Se ne parla molto, ma diversi sono i dubbi che riguardano i Pir, i nuovi Piani individuali di risparmio introdotti dall’ultima legge di Bilancio. In breve, si tratta di una una tipologia di investimento che consente di beneficiare di un notevole vantaggio fiscale: non si pagano le tasse sui rendimenti degli investimenti e non si paga l’imposta di successione sul patrimonio investito.
Per ottenere questi benefici occorre che l’investimento in Pir rispetti alcuni requisiti sia per quanto riguarda la composizione del portafoglio, che per quanto riguarda l’ammontare investito e l’orizzonte temporale dell’investimento. Tra i requisiti c’è quello secondo cui almeno il 70% deve essere investito in strumenti finanziari emessi da imprese italiane o europee (a patto che queste ultime dispongano di una stabile organizzazione in Italia). Di questo 70%, almeno il 30% deve essere investito in aziende che non fanno parte del Ftse Mib (l’indice principale della Borsa Italiana), cioè deve essere destinato all’acquisto di azioni o obbligazioni emesse da piccole-medie imprese italiane.
A fronte delle agevolazioni ci sono elementi a cui stare attenti. I rischi sono legati sia alla forte esposizione verso l’Italia, sia all’orizzonte temporale lungo. Ma utilizzare una gestione professionale, ad esempio attraverso un fondo comune, garantisce una diversificazione maggiore e dunque un rischio inferiore rispetto ad un portafoglio concentrato su pochi titoli.
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Attenzione ai dettagli: molte società stanno lanciando nuovi prodotti Pir, o convertendo vecchi prodotti già esistenti, che hanno commissioni molto alte, senza che siano proporzionate al servizio di gestione