L’attentato che ha colpito Parigi in uno dei suoi luoghi simbolo, gli Champs-Élysées, lasciando un agente ucciso e due feriti, è ancora troppo recente per avere un quadro chiaro della sua regia. Quasi certa la matrice del terrorismo islamico, più complessa la dinamica: chi ha colpito? Era da solo o aveva dei complici? Ha ricevuto una “imbeccata” direttamente da uomini dell’Isis o ha agito di sua spontanea volontà? Siamo di fronte al solito lupo solitario con precedenti e problemi psichici, o si è mosso qualcosa di più inquietante? Mentre le indagini proseguono e i principali candidati alle imminenti elezioni presidenziali – il primo turno è il 23 aprile – sospendono le rispettive campagne elettorali, l’interrogativo più pesante che circola in Francia e nel resto d’Europa è però un altro: il bersaglio grosso del terrorismo, più che i poliziotti colpiti, sono le elezioni? E soprattutto, l’attentato avrà fatto centro?
Al momento è impossibile rispondere al secondo interrogativo, e anche sul primo è necessaria un’enorme cautela. Da un lato si può infatti facilmente pensare che l’estremismo jihadista abbia interesse a polarizzare contro l’Islam le opinioni pubbliche occidentali e quindi auspichi una vittoria della destra razzista di Marine Le Pen. È una dottrina che risale già ai tempi di Al Qaeda, per cui fomentando lo “scontro di civiltà” i musulmani che vivono in Occidente, in schiacciante maggioranza moderati, sarebbero stati spinti dalla reazione xenofoba dei Paesi ospitanti a radicalizzarsi e a sposare la linea jihadista. Dall’altro lato però non c’è al momento nessuna prova che questo attentato sia stato pianificato a questo preciso scopo, né dall’Isis né dall’autore stesso.
Ovviamente la questione è subito stata trascinata nell’agone politico francese, con Marine Le Pen che ha dichiarato di «non credere assolutamente» che l’attentato avesse l’obiettivo di influenzare le elezioni ed Emmanuel Macron che, al contrario, ha twittato: «I terroristi tentano di colpire le elezioni. Vogliono la contemplazione del disastro». Se infatti la candidata del Front National ha tutto l’interesse a non essere dipinta come l’utile idiota dei terroristi, il candidato di En Marche teme che la paura e la rabbia gonfino le urne dell’estrema destra. E in fondo queste elezioni francesi sembrano destinate a giocarsi proprio su queste dicotomie, apertura o chiusura, xenofobia o tolleranza, nazionalismo o internazionalismo, europeismo o antieuropeismo. Agli elettori si chiede una scelta di tale impatto strategico sul futuro della Francia, e di tutto il Vecchio Continente, che non è esagerato dire che queste sono tra le elezioni più importanti della storia recente.
Agli elettori si chiede una scelta di tale impatto strategico sul futuro della Francia, e di tutto il Vecchio Continente, che non è esagerato dire che queste sono tra le elezioni più importanti della storia recente
Col candidato socialista fuori dai giochi e con quello della destra gollista – Fillon – che negli ultimi sondaggi ancora resta sotto l’asticella del 20%, questo voto vede nelle forze “non tradizionali” le proprie protagoniste principali. Il candidato dell’estrema sinistra, Mélenchon, è stato protagonista di una impressionante rimonta nelle ultime settimane e potrebbe, secondo i sondaggi, arrivare terzo. Ma il duo di testa che, salvo imprevisti, dovrebbe uscire vincitore dal primo turno e contendersi la presidenza al ballottaggio è costituito dal candidato di centrosinistra filo-europeista, Macron, e da quello della destra xenofoba e nazionalista, Le Pen.
Il pregio delle loro proposte non è solo nella chiarezza della scelta che si chiede di fare agli elettori, ma anche nella prospettiva rivoluzionaria che entrambi sono riusciti a incarnare. Marine Le Pen vorrebbe portare la Francia fuori dalla Ue, dall’euro, dalla Nato e adottare politiche protezioniste, isolazioniste e xenofobe. Una vera e propria rivoluzione rispetto alla collocazione strategia internazionale del Paese negli ultimi 70 anni. Ma anche Emmanuel Macron propone una radicale novità rispetto agli ultimi decenni di politica francese, in particolare nei confronti dell’Unione europea.
Se infatti i passati governi socialisti e soprattutto gollisti hanno spesso affiancato all’europeismo una buona dose di nazionalismo e di protezionismo (basti pensare alla campagna per il referendum sulla Costituzione europea del 2005), Macron sembra aver puntato tutto sul rilancio di un’identità europea per i francesi e sulla costruzione di una “vera” Unione europea, che abbia i poteri per poter rispondere alle esigenze di sicurezza e protezione sociale che vengono dai cittadini. Una Ue che potesse intervenire, ad esempio, in politica estera per difendere gli interessi collettivi – anche con strumenti militari – sarebbe una rivoluzione rispetto anche agli ultimi 70 anni di gelosa custodia da parte degli Stati nazionali delle proprie prerogative. E non meno rivoluzionaria sarebbe la prospettiva di un’unione fiscale o dell’istituzione di uno stato sociale europeo.
Macron ha puntato tutto sul rilancio di un’identità europea per i francesi: una Ue che potesse intervenire in politica estera per difendere gli interessi collettivi – anche con strumenti militari – sarebbe una rivoluzione. E non meno rivoluzionaria sarebbe la prospettiva di un’unione fiscale o dell’istituzione di uno stato sociale europeo
La proposta di Macron incarna questo tipo di speranze, anche per il momento storico in cui nasce. Dopo i traumi della Brexit e della vittoria di Trump, ha infatti iniziato a prendere forza in Europa la consapevolezza della necessità di evolvere e rafforzarsi. La discussione su una Ue a diverse velocità, che consenta a un’avanguardia di Stati di sperimentare forme di maggiore integrazione senza subire i veti di pochi contrari, è esplosa negli scorsi mesi, anche grazie a Macron. Adesso il tema è congelato fino a dopo questo 2017 fitto di appuntamenti elettorali. Ma se in Germania – dove non si attendono sorprese sul pedigree europeista del vincitore, quale che sia – e in Francia dovessero prevalere candidati dal forte tratto filo-europeista, il quinquennio 2018-2023 potrebbe essere quello in cui si gettano le basi istituzionali e giuridiche per sviluppare il futuro delle prossime generazioni europee nel contesto di un’Unione sempre più simile a uno Stato europeo.
Due possibili rivoluzioni contrapposte potrebbero dunque – e secondo i sondaggi dovrebbero – uscire da questo primo turno delle elezioni francesi. Con l’incognita se l’attentato sugli Champs Elysees abbia rimescolato le carte alla vigilia del voto e la paura che qualcosa d’altro possa succedere da qui al ballottaggio del prossimo 7 maggio.