Crediamo che i fondi Ue non ci siano o siano insufficienti? È un problema di comunicazione

L'informazione sui fondi strutturali europei è fatta poco e male. Questo alimenta una sfiducia nei confronti dell'Unione stessa. Sarebbe meglio che politica e media si dessero da fare per far conoscere quel che di buono fa l'Europa

Dal 2016 la Commissione Europea finanzia, tramite il programma Horizon 2020, due importanti progetti di ricerca triennali diretti a studiare la percezione pubblica dei fondi strutturali e l’influenza che questi esercitano sull’opinione che i cittadini hanno dell’UE. Il primo, Perceive, vede come capofila l’Università di Bologna, mentre il secondo, Cohesify, annovera tra i partner il Politecnico di Milano.
Tra i principali aspetti messi sotto la lente d’ingrandimento figurerà anche la sfiducia da record verso le politiche di coesione che dilaga nell’opinione pubblica italiana. Nonostante il nostro paese sia secondo per quantità di risorse ricevute, le ricerche demoscopiche effettuate dall’Eurobarometro quantificano in appena il 41% (i dati sono aggiornati al 2015) la quota di cittadini che giudicano positivamente l’impatto dei fondi strutturali sul loro territorio. È il valore in assoluto più modesto registrato nei 28 paesi membri, a fronte di una media europea del 75%. Addirittura, solo il 5% degli italiani dichiara di aver percepito i benefici diretti di un progetto finanziato da Bruxelles.

Questi dati non possono essere letti unicamente alla luce delle diffuse criticità che hanno interessato in passato la gestione dei fondi strutturali in Italia, in special modo – ma non solo – nelle regioni del Mezzogiorno. È innegabile come le diffuse inefficienze, i ritardi e, talvolta, i casi di frodi abbiano contribuito a consolidare una certa reputazione negativa. Ma una causa altrettanto rilevante, sebbene spesso sottaciuta, risiede nelle difettose modalità di comunicazione della politica di coesione stessa.

In parole povere, i benefici e i risultati degli interventi non sono divulgati con sufficiente chiarezza o efficacia. Peggio: sono spesso oggetto di informazioni inesatte o del tutto fuorvianti. Questa questione ha almeno due facce. La prima è l’oggettiva debolezza dei dispositivi di comunicazione dei fondi messi in campo dalle autorità pubbliche coinvolte nella governance della coesione, siano esse regionali, nazionali o europee. Si tratta di una problematica tanto annosa quanto largamente presente a tutte le latitudini dell’UE. Non a caso i ministri della coesione ne hanno discusso martedì 25 aprile durante una riunione del Consiglio, nel corso della quale hanno concordato con la Commissione Europea nuove misure per rafforzare la visibilità della politica di coesione e la sua immagine positiva.

I benefici e i risultati degli interventi non sono divulgati con sufficiente chiarezza o efficacia. Peggio: sono spesso oggetto di informazioni inesatte o del tutto fuorvianti

È il segno di una ritrovata attenzione nei confronti del tema. Fino ad oggi i reiterati tentativi della Commissione Europea di aggredirlo, sia rafforzando gli obblighi regolamentari in capo alle autorità di gestione, sia fornendo loro più assistenza, hanno prodotto risultati in chiaroscuro. Solo il 34% dei cittadini europei dichiara, infatti, di conoscere almeno un progetto finanziato dai fondi europei (il 43% in Italia).
Sarebbe tuttavia ingeneroso scaricare tutta la responsabilità sulle pubbliche amministrazioni, a maggior ragione visti i ragguardevoli sforzi sul fronte della comunicazione mostrati in questo ciclo di programmazione da numerose regioni italiane, tra cui la Calabria. E’ necessario usare una seconda chiave di lettura per spiegare il deficit di credibilità di cui soffrono i fondi strutturali in Italia: si tratta della narrazione che ne offrono i media. Questa è confrontata in misura sempre maggiore a due rischi. Da un lato, si registra un marcato squilibrio tra lo spazio che i mezzi d’informazione riservano al racconto di episodi di inefficienze e sprechi e quello che dedicano alla trattazione dei processi virtuosi e progetti di successo.

Dall’altro, ci sono gli oggettivi limiti del medium comunicativo che spesso costringono una materia altamente tecnica e complessa quale è quella dei fondi strutturali a notevoli semplificazioni, con l’indesiderato effetto di rinfocolare pregiudizi spesso inesatti, quando non fuorvianti. Uno di questi è, ad esempio, che la lentezza della spesa sia principalmente dovuta a inadempienze o negligenze della burocrazia regionale.

È piuttosto vero, come scriveva la Banca d’Italia in un rapporto sul ciclo di programmazione 2007-2013, che le cause vanno rintracciate spesso altrove: “nuove e più complesse regole operative per l’attuazione dei programmi comunitari; una maggiore incidenza di grandi progetti infrastrutturali, la cui gestione è particolarmente complessa; i vincoli di bilancio che hanno ostacolato le capacità di cofinanziamento, statale e regionale”. Questa analisi rimane più che valida nel nuovo periodo di programmazione 2014-2020.
Per concludere, non esistono ricette miracolose per cambiare di punto in bianco l’immagine sempre più incrinata della politica di coesione, ma è certo che un supplemento d’impegno da parte delle autorità pubbliche e dei media, incluso un migliore dialogo tra gli stessi, costituisce la strada da seguire. La politica di coesione continua oggi ad occupare una funzione essenziale non solo nel sostenere gli investimenti pubblici, con risultati tangibili e misurabili, ma anche nell’attuare a livello territoriale le politiche comunitarie in grado di avvicinare i cittadini all’Unione Europea.Occorre comunicare meglio e di più questo messaggio.

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