«Abbiamo pazientemente atteso due anni, adesso è il momento di decidere». Il senatore Benedetto Della Vedova chiede almeno uno scatto d’orgoglio. A due anni dalla presentazione di una proposta di legge per la legalizzazione della cannabis, il provvedimento è ancora in attesa di un voto. Le voci sempre più insistenti sul destino della legislatura non lasciano troppo spazio all’ottimismo. Se davvero i principali partiti troveranno un accordo sulla legge elettorale, le prossime elezioni potrebbero tenersi tra settembre e ottobre. Obbligando a sciogliere le Camere entro l’estate. E così la norma sulle droghe leggere sembra destinata a non vedere mai la luce: sacrificata sull’altare del voto anticipato. Della Vedova ancora non si arrende. «Sarebbe un grave errore affossare questo provvedimento. Ecco perché chiedo al Pd e a Matteo Renzi si consentire il voto, prima in commissione e poi in Aula». La vicenda nasconde un curioso particolare: si tratta della proposta di legge più sottoscritta della legislatura. I firmatari del documento sono 222 deputati di tutti gli schieramenti (con particolare presenza di esponenti del Partito democratico e del Movimento Cinque Stelle).
È una norma divisiva, sia chiaro. Una riforma che da tempo anima il confronto tra sostenitori e contrari, non solo in Italia. Si spiega anche così il travagliato iter legislativo: dopo la presentazione del ddl elaborato dall’intergruppo coordinato da Della Vedova, un anno fa a Montecitorio si sono tenute numerose audizioni di esperti. La scorsa estate il provvedimento è approdato in aula e velocemente rispedito in commissione per l’esame del testo e degli emendamenti. Nonostante tutto, a oggi il comitato ristretto non ha ancora depositato un testo base. Adesso la fine anticipata della legislatura assume il profilo di una pietra tombale. Paradossi della politica. Mentre nel Paese si è finalmente aperto un dibattito sull’opportunità di legalizzare la cannabis, in Parlamento rischia di calare il silenzio.
La fine anticipata della legislatura assume il profilo di una pietra tombale sulla riforma. Paradossi della politica. Mentre nel Paese si è finalmente aperto un dibattito sull’opportunità di legalizzare la cannabis, in Parlamento rischia di calare il silenzio
Ma il voto a settembre rischia di avere conseguenze ben più ampie. Le norme in attesa di approvazione parlamentare sono numerose, tutte rischiano di finire su un binario morto. Potrebbe non vedere mai la luce la riforma della cittadinanza, ad esempio. La norma che rende italiani i bambini nati nel nostro Paese da genitori stranieri (ma anche quei minori che concludono un ciclo di studi nelle nostre scuole). Dopo un lungo dibattito, il provvedimento è stato approvato a Montecitorio nell’ottobre 2015. Trasmesso al Senato, ha atteso per un anno e mezzo in commissione, frenato dai veti di alcune forze politiche. Soprattutto la Lega. L’approdo nell’aula di Palazzo Madama è atteso per il 15 giugno. Ma dato il poco tempo a disposizione in caso di scioglimento anticipato della Camere, è probabile che anche questa riforma rimanga nel limbo dei progetti mai diventati realtà.
Il tempo stringe. Mentre la nuova legge elettorale prende forma, si accorcia la vita di questa legislatura. «Dovremmo ricordarci che abbiamo molti provvedimenti importanti per il Paese avviati e non conclusi» ha ammonito pochi giorni fa la presidente della Camera Laura Boldrini, rispondendo a chi le chiedeva un parere sull’opportunità di elezioni anticipate. La lista delle riforme incompiute si allunga. Rimane ancora in attesa di approvazione il disegno di legge sulla concorrenza. Approvato alla Camera, modificato al Senato, adesso deve essere licenziato definitivamente a Montecitorio. Sempre ammesso che ce ne sia il tempo. Il testo uscito dal Consiglio dei ministri due anni e mezzo fa contiene interventi in numerosi settori: energia, assicurazioni, taxi, farmacie, turismo. Urgenti, ma evidentmente non troppo. A breve dovrebbe aprirsi un nuovo ciclo di audizioni di esperti. L’impressione è che il lavoro svolto finora rischi seriamente di concludersi in un nulla di fatto.
Se davvero i principali partiti troveranno un accordo sulla legge elettorale, le prossime elezioni potrebbero tenersi tra settembre e ottobre. Obbligando a sciogliere le Camere entro l’estate. E così diverse riforme sembrano destinate a non vedere mai la luce: sacrificate sull’altare del voto anticipato
E cosa dire della commissione di inchiesta sulle banche? In attesa che inizi a indagare, si può già ipotizzare quali risultati otterrà. Nessuno. Calendario alla mano è probabile che non ci sarà nemmeno il tempo di avviare i lavori. Altro provvedimento molto discusso è il ddl che introduce il reato di tortura nel nostro ordinamento. Un iter legislativo che definire tortuoso è poco. Approvato dal Senato nel 2014, modificato dalla Camera nel 2015, pochi giorni fa è stato nuovamente votato a Palazzo Madama. Ora torna a Montecitorio per l’ultima lettura. Nel frattempo il testo è stato profondamente modificato, tanto da sollevare critiche sia tra i favorevoli che tra i contrari. Comunque la si pensi, ecco un’altra norma che in caso di elezioni anticipate rischia di sparire. Nonostante le prime proposte in materia siano state depositate in Parlamento ormai trenta anni fa.
Il cimitero delle riforme mai nate è fitto di provvedimenti. Potrebbe saltare la riforma dei vitalizi che estende il sistema contributivo a tutti i parlamentari, anche quelli già cessati dall’incarico. E così le norme sul testamento biologico, approvate a Montecitorio lo scorso aprile e adesso all’esame del Senato. E poi c’è la riforma del processo penale. Approvata a Palazzo Madama, ora alla Camera. Si tratta di un importante intervento che modifica la disciplina della prescrizione e riforma l’ordinamento penitenziario. Ma conferisce anche precise deleghe al governo in materia di intercettazioni: tema sempre attuale e da tempo in attesa di un intervento legislativo. Anche stavolta il rischio affossamento è alto. In caso di voto anticipato, anche di questo se ne riparlerà la prossima legislatura. Forse.