TaccolaQuei geni di Domino’s: “La nostra pizza fa schifo” e il successo è garantito

La catena di pizzerie americana si gode una capitalizzazione record da 9miliardi di dollari, 60 volte quella di nove anni fa. Cos’è successo in mezzo? Una campagna pubblicitaria in cui la società ha ammesso che la propria pizza sapeva di cartone

Evan Agostini / Getty Images North America / AFP

Se c’è qualcuno che non ha mai lesinato i complimenti alla catena americana Domino’s Pizza – che in questi giorni sta festeggiando la capitalizzazione record di 9 miliardi di dollari in borsa, 60 volte quella del 2008 – è un signore chiamato Donald Trump. Era il 2005 quando The Donald, nel programma The Apprentice, dedicò una puntata alla creazione di una nuova ricetta per la catena e alla successiva spedizione della pizza ottenuta. La concorrente della sfida si fece fotografare nello studio del futuro comandante in capo, che tirò fuori una massima non proprio da iscrivere nel libro degli aforismi dei presidenti. «I miei concorrenti di The Apprentice sono venuti fuori con qualche idea interessante per una nuova pizza, ma l’idea vincente è quella di Domino’s – disse -. Ha preso due dei miei cibi preferiti, la pizza e i cheeseburger e li ha messi assieme. Ho provato questo prodotto ed è favoloso».

«Domino’s ha preso due dei miei cibi preferiti, la pizza e i cheeseburger e li ha messi assieme. Ho provato questo prodotto ed è favoloso»


Donald Trump

Se non vi foste ancora ripresi dall’immagine di un cheeseburger su una pizza, sappiate che non siete soli. All’epoca anche gli americani si erano stufati di tutto questo. Negli Stati Uniti stava prendendo piede una cultura “foodie” che non veniva minimamente incrociata da questo tipo di pizze, né per le ricette né per la qualità degli ingredienti. C’erano anche altri problemi. Dieci anni prima Domino’s aveva abbandonato il suo slogan più famoso, “Consegna entro 30 minuti o è gratis“, per le cause che si stavano accumulando a causa degli incidenti provocati dai fattorini messi sotto pressione. La società nel 1998 era stata venduta dal fondatore, Thomas Monaghan (che poi creò una comunità cattolica in Florida, chiamata Ave Maria), al fondo Bain Capital Lp, all’epoca guidato da Mitt Romney. Nel 2004 arrivò la quotazione, ma le cose continuavano ad andare male. Nel 2006 furono registrati i primi cali di vendite, anticipando di un paio d’anni la crisi economica del 2008. Il resto del danno lo fece un video postato su Youtube da un dipendente, il quale si divertiva a mettere nel naso il formaggio che poi infilava in alcuni panini. Il video divenne virale.

 https://www.youtube.com/embed/1D9PikBzNNo/?rel=0&enablejsapi=1&autoplay=0&hl=it-IT 

Il colpo di genio: creare uno spot in cui inserire i clienti peggiori dei partecipanti ai focus group: «La crosta sa di cartone. La salsa sa di ketchup». «Questa è un’imitazione della pizza». Due mesi dopo le vendite erano salite del 14%

È a quel punto che la storia comincia a diventare interessante. Per ovviare a questa parabola negativa, i dirigenti cominciarono a realizzare dei focus group con i consumatori. Quello che emerse fu che i giudizi erano più che negativi sulla pizza, che veniva descritta così: «La crosta sa di cartone. La salsa sa di ketchup», oppure «Questa è un’imitazione della pizza». Questi giudizi si riflettavano sulle preferenze di acquisto: i clienti preferivano una pizza “senza brand”, qualunque, a quella di Domino’s. Ciò che successe dopo lo racconta un lungo speciale di Bloomberg Businesssweek del 20 marzo scorso (che vale una lettura solo per il formato, che riprende tutti gli stilemi del sito e dell’app della catena). Ci furono nuove ricette, con dei passi avanti (almeno per il gusto americano): alla crosta fu aggiunto burro all’aglio, la salsa fu resa più dolce e furono aggiunti degli aromi, la qualità della mozzarella fu migliorata. Ma soprattutto ci fu uno spot in cui la società ammise, senza tanti giri di parole, che il suo prodotto faceva schifo. Furono riportati gli spezzoni dei focus group (chissà se autentici o ricostruiti, poco importa) con i giudizi tremendi sul gusto. E poi furono impacchettati dei video in cui quelle stesse persone venivano persuase che le nuove ricette erano migliori. A quel punto c’era da attendere il risultato. «Scherzavamo sul fatto che se non avesse funzionato sarei stato il Ceo con la durata più corta nella storia delle aziende americane», dice a Bloomberg J. Patrick Doyle, presidente delle Us Operation della catena. Il risultato fu che nel giro di una settimana i talk show del mattino discutevano della campagna, che decine di tv locali si misero a fare dei test in diretta della qualità delle nuove ricette, che la vicenda entrò nel giro dei comici-conduttori che contano, come Stephen Colbert. Due mesi dopo le vendite erano salite del 14%, a parità di negozi. Sarebbero salite di più se i ristoranti fossero stati meglio attrezzati per la corsa agli ordini.

 https://www.youtube.com/embed/z3GcLH_834E/?rel=0&enablejsapi=1&autoplay=0&hl=it-IT 

La tecnica di auto-sfottersi è diventata una specie di moda, negli anni. Chi avesse visto lo spot di Kfc per pubblicizzare la sua “Chizza”, qualche giorno fa, sa di che si parla

Il giochino, comunque, è continuato anche negli anni a venire. Sull’onda dell’effetto della prima “operazione verità”, al marketing di Domino’s si misero a pensare a quale potesse essere una seconda. Cercarono gli aspetti poco trasparenti del settore e scelsero di evidenziare quello delle foto dei cibi. Solitamente sono quanto di più falso, con aggiunte di formaggio che è valso il nomignolo di “cheese porn” a queste rappresentazioni, specifica Bloomberg. Seguì una campagna in un la catena mostrava come prima venivano realizzate le foto e prometteva di non usare più quelle tecniche. Chiese ai clienti di mandare le loro foto e ne ricevette 40mila. Alcune erano decenti, altre tremende. Quella peggiore, consegnata da un certo Bryce nel Minnesota, finì nello spot successivo.

 https://www.youtube.com/embed/Aqy8mAs-Izk/?rel=0&enablejsapi=1&autoplay=0&hl=it-IT 

La tecnica di auto-sfottersi è diventata una specie di moda, negli anni. Chi avesse visto lo spot di Kfc per pubblicizzare la sua “Chizza”, qualche giorno fa, sa di che si parla. Si vedono degli italiani, giovani ma soprattutto anziani, in una città del Sud, che esprimono con il viso e con i gesti tutto il loro disprezzo, mentre i sottotitoli in inglese riportano frasi come “La adoro”, “È gustosa”.

 https://www.youtube.com/embed/n75V1tY9jMw/?rel=0&enablejsapi=1&autoplay=0&hl=it-IT 

Il resto della storia, dietro a quel che è successo in questi anni a Domino’s, ha molto a che fare con la tecnologia. Ci sono 12 modi per ordinare la pizza, dal telefono a una chiamata con un agente virutale, dall’app a sistemi più contorti. Uno di questi consiste nel mandare via Twitter un emoji rappresentante una pizza all’account @dominos. Può arrivare solo un tipo di pizza preferita e in realtà sembra che il sistema non sia usato da nessuno. Ma è tutta pubblicità. Così come per una nuova app, che non prevede neanche un click: quando si lancia l’applicazione parte un conto alla rovescia. Se non lo si ferma entro 10 secondi, parte l’ordine di una pizza preferita, la cui consegna – per ora solo in Australia – si può monitorare con il Gps. Non è che sia tutta fuffa, perché il 50% degli ordini oggi avviene online, di cui una metà buona via smartphone. La tecnologia ha interessato anche la parte di spedizione, anche se soprattutto con campagne a effetto. Quella più duratura e divertente è la trasformazione di più di 150 auto (delle Chevrolet Spark) nella versione Dxp: un forno scalda-pizze nel bagagliaio, il resto degli interni organizzato per portare salse e bibite, una luce sul tetto che si accende quando un ordine viene portato. Ci sono poi i test per la consegna con i droni in Australia (dove le regole al riguardo sono ancora rilassate) e quelli con un robot in New Zealand. La vera frontiera è quella delle auto senza pilota, quando saranno in circolazione. Allora sì che ci sarà da gestire l’immagine, perché sarà messo a rischio il lavoro di circa 130mila fattorini.



Una trovata di comunicazione duratura e divertente è la trasformazione di più di 150 auto (delle Chevrolet Spark) nella versione Dxp: un forno scalda-pizze nel bagagliaio, il resto degli interni organizzato per portare salse e bibite, una luce sul tetto che si accende quando un ordine viene portato

Entra nel club, sostieni Linkiesta!

X

Linkiesta senza pubblicità, 25 euro/anno invece di 60 euro.

Iscriviti a Linkiesta Club