenti o di cui si sta parlando, sia come allocutivi, per rivolgersi a qualcuno. In entrambi i casi si tratta, come rileva il gradit, di forme di riguardo: dire è venuta una signora/è passato un signore a cercarti è certo stilisticamente diverso rispetto a è venuta una donna/è passato un uomo, ed è poi giustissima l’osservazione di Nencioni, che considerava una «spia verbale della scarsa tradizione democratica in Italia» la difficoltà di usare signore (diversamente da signora o signorina) come allocutivo generico «conveniente ad un uomo che per età o per aspetto paresse di rango inferiore» (Giovanni Nencioni, Autodiacronia linguistica: un caso personale, in La lingua italiana in movimento, Firenze, Accademia della Crusca, 1982, pp. 5-33: 15-16).
Come nota una nostra lettrice, negli ultimi decenni l’uso di queste parole si è effettivamente alquanto ridotto e questo, nel caso dell’allocutivo, va certamente messo in rapporto alla progressiva espansione del tu invece del lei. I termini signore e signora sono però tuttora frequenti, sia nello scritto sia nel parlato, specie se premessi a un nome proprio o a un cognome (il signor Rossi, la signora Maria, ecc.). Invece signorina è oggi meno usato: se guardiamo al corpus del ptllin, costituito dai romanzi vincitori del premio Strega dal 1947 al 2006 e da altre opere di narrativa uscite nello stesso arco cronologico, notiamo che non solo che signorina ha 609 occorrenze in 60 opere mentre signora ne ha 2530, distribuite in 91 opere, ma anche che nei romanzi dal 2000 al 2006 le attestazioni sono solo 22, contro le 84 di signora. Per l’uso di signorina come semplice appellativo negli anni Cinquanta possiamo fare riferimento all’indagine dello svizzero Robert Rüegg, Zur Wortgeographie der italienischen Umgangssprache (Berna, Francke, 1956), di cui sta per essere pubblicata la versione italiana a cura di Sandro Bianconi, al quale devo le seguenti indicazioni: il concetto di “giovane donna nubile” è reso con signorina in 43 delle 54 province considerate; spesso gli informatori aggiungono la precisazione “generalmente più distinta e adulta” rispetto a ragazza, termine che pure ha una buona frequenza; a Firenze prevale invece figliola.
Oggi il problema maggiore nell’uso di signorina è dovuto alla particolarità (che peraltro non è esclusiva dell’italiano, ma propria un po’ di tutte le lingue europee) di avere due forme femminili, distribuite in rapporto al diverso stato civile, in corrispondenza di un’unica forma maschile: come rileva il gradit, infatti, il maschile signorino, a meno che non costituisca l’allocutivo di riguardo dato dalle persone di servizio al giovane figlio del padrone di casa (circostanza certo non frequentissima), è di uso solo scherzoso o ironico (ed era divenuto tale, o si avviava a diventarlo, già alla fine dell’Ottocento: nel libretto di Illica e Giacosa della Bohème di Puccini, del 1896, Mimì nel terzo atto si rivolge all’amato Rodolfo, a cui dà normalmente del tu, con uno scherzoso «O mio bel signorino, / posso ben dirlo adesso, / lei la trovò assai presto», alludendo alla chiave della stanza, da lei smarrita nel primo atto e da lui ritrovata e nascosta).
La dissimmetria tra maschile e femminile è stata considerata sessista e, almeno a partire dai primi anni Ottanta, l’uso di signorina per riferirsi a una donna non sposata è stato progressivamente sconsigliato. E di certo la crescita dei rapporti di convivenza e delle maternità al di fuori del matrimonio civile o religioso ha aumentato le ragioni per evitare la parola usando al suo posto signora; conseguentemente, anche nel caso di donne sposate signora ha finito con l’essere premesso al loro cognome familiare e non a quello dei mariti. Contrariamente a quanto si crede, però, non è stata mai approvata in Italia una legge che abbia abolito ufficialmente il termine signorina (c’è stato solo un progetto al riguardo, nel 1982) e l’unico testo ufficiale a cui si può fare riferimento è una disposizione del 2009 del Parlamento Europeo, che contiene linee guida per la neutralità di genere e consiglia di omettere qualsiasi appellativo che faccia riferimento allo stato civile delle donne, ricorrendo al solo nome e cognome. Ma si tratta di un testo che riguarda esclusivamente gli atti legislativi e i documenti interni dello stesso parlamento.