Dimenticatevi la vita di coppia, in Italia il lavoro è dei single

In Italia il tasso d’occupazione dei single italiani è del 3,3% più alto rispetto a coloro che convivono con un partner, al contrario di quanto avviene nel resto d'Europa. Il fenomeno risulta accentuato per le donne single, rispetto alle donne in coppia o giovani adulti che vivono con i genitori

La famiglia è importante in Italia. Lo sappiamo. Ammortizzatore sociale, il nucleo familiare sostituisce baby-sitter, infermieri e badanti, e soprattutto, nel nostro Paese più che altrove, fa spesso da centro per l’impiego. Ma le conseguenze di questa sostituzione – che in altri Paesi sono funzioni prevalentemente pubbliche – non sono esattamente brillanti. Lo si può notare dai dati dell’occupazione, tra le più basse in Europa, e dal grado di squilibrio e divario nei livelli di occupazione tra soggetti di sesso differente o in condizioni familiari diverse. Dalle disuguaglianze, insomma. In Europa, il divario raggiunge al massimo 13 punti tra chi ad esempio è sposato con figli e chi abita in una tipologia atipica di famiglia, convivendo con i genitori o con altri adulti non imparentati. In Italia si registra lo stesso divario a quasi 20 punti.

Una maggiore disuguaglianza quantitativa, certamente, ma in un certo senso anche qualitativa, perché nel nostro Paese alcuni modelli appaiono rovesciati. Il dato che probabilmente stupisce e appare fuori dal coro è quello relativo ai single.
Ebbene, i single italiani hanno più lavoro di quelli europei. Rappresentano l’unica categoria in cui il tasso di occupazione italiano supera quello medio UE, sia nel caso degli uomini che delle donne.


È qualcosa di quasi incredibile, considerando l’enorme differenza tra i tassi occupazionali italiani ed europei.
In Italia, allora, sembrerebbe quasi che convenga essere single invece che vivere in coppia, per avere un lavoro. A differenza di quanto avviene in Europa, dove è decisamente inferiore, il tasso d’occupazione dei single italiani è del 3,3% più alto rispetto a coloro che convivono con un partner.

Una delle spiegazioni sta nella statistica che vede gli italiani in situazioni familiari “altre” molto meno occupati rispetto alle coppie e più di quanto avvenga nella UE e nell’eurozona.
Di quale categoria stiamo parlando? Nel nostro Paese soprattutto dei giovani adulti che vivono ancora con i propri genitori. In italia molti di questi sono NEET (coloro che non studiano o non lavorano), una categoria che riduce l’ampiezza di quella dei single.

Il risultato è che in Italia i single (non NEET) risultano più e meglio occupati rispetto all’estero. Il fenomeno risulta accentuato per le donne single, in Italia enormemente più occupate di quelle europee, sia con figli che senza.
In questo caso la causa sta nel fatto che sono le donne in coppia che si distinguono piuttosto per tassi d’occupazione bassissimi. Sapevamo dei record negativi dell’Italia nel lavoro femminile, ma a quanto pare il danno è particolarmente concentrato e riguarda coloro che hanno formato una famiglia e vivono con un marito o un compagno, con o senza figli.

Gli uomini invece si distinguono soprattutto per un tasso di occupazione enormemente inferiore tra coloro che vivono con i genitori o coinquilini rispetto a chi sta in coppia. Questo forse lo sapevamo già, in Italia con la crisi si è accresciuto un problema riguardante gli uomini, che hanno perso lavoro più delle donne e in particolare i giovani. Inoltre, la maggioranza di coloro che resta a vivere con la famiglia originaria più a lungo, spesso senza lavorare, sono proprio gli uomini.


E al contrario di quanto si potrebbe pensare non sono i figli il problema. Gli italiani senza figli sono meno occupati di coloro che ne hanno, esattamente come gli europei, dell’8% (?), e non vi sono differenze tra Italia e UE neanche rispetto al genere.

No, sembra proprio essere una questione di nucleo familiare. In Italia non solo chi rimane in famiglia, ma anche chi si sposa o va a convivere, se donna, lavora di meno. A osservare questi dati, avere una occupazione non sembra essere, come negli altri Paesi, un destino naturale, scontato, per chiunque, indipendentemente dalla condizione familiare.

Nel nostro Paese per molti è una questione di pura necessità, ovvero si lavora se non c’è nessuno che ci può mantenere, o se si deve “portare il pane a casa”. Chi ha un marito o dei genitori tende a occuparsi con tassi da Paese mediorientale. E non si tratta solo di disoccupazione, in fondo l’11% non è enormemente diverso dal tasso di senza lavoro di altri Paesi europei. C’è l’oceano degli inattivi che un lavoro non lo cerca che ci dice che abbiamo ancora un problema culturale che questi dati confermano: probabilmente in alcune regioni più che in altre andare a lavorare è visto ancora come una condanna, come l’extrema ratio in assenza di una famiglia che possa esentare da questo fardello.

C’è questo lato dannoso della cultura familistica da smantellare, certo, e c’è anche la condizione ancora arretrata del nostro lavoro da considerare, perchè siamo il Paese dei lavoretti, delle professioni a bassa produttività, del record negativo di laureati, e spesso queste donne sposate, il più delle volte poco istruite, troverebbero, volendosi occupare, solo posti a bassissimo valore aggiunto, pagati pochissimo, accompagnati da un welfare familiare aziendale o statale ridotto rispetto agli standard europei. E allora certamente la prospettiva di “avere una carriera”, come si dice nei Paesi anglosassoni, suonerebbe ironicamente surreale e improbabile, e certo non molto più allettante del dedicarsi a tempo pieno alla famiglia.

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