Occident Ex-PressCari italiani, lasciate ogni speranza voi che (non) entrate in Australia

«Prima gli australiani» ha tuonato il premier australiano Malcolm Turnbull il 18 aprile. Al via la rivoluzione di visti, passaporti e cittadinanza. La comunità italiana attacca: «Gli immigrati hanno costruito questo Paese. Scusate se lavoriamo 16 ore al giorno nelle “farms”»

Se siete igienisti dentali, macellai, architetti non lamentatevi. Significa che avete un lavoro. Non male di questi tempi. Se siete restaurant manager italiani ancora meglio. Significa che siete in gamba. Se siete restaurant manger italiani che vogliono andare a lavorare in Australia, ecco, da oggi avete un problema. Perché per emigrare nella “terra dei canguri” ora siete voi, restaurant manger, giornalisti, addetti marketing, artisti e altre 216 professioni a dover fare i salti mortali.

«Australian workers must have priority». Tradotto: «Prima gli australiani» ha tuonato il premier oceanico Malcolm Turnbull il 18 aprile scorso. Annunciando, dalla sera alla mattina, un cambio repentino delle politiche migratorie di Canberra, Sydney e Melbourne. Nella pratica cambiano i visti: via il modello 457 che garantiva, attraverso lo sponsor di un datore di lavoro, la possibilità di entrare e poi accedere a visti permanenti. Il tutto retroattivo anche per chi ha già fatto domanda e richiesta. E oggi si trova in un limbo non chiarissimo. Meno chances anche di ottenere l’ambita cittadinanza: se prima bastavano 4 anni di di cui uno solo con la residenza permanente ora servono tutti e 4 e continuativi. Il percorso diventa tortuoso: visto temporaneo, visto permanente, quattro anni di residenza e poi, forse, cittadinanza.

«Prima gli australiani» ha tuonato il premier oceanico Malcolm Turnbull il 18 aprile scorso. Al via la rivoluzione sugli immigrati “di lusso” in Australia. Come funziona ora per visti, passaporti e cittadinanza

Ma come cambia la sostanza dei visti veri e propri che facevano la gioia di migliaia giovani europei in cerca di fortuna e non solo? Ora servono anni di esperienze nel settore lavorativo a cui si vuole accedere; diplomi o lauree specifiche; lo “sponsor” aziendale che garantiva per il lavoratore non basta più e la conoscenza dell’inglese deve essere pregressa e un po’ più che discreta. Ma il cambio di rotta più repentino riguarda le liste di professioni che servono all’economia australiana e altre con cui lavarsene le mani. Aggiornabili dal governo ogni sei mesi sulla base dei trend occupazionali del mercato del lavoro. Non una ma ben due liste: la Medium Long Term Strategist Skilled list per accedere a un visto di 4 anni e poi, nel caso, a quello permanente. E la lista Short Term Occupational Skilled List (non del tutto completata dalle autorità) con un 2+2 rinnovabile e poi a casa propria. Come dicevamo depennate 216 professioni considerate inutili o a rischio di “rubare” il mestiere agli autoctoni. Certo se siete medici, infermieri, imbianchini, piastrellisti, ingegneri e in generale tutto il settore delle costruzioni – da sempre professionisti bramati dalle autorità australiane e dal settore privato disposto a staccare assegni invidiabili pur di aggiudicarsi le loro prestazioni – allora si gioca facile: serve imparare bene l’inglese e il visto permanente è quasi assicurato. Per tutti gli altri si rischia di dover ripassare dal “via”. Ma per fermarsi invece che tirare i dadi.

Il tutto vale per immigrati con “skills”, come ovvio, e distinzioni su base nazionale. Perché se hai la sfortuna di essere nato in un qualunque Paese africano (magari qualificato), in Albania, di essere un figlio della grande madre patria Russia o ex Urss, anche se in una nazione che oggi aderisce alla Ue, è il caso di abbandonare ogni speranza voi che volete entrare. Perché a queste nazionalità i visti non li danno. Punto e basta – da tempo – a meno di non avere un conto corrente talmente cospicuo da risultare in pratica un benefattore o un filantropo che ama Russel Crowe e Nicole Kidman

E per gli italiani? Un problema: sono 25mila i nostri connazionali che ogni anno partono alla volta dell’Oceania. Per studiare, per svoltare la vita in uno dei pochi Paesi occidentali che la recessione post 2008 l’ha vista solo di striscio, per lavorare nel proprio settore, per imparare l’inglese. Era semplicissimo: meno di 31 anni bastava un working holiday. Permesso di lavoro full time per un anno all’interno del quale lavorare almeno 3 mesi nelle farms: le aziende agricole, non proprio prossime alle metropoli, dove ci si arrampica su montagne di cipolle perché tanto per decine di km non c’è nessuno da incontrare che possa essere infastidito dagli odori. E con le buste paga delle farms poi si chiedeva il rinnovo. Così da disincentivare anche il lavoro nero, che nelle nostre aziende agricole, invece, la fa da padrone.

Liste di mestieri che servono all’economia australiana e che permettono di accedere facilmente ai visti permanenti. Depennate 216 categorie lavorative: medici e costruttori va benissimo. Per tutti gli altri meglio avere un cospicuo conto corrente per entrare nella terra dei canguri

E se avevi più di 31 anni? Facile: student visa e via – fa ridere, perché studente a 31 e oltre anni forse un problema di priorità ce lo hai – ma gli italiani usavano quello come escamotage contrariamente ai flussi più consistenti di cinesi e indiani. Student visa con permesso di lavoro part time per studenti internazionali che arrotondano con qualche dollaro australiano dentro i ristoranti. E questo era un bel biglietto da visita per la richiesta permanente. Anche perché gli australiani “nativi” – che poi nativi non sono in un Paese fondato su colonizzazione e immigrazione – nel turismo non ci vogliono lavorare; cucinare non è che sappiano farlo proprio benissimo per tradizione e anche solo a livello di gusti la clientela benestante, quando entra in un ristornante italiano, gradisce il personale del Bel Paese. Senza cantare “O’ sole mio” o Domenico Modugno, certo, ma insomma l’italianità nel settore piace. Peraltro si fanno anche i soldi: solo nello Stato della Victoria la ristorazione vale 120mila posti di lavoro; secondo stime il restaurant manager è una figura destinata a crescere del 21 per cento entro il 2020. Non a caso le associazioni di categoria dei ristoratori, della “Little Italy” di Melbourne provano a far sentire la loro voce. In polemica con la scelta dell’esecutivo di abolire il modello 457 senza passare per il Parlamento – non è obbligatorio, del resto, per questo tipo di decisioni.

Le comunità straniere attaccano. Quella italiana insorge: «Gli immigrati 100 anni fa hanno costruito questo Paese. Ci dispiace se lavoriamo 16 ore al giorno nelle vostre aziende agricole sotto il sole a 45 gradi e se spendiamo 20mila dollari l’anno per studiare nelle vostre scuole». In tanti hanno copia-incollato messaggi di questo tipo su Facebook, email, petizioni online cercando almeno di bloccare la nuova proposta sui passaporti. Perché quella sì che deve passare per il Parlamento al contrario del nuovo visto che si chiamerà, a partire dal 2018, TSS: Temporary Skill Shortage.

«Gli immigrati 100 anni fa hanno costruito questo Paese. Ci dispiace se lavoriamo 16 ore al giorno nelle vostre aziende agricole sotto il sole a 45 gradi e se spendiamo 20mila dollari l’anno per studiare nelle vostre scuole»


Messaggio polemico della comunità italiana in Australia

Ma gli immigrati sponde politiche non ne trovano. Su questo tema il dibattito fra maggioranza e opposizione quasi non esiste. Le accuse di “razzismo” non scalfiscono perché tutti ne fanno solo una questione economica. Mentre non si può dire lo stesso sugli irregolari detenuti in condizioni drammatiche – come in Europa capita solo nelle isole del mar Egeo – negli arcipelaghi del Pacifico: a Nauru e Manus. Vere e proprie carceri ma considerate legali dalle corti australiane nonostante ripetute denunce da parte di ong, osservatori internazionali e campagne stampa dei media anglosassoni. Denunce di sfruttamenti ai danni di detenuti da parte di aziende che li fanno lavorare a costo zero durante la prigionia. Ecco, su questo l’opposizione si muove. Per scopi di consenso interno ma anche perché a nessun Paese piace essere accusato di violazione dei diritti umani.

Mentre i migranti regolari – le cui condizioni non sono minimamente paragonabili a quelle descritte poc’anzi – non trovano nessuno nell’arco politico con cui giocare di sponda dentro i confini. Con due eccezioni: alcune associazioni di categoria e alcune aree regionali o Stati confederati. Perché se Sydney, Adelaide, Melbourne, Perth sono metropoli iper inflazionate sature di lavoratori ma anche tolleranti perché aperte agli scambi da sempre, per paradosso sono le aree regionali a 200 km di distanza dai grossi centri urbani che hanno bisogno dei lavoratori stranieri. E allo stesso tempo è qui che si materializzino forme “light” di razzismo – perché gli autoctoni spesso non sono mai usciti dai confini nazionali.

«Molte persone stanno pensando di fare bagagli e tornare in Italia. Perché hanno speso un sacco di tempo e soldi e vedono il loro Australian Dream sgretolarsi fra le mani» ci spiega Ilaria Gianfagna, giornalista residente in Australia che anni fa ha fondato Just Australia, un infopoint a Melbourne per i connazionali che vogliono trasferirsi e cambiare emisfero. «Tuttavia – prosegue – l’Australia è ancora per il momento una terra di opportunità. Molto più degli Stati Uniti rispetto allo stereotipo».

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