Si sanno poche cose dell’attentato che ha colpito Londra nel suo cuore politico, Westminster, uccidendo quattro persone e ferendone svariate decine. Il modus operandi – auto lanciata sulla folla e coltello – sembra quello propagandato dall’Isis, la matrice chiaramente terroristica. Ma agiva da solo? Aveva ricevuto un ordine diretto? Ha potuto contare su appoggi e complicità? Queste sono domande la cui risposta arriverà, forse, solo nelle prossime settimane.
La pista al momento ritenuta più probabile da diversi analisti è quella del singolo che ha agito senza poter contare su una rete che gli fornisse armi da fuoco, esplosivi o anche solo un piano meno grezzo di quello poi messo in atto. Un lupo solitario insomma, come spesso si è visto negli ultimi anni in Europa. Ma davvero nei confronti di questo genere di attentati non abbiamo speranza di prevenzione?
«Il controllo del territorio non può arrivare capillarmente al singolo individuo. Paradossalmente più il gruppo terroristico è organizzato più è facile stanarlo», spiega Germana Tappero Merlo, analista esperta di terrorismo e sicurezza che collabora con diversi enti pubblici e privati. Ma in una guerra in cui non ci sono telefoni da intercettare, carichi di esplosivo da fermare, cellule da infiltrare, cosa si può fare?
Ma se l’attentato di Londra non fosse poi solo l’opera di un lupo solitario? «In effetti non possiamo escludere che ci sia un collegamento tra chi ha compiuto questa strage e la cellula che ha compiuto gli attentati in Belgio e Francia», spiega Leandro Di Natala Analista dell’ESISC – European Strategic Intelligence & Security Center: «Sappiamo infatti che alcuni membri di tale cellula si erano recati a Birmingham, dove la polizia inglese sta ora effettuando degli arresti
«Banale ma efficace? Servono più soldi e più mezzi sul terreno, a fianco di leggi sul controllo delle persone e che in Italia già ci sono. Inoltre è sempre fondamentale la condivisione delle informazioni fra polizie e servizi dei vari Paesi. Bisogna operare capillarmente con azioni di polizia, molto sul web, direi soprattutto sul web, e intelligence condivisa, controllo carceri e aree urbane più degradate. Non si devono poi escludere collegamenti fra teste calde, o ance cellule, con la criminalità organizzata, qui come nel Nord Africa o nell’Africa subsahariana. È un lavoro immenso».
Ma se l’attentato di Londra non fosse poi solo l’opera di un lupo solitario? «In effetti non possiamo escludere che ci sia un collegamento tra chi ha compiuto questa strage e la cellula che ha compiuto gli attentati in Belgio e Francia», spiega Leandro Di Natala … «Sappiamo infatti che alcuni membri di tale cellula si erano recati a Birmingham, dove la polizia inglese sta ora effettuando degli arresti. Anche in passato, come nel caso di Bouhlel, attentatore di Nizza, o di Anis Amri, attentatore di Berlino, era poi emersa una rete di fiancheggiatori e reclutatori che avevano operato via web, avendo però la loro base operativa in Siria. Anche Rashid Kassim, reclutatore dell’Isis che opera dalla Siria, sappiamo che aveva creato una rete di adolescenti contattati via web pronti a colpire. A lui sono ascrivibili l’omicidio del parroco Jacques Hamel in Normandia e un fallito attentato con autobomba vicino Notre Dame. Non possiamo quindi escludere che anche il caso di Londra sia simile a questi precedenti».
In questo caso cosa si può fare? «Questa minaccia è di lungo periodo», dice ancora Di Natala. «I cittadini devono essere educati a riconoscere i segnali di pericolo, bisogna incrementare il monitoraggio dei luoghi sensibili e ovviamente bisogno aumentare lo scambio di informazioni tra servizi dei vari Stati. Ma la cosa più importante è agire sulle comunità musulmane. L’obiettivo dell’Isis è quello di portare dalla propria parte la maggioranza degli islamici che vivono in Occidente. Questi sono in stragrande maggioranza filo-occidentali e sono rimasti finora impermeabili alla propaganda jihadista. Sono i nostri migliori alleati nella lotta al terrorismo perché la cosa più importante in queste situazioni è avere delle quinte colonne in casa del nemico.
Faccio due esempi. Abdelhamid Abaaoud, mente degli attentati in Francia e della strage di Charlie Hebdo, è stato catturato perché lo ha denunciato un’amica di sua cugina, che era andata con lei a prenderlo dopo l’attentato, perché si era spaventata sentendo che pianificava un attentato ad un asilo. Mohamed Abrini, membro della stessa cellula, è stato catturato grazie a un informatore. Io non so se i Paesi europei abbiano degli infiltrati – mi auguro di sì e se così fosse comunque non si dovrebbe sapere – nelle comunità musulmane a rischio, ma questi sono gli strumenti più efficaci di prevenzione. Dobbiamo creare il vuoto intorno agli estremisti e circondarli di persone fedeli allo Stato e non alla jihad».L’obiettivo dell’Isis è quello di portare dalla propria parte la maggioranza degli islamici che vivono in Occidente. Questi sono in stragrande maggioranza filo-occidentali e sono rimasti finora impermeabili alla propaganda jihadista
Come fa notare Di Natala, Westminster appariva in un video di propaganda dell’Isis del 2016, in fiamme. Nello stesso video appariva anche Roma e la capitale italiana è stata nuovamente minacciata in un video del 22 marzo, l’allerta è quindi alta anche in Italia, dove pure finora il meccanismo di prevenzione ha funzionato.
Ma quando cadranno le roccaforti dell’Isis in Siria e Iraq, è il timore di molti, il numero di attentati in Europa si impennerà e subiremo un’ondata di terrorismo? «L’emorragia di terroristi, foreign fighters e via dicendo, che sicuramente ci sarà, investirà soprattutto i Paesi islamici confinanti», spiega una fonte vicina al mondo dell’intelligence che preferisce restare anonima. «In Occidente è più difficile che riescano ad arrivare, il livello di allerta è già alto. Inoltre se avessero voluto investire nel creare una rete forte e diffusa in Europa per compiere attentati in grande stile avrebbero dovuto farlo per tempo, quando ancora non erano così esposti e avevano più risorse. Farlo ora che sono in rotta è sicuramente più complicato. Con la caduta del Califfato dei problemi ci saranno, non lo nego, ma non credo che il livello di rischio salirà rispetto ad ora».