Ci siamo abituati a pensare a Mario Mandzukic come a un bullo e di conseguenza a definirlo come tale. Spesso guardiamo le partite della Juventus aspettando il momento nel quale sovrasterà un avversario, spesso e volentieri un terzino visto il ruolo d’esterno che sta ricoprendo con continuità quest’anno, nitrendo di gioia quando lo prende a spallate o semplicemente si sbarazza di lui. A contribuire a questa immagine che ci siamo fatti del croato contribuiscono le poche interviste concesse e una certa distanza mantenuta dalla classe giornalistica: quando venne presentato come nuovo giocatore della Juve, rispose seccamente a chi gli chiedeva conto dei propri tatuaggi, liquidando la questione come non pertinente con la sua presentazione. Il carattere di Mandzukic, che come spesso accade come molti calciatori slavi ha fama di duro e cattivo, non fa altro che chiudere il cerchio. Del Mario duro e bullo ha approfittato anche il club, che dopo l’iniziativa “Pirlo is not impressed“, che sfruttava la calma mostrata sempre in campo dal giocatore, oggi per creare engagement con i tifosi sui social ha lanciato l’hashtag #TenderMario: il compito dei fan è quello di fare intenerire il giocatore con video o foto pucciosi.
Mario puccioso non è, ma ridurlo a bullo è quantomeno ingeneroso. Perché Mandzukic, nel progetto tattico che Allegri ha disegnato per la Juve 2016/17, è uno dei giocatori chiave. Non tanto grazie al suo bullismo, ma alla sua grande capacità di adattamento, in un ruolo che molti erano convinti fosse non suo. In realtà, la posizione di esterno sinistro anziché di punta centrale è una posizione che consente al giocatore di sfruttare alcune sue caratteristiche peculiari nel migliore dei modi. Prima di approdare in Germania, Mandzukic è cresciuto tra calcisticamente a Zagabria, tra NK e Dinamo. Nell’NK si era visto affibbiare da Miroslav Blažević, ct della Croazia terza al Mondiale del 1998, il soprannome di Djilkos, sfrontato. Un soprannome che Mandzukic non ha mai apprezzato, preferendo concentrarsi sul lavoro. Ed è nella Dinamo che lascia intravedere quelle caratteristiche che gli sono tornate utili da esterno nella Juve. Come ad esempio si vede in questo gol, risalente alla stagione 2008/09, Mario nonostante l’altezza sfrutta le leve lunghe per metterla in velocità contro l’avversario, aggredendo la profondità palla al piede. Da notare che non ha bisogno nell’occasione di abbattere nessun avversario:
Non ne ha bisogno nemmeno qui, dove dimostra di essere utile al gioco della squadra non solo inserendosi al centro o segnando di testa (cosa che resta la specialità della casa), ma anche sapendo allargarsi per dirigere l’azione personale (con il compagno che comunque lo ha seguito in area per una eventuale sponda):
In Germania il repertorio di Mandzukic prevede spesso e volentieri il gol su colpo di testa, sia al Wolfsburg che al Bayern. Un repertorio abbastanza monotono, complice la curiosa usanza delle squadre di Bundesliga di mandare i difensori centrali al bar tutte le volte che il croato riceve una palla alta al centro dell’area. Per intenderci, one gif fits all:
Eppure, è proprio nell’esperienza tedesca che Mandzukic può mettere a frutto quelle capacità di inserimento nello spazio in velocità e di lettura del lancio in profondità L’opportunità gliela dà nientemeno che un ex commissario tecnico inglese finito per essere definito “L’idiota con l’ombrello”. Steve McCLaren, in cerca di rilancio dopo l’esperienza sulla panchina dell’Inghilterra chiusa con la mancata qualificazione agli Europei del 2008, si era trasferito in Olanda, dove aveva vinto il campionato olandese con il Twente. In cerca di panchine più prestigiose, era approdato alla squadra della Volkswagen. Qui si ritrova con due prime punte centrali: oltre a Mandzukic c’è Edin Dzeko, che spesso e volentieri gli viene preferito in mezzo all’attacco del Wolfsburg. Il tecnico inglese, per non lasciare in panca il croato arrivato in estate decide di imporre quel 4-2-3-1 usato con successo in Olanda. Qui il successo sarà nettamente inferiore, visto che McClaren verrà esonerato con la squadra al 12° posto in Bundesliga, ma per Mandzukic si tratta di un passaggio chiave della propria carriera. Perché se è vero che il croato tornerà a segnare e a guadagnarsi le attenzioni del Bayern giocando al centro, è in questa fase che McClaren lo schiera largo nel tridente a supporto di Dzeko: l’idea è quella di avere una punta centrale moderna – in grado cioè non solo di stare piantato al centro dell’area, ma di partecipare attivamente all’azione – assistita da almeno un compagno in grado di attaccare la profondità dalla fascia, che poi era quello che aveva sperimentato (quella volta con successo) in quel Middlesbrough che nel giro di un paio di stagioni aveva guadagnato la vittoria in Coppa di lega inglese e la finale di Coppa Uefa: nel Boro a fare quel lavoro c’erano Viduka e Maccarone.
Al Bayern, le cose vanno bene a Mandzukic quando gli viene chiesto da Heynckes capisce che può essergli utile non solo in mezzo all’area a raccogliere i soliti cross – sempre per quella curiosa abitudine tedesca che gli avversari gli riservano: lasciarlo smarcato – ma anche quando può attaccare la profondità dalle fasce laterali, cercando il fondo per i compagni. In pratica, il tecnico gli chiede di fare quello che ha imparato al Wolfsburg:
Dopo il Triplete, Mandzukic ha lasciato il Bayern. Si è spesso detto che l’arrivo di una prima punta come Lewandowski gli avesse chiuso la possibilità di giocare al centro, così come il cambio di panchina, passata a Guardiola e al suo tiki-taken (cioè il tiki-taka in salsa tedesca) non era ciò che avrebbe fatto per lui. E si è creduto che il passaggio all’Atletico Madrid, squadra totalmente devota al gioco fisico e aggressivo iscritto nella filosofia del Cholismo sarebbe stata la più congeniale per lui. Sarà, ma Guardiola la Champions non l’ha più vinta, così come al Calderon il nostro Mandzukic è durato solo un anno. Per il catalano credere che il croato non potesse coesistere con Lewandowski è stato un errore fatale, perché al polacco è mancata una spalla in più che gli creasse spazi sì con il fisico, ma anche con la corsa e l’aggressione della profondità. Così come pensare che il Cholismo potesse fare per lui. Perché quello che nessuno ha capito di lui a Madrid è che Mario può fare tutto, ma non è un grezzo che corre, suda, lotta e basta. Mario Mandzukic ha più intelligenza tattica di quel che si crede. E a capirlo è stato Allegri, che guarda caso è uscito dall’ottica del “celodurismo” per usare le qualità del giocatore nel nuovo modulo disegnato perla Juve nella seconda metà di questa stagione.
Nel 4-2-3-1, la soluzione di Mandukic largo a sinistra offre una gamma di soluzioni offensive che permettono alla Juve di poter andare in porta con facilità Perché l’allargamento del croato permette al giocatore di sfruttare la propria corsa e tecnica per crossare in mezzo per Higuain (come in questa occasione creata in Sassuolo-Juve dello scorso gennaio); oppure, grazie al fisico, il croato può proteggere il pallone e appoggiarla a Higuain, che si sgancia dal centro e crea lo spazio per l’arrivo in mezzo di Dybala.
L’evoluzione di Mandzukic non è finita qui. La doppia semifinale vinta contro il Monaco ha messo in mostra da una parte la capacità del giocatore di saper leggere gli spazi lasciati dagli avversari, vedi il gol segnato al ritorno, ma anche la predisposizione a giocare in altri e nuovi ruoli: all’andata al Louis II, Mario ha in pratica fatto l’interno di centrocampo, così che quando la squadra si disponeva a 3 dietro in possesso palla lui cercava l’esterno e rientrava a coprire dando man forte al centrocampo a recuperar palloni.
Nel tempo, Mandzukic ha imparato a muoverso sul campo con intelligenza, senza mai ostacolare i compagni con la sua presenza. A Monaco ad esempio ha avuto inoltre licenza di andare in mezzo all’area come ai tempi della Bundes, senza di fatto pestarsi i piedi con Higuain. Anzi. Come si vede in questa azione, l’avanzamento di Alex Sandro palla al piede fa sì che Mandzukic vada in mezzo, con Dybala che attacca la profondità per servirlo e Higuain che arretra per fare da eventuale “rimorchio”:
Un po’ poco, insomma, per farne di lui solamente un grezzo, un bullo.