Giovani, mai una gioia: cresce l’occupazione, ma solo per gli over cinquanta

A fine 2016 il tasso di occupazione è risalito al 57,2%, segnando un miglioramento del 1,6% rispetto al 2013. Lodi è al primo posto con una crescita del 5,3% mentre le province peggiori sono Monza, Sassari, Pescara. Un buon segnale, se non fosse che si è creata una nuova disuguaglianza generazionale

L’Italia è il Paese delle disuguaglianze, lo sappiamo.

Disuguaglianze geografiche più che tra vicini di casa. Non vi sono probabilmente quelle enormi differenze tra quartieri di una stessa città come in USA, Regno Unito o anche in Francia, ma in pochi Paesi il divario tra le regioni più povere e quelle più ricche è così ampio, e non solo, così definito, con confini così netti tra il Centro-Nord e il Sud.

Si tratta di una disuguaglianza che la crisi economica ha accentuato. Tutto al Sud, e in generale laddove già i redditi erano inferiori, è andato ancora peggio della media nazionale dopo il 2008, dal punto di vista del PIL, dell’occupazione, persino della demografia.

Per questo diventa interessante osservare cosa sta accadendo con la ripresa che stiamo vivendo dal 2014, flebile, fragile, ma pur sempre ripresa.

A fine 2013 il tasso di occupazione era sceso al 55,6%, A fine 2016 questo dato è risalito al 57,2%. Un miglioramento del 1,6%, molto lieve.

Spalmato sul territorio nazionale in modo variegato, ma questa volta non dal punto di vista geografico.

In testa troviamo Lodi, in cui la proporzione degli occupati sulla popolazione tra 15 e 64 anni è cresciuta del 5,3%, poi Ferrara, e dopo però aree del Sud come Caltanissetta, Isernia, e poi ancora Siena, Venezia, Matera.

Le province peggiori quelle di Monza, Sassari, Pescara, e poche altre in cui a dispetto della ripresa il tasso d’occupazione è diminuito.

Certo, a Milano, Roma, Napoli, Torino, e dintorni, il valore è superiore alla media, confermando il trend che vede le grandi città cavarsela meglio della provincia, in generale, tuttavia si tratta di un vantaggio piuttosto piccolo.

La realtà che emerge è che in molte aree del Paese anche periferiche vi è un rimbalzo notevole.

Province interne, appenniniche, come Benevento, Isernia, Potenza Benevento, o apparentemente marginali, come Enna, Carbonia, Matera, se la cavano anche meglio di Milano e di altre del Nord Italia.

Lo vediamo anche nei dati sul tassi di inattività, che sono in calo quasi ovunque, ma soprattutto a Oristano. Carbonia, Pistoia, Caltanissetta, Siena, Ascoli Piceno, mentre crescono in province più benestanti come Monza, Padova, Olbia.

In effetti confrontando i dati del 2013 e le variazioni intercorse nei 3 anni successivi non vi è, come accaduto durante la recessione, una correlazione tra i luoghi con già più lavoro e i miglioramenti avvenuti con la ripresa.

Questi si possono infatti ritrovare sia tra le province con meno occupati che in quelle con maggiori tassi di occupazione.

Tornando sull’inattività anzi, pare sia andata meglio al gruppo di province che avevano una proporzione di persone inattive maggiore nel 2013: visibilmente appaiono quelle che seppur di poco hanno avuto i maggiori cali in questo indice.

Tra l’altro si nota molto bene la dicotomia italiana. Le province sono divise in modo netto tra quelle con alti tassi di inattività e quelle con i più bassi, con pochissime vie di mezzo.

Volendo trovare correlazioni, seppur flebili, si possono riscontrare guardando alla demografia. E non sono molto positive. Appare esserci infatti un collegamento tra il tasso di crescita della popolazione e il miglioramento del tasso di occupazione degli ultimi 3 anni. Un collegamento che funziona al contrario: i miglioramenti più grandi sono quelli avvenuti laddove la popolazione cresce meno, o meglio decresce.

Stesso trend prendendo l’età media. Se la sono cavata meglio nella ripresa occupazionale le province con più anziani. E del resto età media e crescita della popolazione sono strettamente connesse.

La sensazione è che una certa influenza l’abbia avuta il fenomeno ben noto che vede gli ultra-50enni come i maggiori e quasi unici beneficiari dell’aumento dell’occupazione.

In sostanza siamo di fronte a trend che sono appena accennati, a macchia di leopardo, tipici di una ripresa ancora quasi “casuale”, a volte frutto di un semplice rimbalzo laddove la crisi aveva picchiato più duro, senza una direttrice precisa, una spinta ben riscontrabile.

Da un lato va segnalata la fine di un lungo periodo in cui pioveva sul bagnato, in cui le aree più povere lo divenivano ancora di più, in cui la disoccupazione cresceva dove era già alta.

Dall’altro sembra che tra i pochi driver di recupero di posti di lavoro vi sia una nuova disuguaglianza, quella tra generazioni, se come sembra se la cavano un po’ meglio le province con più anziani.

Il segno più di oggi non basta, la ripresa dovrà approfondirsi perchè sia percepita.

Se e quando avverrà veramente forse sarà difficile inizialmente vedere statistiche simili a Enna e Milano. La sfida sarà fare in modo che invece una maggiore uguaglianza vi sia anche nei periodi di vere vacche grasse, se mai torneranno.

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