Ecco perché Navalny è un vero pericolo per Putin (e perché non può permettersi di farne un martire)

Nonostante quel che ne dicono i media occidentali Putin è più morbido di quello che sembra con Navalny. Sa che la sua è una protesta generazionale, e sa che che deve gestire un'onda di opposizione che ha a che fare col populismo, e che è destinata a vincere

Ogni volta che un qualche oppositore del Cremlino fa una brutta fine, i media occidentali si sbrigano a far capire che lo ha fatto ammazzare Vladimir Putin. Un ex ministro scappato a New York con quattro soldi, un deputato che si era sistemato a Kiev, un leader di partito da 0,5% dei voti… Non si capisce bene perché l’uomo che da un paio di decenni signoreggia sulla Russia dovrebbe sporcarsi le mani facendo eliminare personaggi che non contano nulla e che ben poco fastidio danno al suo potere.
E soprattutto non si capisce perché, al contrario, il Cremlino e Putin trattino invece con i guanti Aleksej Navalny, il contestatore venuto dal web, il whistle blower che dal sito della sua Fondazione per la lotta alla corruzione mette alla berlina i vizi e le corruttele dei circoli del potere, mirando molto alto, fino al primo ministro Dmitrij Medvedev, ma senza negarsi la presunta evasione fiscale del portavoce, l’appartamento non denunciato a Londra del vice-premier, persino le marachelle finanziarie dell’ex campione di hockey diventato senatore. Una campagna martellante che ha raccolto, non si sa con quanto piacere da parte di Navalny, anche l’appoggio del Partito comunista di Russia, che chiede un’indagine sui patrimoni sospetti di Medvedev.

A dispetto di tutto questo, e di tutti gli sforzi che fa per provocare, Navalny se la cava sempre. Lo arrestano, lo accusano della qualunque, lo processano e lui se la cava sempre con una multarella e qualche giorno di carcere che consolida la sua fama. Dal cellulare che lo porta in gattabuia manda tweet ai sostenitori. Dall’aula del tribunale spedisce sui social ottime fotografie.

È chiaro, insomma, che le autorità russe, visto che lo devono sopportare, fanno ogni sforzo per non trasformarlo in un martire. Il che significa una cosa sola: riconoscono che la sua sfida rappresenta qualcosa di serio.

Navalny non è un genio della politica, e la sua figura non manca di lati in penombra. Il fatto è che Navalny, con le tecniche dell’anti-politica o della politica nuova che in Europa e negli Usa abbiamo imparato a conoscere, ha messo un megafono in mano a una generazione che aveva tanta voglia di gridare

E hanno ragione. Navalny non è un genio della politica (è stato coi nazionalisti fascisti e coi tecnocrati filo-occidentali e ora è quel che da noi si definirebbe “un populista”) e la sua figura non manca di lati in penombra (che la Fondazione, con le 30 persone che lavorano al sito, si finanzi solo con donazioni dei militanti, è una favola cui crediamo solo noi occidentali). Ma non è questo che conta, in un Paese dove la politica è roba tosta e la penombra abbonda.

Il fatto è che Navalny, con le tecniche dell’anti-politica o della politica nuova che in Europa e negli Usa abbiamo imparato a conoscere, ha messo un megafono in mano a una generazione che aveva tanta voglia di gridare. Quello che vediamo oggi in Russia, con le manifestazioni bene organizzate che a intervalli regolari raccolgono migliaia di giovani nelle città (nelle campagne sarebbero presi a calci nel sedere), è più che mai uno scontro generazionale. Dietro a Navalny ci sono soprattutto i giovani che sono nati subito prima o subito dopo il crollo dell’Urss, ovvero quel 27% della popolazione russa che ha meno di 24 anni (9,71% se prendiamo la sola fascia 15-24 anni).

È vero, la corruzione del potere interesse anche ad altri. Ma perché sono proprio i giovani e i giovanissimi a formare il nocciolo duro del sistema Navalny? Perché sono quelli ai quali non interessa il patto sociale proposto da Vladimir Putin ai russi. Quando arrivò al Cremlino, Putin ereditava la guida di una Russia stremata per decenni dalla stagnazione brezneviana, dalla perestrojka e dagli sconvolgimenti dell’era Eltsin. In questo caso, stress non vuol dire un po’ di agitazione: per fare un solo esempio, tra il 1990 e il 1995 (crollo dell’Urss), il tasso di mortalità tra i russi crebbe del 56%, la speranza di vita per gli uomini crollò da 64 a 57 anni e quella per le donne da 74 a 70 anni. Una strage, insomma. In quegli anni vivevo a Mosca e ricordo benissimo un sondaggio pubblicato dal quotidiano, allora impertinente, Moskovskij Komsomolez: il 21% delle ragazze delle medie e del liceo diceva di voler fare la prostituta, perché “quelle” avevano soldi e campavano bene.

I russi che sono usciti vivi da quel periodo, come tutte le indagini serie dimostrano, per prime quelle del prestigioso Levada Center, hanno chiesto a Putin ordine, stabilità, sicurezza. Prevedibilità. Calma. Per avere questo, cioè per avere ciò che per circa trent’anni avevano perso, sono stati pronti a cedere qualcosa in cambio: un po’ di libertà, un po’ di legalità, un po’ di onestà. E Putin ha rispettato la sua parte di patto: lo Stato è stato riorganizzato, l’esercito anche, le pensioni arrivano puntuali, i salari sono pagati, la disgregazione della Federazione (ricordate la Cecenia?) bloccata… E’ questo, oltre all’uso sapiente del tema nazionalista, a procurare a Putin gli alti indici di gradimento, non i brogli o le baionette.

La sfida di Navalny è insidiosa ben al di là delle qualità vere o presunte del suo capopolo. Perché è il primo vero pronunciamento pubblico di una generazione che tra poco darà la scalata alla società, al benessere e, inevitabilmente, anche al potere. Putin lo sa. E che, da leader astuto, piuttosto che combattere l’inevitabile preferisce gestirne i tempi e i modi.

Almeno fino a oggi. Fino a Navalny. O per meglio dire: finché non si è affacciata all’età adulta una generazione che non ha vissuto gli shock che i suoi genitori non riescono a dimenticare. Una generazione che non ha complessi nei confronti dell’Occidente (altro tratto tipico, invece, di chi è più in età, e che ha girato in orgoglio patrio certe umiliazioni post-perestrojka) e non sente nemmeno il bisogno di imitarlo. Una generazione, per l’appunto, che ha vissuto gran parte della sua vita nella Russia di Putin (quella in cui, comunque, i salari arrivavano, le pensioni pure, le scuole funzionavano e così via), cioè una Russia che bene o male girava, e che ora può tranquillamente prendersela con ciò che non funziona. Per esempio, la corruzione.

La sfida di Navalny è insidiosa ben al di là delle qualità vere o presunte del suo capopolo. Perché è il primo vero pronunciamento pubblico di una generazione che tra poco darà la scalata alla società, al benessere e, inevitabilmente, anche al potere. La nuova classe dirigente. Tra questi ragazzi che scendono in piazza, forse, c’è il successore di Vladimir Putin. È un’ipotesi di parricidio. Non per oggi, nemmeno per domani. Ma prima o poi succederà. Che è inevitabile. Il trattamento coi guanti di Navalny ci dice che anche Putin lo sa. E che, da leader astuto, piuttosto che combattere l’inevitabile preferisce gestirne i tempi e i modi.

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