Alitalia rispunta, immancabilmente. In periodi di crisi, soprattutto, che da decenni ormai sono la sua normale condizione di operatività. Normale amministrazione per un’azienda parastatale che è riuscita a triturare miliardi di euro negli ultimi decenni, in cui gli azionisti e i manager che si sono avvicendati alla sua guida non sono mai riusciti a curare i due grandi mali che la affliggono: i costi operativi troppo elevati e una rete inefficiente di rotte servite.
Ai lavoratori viene oggi rimproverato – forse anche giustamente – di aver sonoramente bocciato un pre-accordo che prevedeva, tra le altre cose, una riduzione salariale di circa dieci punti percentuali. A quanto si legge sui giornali, pare che i sindacati auspichino un “Piano B” in cui l’eventualità di una riduzione del costo del lavoro possa non essere contemplata. Pia illusione, purtroppo per loro, poichè i cosiddetti “full service carrier” si trovano oggi in una situazione di compressione dei margini operativi a causa di costi troppo elevati. È questo addirittura il caso di Emirates, che pure ha in gran parte accesso al carburante ad un prezzo di vantaggio. E ancora, è questo il caso di British Airways e delle compagnie americane. Giocoforza, nemmeno Alitalia non potrà sottrarsi a questa dinamica e dovrà per forza di cose incidere sul costo del lavoro. Certo, non è solo colpa degli stipendi: la pressione fiscale sulle imprese, che in Italia è da record, ha la sua parte di responsabilità. Tuttavia, finché le tasse non potranno essere abbassate per una sola azienda, perlomeno, non ci si potrà che attendere tagli agli stipendi e alle risorse umane. Punto e a capo.
Bisogna avere il coraggio di ammettere che Alitalia, così com’è stata e così com’è, non funziona. L’aumento di capitale servirà a dare un altro po’ di tempo ad un malato terminale che continuiamo a tenere in vita artificialmente da decenni. Una dose di placebo che servirà fino alla prossima volta, cioè a nulla
Se sui costi non c’è nulla da ridere, sui ricavi c’è da piangere: con una tempistica da bradipi nel prendere decisioni strategiche, Alitalia ha timidamente aperto rotte verso l’Asia con circa quindici anni di ritardo, preferendo focalizzarsi sulle destinazioni più richieste dagli Italiani, tipicamente per motivi turistici e rinunciando, nei fatti, ad essere un vero carrier globale. Non solo: la rete interna è stata fortemente condizionata dalle scelte politiche rispetto alla geografia degli aeroporti e dei territori da servire, oltre che dalla decisione di costruire quell’immensa cattedrale nel deserto che è Malpensa e a obbligare la povera Alitalia ad operarvi come secondo hub. Il risultato è stato il dominio di Easyjet e Ryanair sul mercato italiano di corto e medio raggio, soprattutto sulle rotte più remunerative.
Questi i fatti: oggi la retorica vuole che senza l’approvazione dei lavoratori, difficilmente si potrà procedere all’aumento di capitale necessario per mettere in sicurezza il vettore. Ma questo non è che il leit motiv degli ultimi quarant’anni. Bisogna invece avere il coraggio di ammettere che Alitalia, così com’è stata e così com’è, non funziona. L’aumento di capitale servirà a dare un altro po’ di tempo ad un malato terminale che continuiamo a tenere in vita artificialmente da decenni. Una dose di placebo che servirà fino alla prossima volta, cioè a nulla. Così come e a nulla servirà l’ennesima bad company del sistema italiano (ed in questo, proprio Alitalia insegna).
In questi giorni, nulla si è letto di nuove strategie, diverse da quelle fallimentari degli ultimi anni. E allora perché i lavoratori che non hanno accettato l’accordo sarebbero “scellerati”? O meglio: siamo sicuri che la scelleratezza alberghi (solo) nelle loro preferenze e non anche nell’operato di chi invece la compagnia l’ha gestita? In fin dei conti Alitalia è una società per azioni, non una cooperativa. E se un’alternativa ci può essere tra una crisi occupazionale e un salasso dei contribuenti, quell’alternativa sono un piano industriale decente e un management capace. Quel che ad Alitalia, anche negli ultimi anni, è clamorosamente mancato.