A Roma il trasporto pubblico non funziona. Gli autobus sono pochi, vecchi, spesso guasti. Passano alle fermate in ritardo, quando non sono fermi per uno sciopero. E poi c’è Atac, «un’azienda che è stata usata da tutte le amministrazioni di destra e di sinistra come bacino clientelare. Una società fallita che non offre servizi efficienti, perde centinaia di milioni di euro l’anno e ha accumulato un deficit di oltre un miliardo di euro». Il giudizio del segretario radicale Riccardo Magi è impietoso. Come i commenti dei romani che quotidianamente sono costretti a muoversi con i mezzi pubblici. Per combattere sprechi e disservizi, adesso il partito di Magi propone una soluzione rivoluzionaria. In pieno stile radicale. Un referendum per chiedere la messa a gara del servizio, affidandolo a più soggetti. Rompendo il monopolio degli ultimi decenni e aprendo alla concorrenza.
In città si stanno raccogliendo le firme ormai da qualche tempo. La procedura è complessa: dopo le prime mille sottoscrizioni, a marzo il quesito è stato depositato presso gli uffici del Campidoglio. Verificata l’ammissibilità da parte di un’apposita commissione, adesso ci sono tre mesi per raccogliere altre 30mila firme. Pari all’1 per cento della popolazione residente. Nel frattempo l’iniziativa sta raccogliendo grande successo. Un lunga lista di accademici e parlamentari si è pubblicamente esposta a favore del referendum (tra loro il senatore Pietro Ichino, il professore Francesco Giavazzi e l’ex assessore Umberto Croppi). Se tutto andrà come sperano gli organizzatori, la prossima primavera i romani potranno votare il nuovo modello di gestione del trasporto pubblico. A partire dal 3 dicembre 2019 – quando scadrà l’attuale affidamento – sulle strade della Capitale ci sarà una grande novità. Come spiega il testo del referendum, Roma Capitale sarà costretta ad affidare tutti i servizi relativi al trasporto pubblico locale di superficie e sotterraneo ovvero su gomma e su rotaia mediante gare pubbliche. Anche a più gestori. È un’iniziativa dal “valore strategico”, spiega Magi. Un progetto che potrebbe avere importanti ripercussioni anche a livello nazionale.
Se tutto andrà come sperano gli organizzatori, la prossima primavera i romani potranno votare il referendum. In caso di successo cosa cambia? A partire dal 3 dicembre 2019 Roma Capitale sarà costretta ad affidare tutti i servizi relativi al trasporto pubblico locale di superficie e sotterraneo ovvero su gomma e su rotaia mediante gare pubbliche. Anche a più gestori.
Mentre il caso monta, a Roma si contano i danni. Gli autobus in circolazione sono vecchi, in media superano i dieci anni. L’età media dei tram supera abbondantemente i trenta. Un dossier dei Radicali elenca le cifre del disastro: negli ultimi dieci anni «la programmazione del trasporto di superficie non è stata mai rispettata, e quella del trasporto metropolitano quasi mai». L’offerta di bus elettrici è stata ridotta dell’80 per cento, e l’offerta tranviaria è calata del 10 per cento. Tra i servizi di metropolitana e superficie, solo nel 2015 sono state soppresse 653.445 corse. Pari al 6,6 per cento di quelle programmate. Sullo sfondo resta il rapporto tra Roma Capitale e Atac. Un evidente conflitto di interessi, spiegano i radicali, tra il Comune, nel ruolo di controllore, e il controllato.
E così in città si è aperto il dibattito. Diversi esponenti politici stanno prendendo posizione. Qualche giorno fa, con un intervento sulle pagine del Corriere, anche l’ex vicesindaco Walter Tocci, oggi senatore del Partito democratico, si è schierato a favore del referendum. «Il monopolio Atac è ormai insostenibile per le finanze comunali ed è causa di malessere quotidiano della città. Il ricorso alle gare europee è l’unico strumento che può abbassare i costi e quindi aumentare le percorrenze degli autobus e la qualità del servizio». Tra i dubbiosi c’è chi punta il dito contro l’ipotesi di privatizzazione. Magi smentisce: «La nostra non è un’iniziativa a favore dei privati, ma pienamente nell’interesse dei cittadini». A sentire gli organizzatori, la regolazione del servizio rimarrà pubblica. Una gara aperta e trasparente permetterà di misurare oggettivamente i servizi offerti dai vari partecipanti, ma sarà il Campidoglio ad avere l’ultima parola. «Semmai il referendum costringerebbe il Comune finalmente ad adempiere ai suoi doveri pubblici di pianificazione e controllo del servizio di trasporto». Del resto, così si legge sul sito dell’iniziativa referendaria, “Il bene comune non è l’Atac, ma il servizio offerto ai cittadini”. Resta un altro nodo da sciogliere. Nell’ottica di un risanamento, quanti dipendenti dell’azienda rischiano di perdere il lavoro? Difficile rispondere, eppure il quesito referendario cita espressamente la disciplina vigente in materia di “tutela della salvaguardia e la ricollocazione dei lavoratori nella fase di ristrutturazione del servizio”.
Dopo le prime mille sottoscrizioni, a marzo il quesito è stato depositato presso gli uffici del Campidoglio. Verificata l’ammissibilità da parte di un’apposita commissione, adesso ci sono tre mesi per raccogliere altre 30mila firme. Pari all’1 per cento della popolazione residente
Intanto sugli autobus romani si alza la temperatura. E per una volta la colpa non è solo dei guasti all’aria condizionata, che pure in questi giorni stanno costringendo molti mezzi a rimanere in officina. Venerdì scorso, in occasione dell’ennesimo sciopero, un gruppo di manifestanti si è presentato sotto la sede di Radicali a Torre Argentina. «Magi, viè ggiù», gli ha gridato qualcuno in tono poco amichevole. In rete circola il video di un banchetto per la raccolta firme smontato e spostato di peso da alcune persone evidentemente contrarie all’iniziativa. I radicali, da parte loro chiedono alla politica di schierarsi. Di fronte alla contrarietà dei Cinque Stelle, pochi giorni fa è arrivata l’apertura del segretario dem Matteo Renzi. «Siamo prontissimi a ragionare- ha spiegato l’ex premier in una diretta Facebook – preferiamo affidare la gestione del trasporto pubblico romano, vediamo se attraverso un referendum o con scelte diverse, ad aziende che lo sappiano far funzionare, anziché a sigle sindacali che pretendono di governare le aziende in modo corporativo». La partita è aperta. Per firmare c’è tempo fino a metà agosto.