«Abbiamo bisogno di queste figure, le nostre giovani si devono ispirare a donne così». Due giorni fa, con queste parole, la presidente della Camera Laura Boldrini ha scoperto nella sala della Regina il busto di Anna Maria Mozzoni. La prima suffragetta d’Italia. «Una persona straordinaria, una combattente per i diritti delle donne». Femminista ante litteram, come il deputato Salvatore Morelli. Altro personaggio dimenticato del nostro Ottocento: il primo parlamentare a presentare una proposta di legge per estendere il diritto di voto anche alle italiane. Da oggi Palazzo Montecitorio ospiterà anche il suo busto. È un’iniziativa simbolica, ma non solo. La decisione di accogliere le statue di due pionieri della parità di genere ha un profondo significato politico. Non è un mistero: dall’inizio della legislatura la presidente ha caratterizzato il suo mandato con un obiettivo preciso. Da quattro anni la Camera è in prima linea nella battaglia per i diritti delle donne.
È una sfida coraggiosa, non sempre facile. A Montecitorio ricordano ancora le polemiche che hanno accompagnato la prima iniziativa di Laura Boldrini. Appena insediata, aveva trovato sulla scrivania un blocco di carta intestata tutta declinata al maschile. E immediatamente aveva chiesto di sostituire la dicitura “il presidente” con “la presidente”. Apriti cielo. Per settimane giornali e avversari politici hanno criticato quella scelta, considerata nel migliore dei casi come un’inutile pedanteria femminista. Ma non era che l’inizio: poco dopo, con apposita circolare, la presidenza ha imposto l’introduzione del linguaggio di genere in tutti gli atti parlamentari. E così se fino alla scorsa legislatura la parola “deputata” neppure esisteva, oggi è diventata la normalità (come ministra e sindaca, peraltro).
A Montecitorio ricordano ancora le polemiche che hanno accompagnato la prima iniziativa di Laura Boldrini. Appena insediata, aveva trovato sulla scrivania un blocco di carta intestata tutta declinata al maschile. E immediatamente aveva chiesto di sostituire la dicitura “il presidente” con “la presidente”. Apriti cielo
Dopo il linguaggio, gli arredi. Nei corridoi di Montecitorio ci sono oltre cinquanta busti che ritraggono i protagonisti della storia politica italiana. Sono cinquantasette, per la precisione. Tutti uomini e una sola figura femminile (l’ex presidente Nilde Iotti). Per ovviare a questa disparità, nel luglio dello scorso anno la presidente Boldrini ha inaugurato la Sala delle donne. Uno spazio dal forte significato simbolico. Su una parete sono state messe le fotografie delle ventuno componenti dell’assemblea costituente. Di fronte, le prime sindache italiane. Undici donne elette alle amministrative del 1946. Trovarle non è stato facile, raccontano. Negli archivi del Palazzo non c’era nulla, per individuarle gli uffici della Camera hanno svolto un’accurata ricerca. E il risultato non è stato privo di sorprese. Ad esempio si è scoperto che molte di loro erano meridionali, alla faccia dei luoghi comuni. Ben tre erano calabresi: un dato sorprendente, se si pensa che oggi nell’intero Consiglio regionale sono presenti solo due donne. L’ultima fotografia ad aver trovato posto nella sala è quella di Ines Nervi Caratelli, prima cittadina di San Pietro in Amantea, vicino Cosenza.
Spazio poi alle tre donne che per prime hanno conquistato le più importanti cariche istituzionali italiane. La ministra del Lavoro Tina Anselmi, la presidente di Montecitorio Nilde Iotti e la presidente della giunta abruzzese Anna Nenna D’Antonio. I due busti di terracotta dei pionieri del femminismo, Mozzoni e Morelli saranno sistemati proprio in questa sala. Vicino a tre grandi specchi, che rappresentano forse il messaggio principale per i visitatori. Sopra ognuno c’è una targhetta: presidente della Repubblica, presidente del Consiglio, presidente del Senato. Nessuna donna finora ha mai ricoperto queste cariche. Chiaro l’obiettivo di motivare le giovani che vedono la propria immagine riflessa. «Potresti essere tu», si legge.
Montecitorio si colora di rosa. Nonostante le resistenze di molti, la legislatura ha assunto una forte caratterizzazione. Per la prima volta nella storia repubblicana una donna, Lucia Pagano, è diventata segretaria generale della Camera. Proprio in questi anni l’Aula ha approvato la convenzione di Istanbul, pietra miliare nella lotta contro la violenza sulle donne. E per la prima volta, altro inedito, è stato creato l’intergruppo parlamentare per le questioni di genere. Istituito dalla presidente Boldrini nel 2015, ne fanno parte un centinaio di deputate di tutti gli schieramenti politici. Con l’obiettivo di dare voce all’interno delle aule parlamentari a milioni di italiane. Ma l’uguaglianza di genere si difende anche con i simboli. Da oltre un anno un drappo rosso pende dall’ufficio di Laura Boldrini. È la risposta della presidente alla campagna social nata dopo l’assassinio della giovane Sara Di Pietrantonio, per denunciare la diffusione dei femminicidi in Italia. E per lo stesso motivo da due anni, in occasione dell’8 marzo, le bandiere di Montecitorio sono abbassate a mezz’asta in segno di lutto.
Su una parete sono state messe le fotografie delle ventuno componenti dell’assemblea costituente. Di fronte, le prime sindache italiane. Undici donne elette alle amministrative del 1946. Trovarle non è stato facile, raccontano. Negli archivi del Palazzo non c’era nulla, per individuarle gli uffici della Camera hanno svolto un’accurata ricerca. E il risultato non è stato privo di sorprese. Ad esempio si è scoperto che molte di loro erano meridionali, alla faccia dei luoghi comuni
Sono decine i convegni e le conferenze organizzati sul tema. Tra tanti appuntamenti spicca l’iniziativa “Non siamo così”, ospitata alla Camera esattamente due anni fa. Un incontro fortemente voluto dalla presidente Boldrini per riflettere sul linguaggio di genere e la rappresentazione mediatica del femminile alla presenza di esperti di comunicazione, linguisti e pubblicitari. L’agenda di Montecitorio scandisce la lunga campagna per il riconoscimento della parità di genere. Un anno fa nelle sale della Camera è stato proiettato in anteprima il film Suffragette. Una mostra, invece, ha celebrato i settant’anni del suffragio universale. Intitolata “L’anno della svolta”, è stata allestita nella sala della Lupa appena riaperta dopo un lungo restauro. All’interno una meticolosa raccolta di documenti storici, immagini d’epoca e atti parlamentari per ripercorrere il lungo cammino delle donne verso il diritto di voto.
Sempre per ricordare l’anniversario del suffragio universale, più recentemente la Camera ha ospitato un’altra esposizione artistica. La mostra “Vo(l)to di donna” ha portato nel Palazzo opere, tra gli altri, di Guttuso, Manzù, Balla e De Chirico: tutti uomini che hanno scelto la donna come soggetto della propria arte. Ennesima iniziativa per tenere alta l’attenzione sull’argomento. «Perché la parità di genere non è una questione ideologica – spiegano a Montecitorio – ma culturale».