Per rendere l’idea dell’andamento dei nuovi Pir, i Piani individuali di risparmio introdotti con l’ultima legge di Stabilità, bisogna partire da un dato. Il governo prevedeva che la raccolta legata a questi nuovi strumenti finanziari sarebbe stata di 1,8 miliardi entro la fine del 2017. I dati di Assogestioni parlano invece di 3 miliardi già raccolti alla fine di aprile e di un trend che dovrebbe portare a superare la cifra di 10 miliardi entro l’anno. Il boom è nella domanda ma anche nell’offerta: sono arrivati a 38 i Pir che si possono sottoscrivere, 15 dei quali sono conversioni di fondi già esistenti.
La particolarità dei Pir è che prevedono che il 70% siano indirizzati all’acquisto di azioni o obbligazioni italiane. Di questo 70%, il 30% (quindi il 21% del totale) deve essere indirizzato verso le piccole e medie imprese. Sono quindi un “ponte” tra imprese e finanza che è sempre stato uno dei difetti del sistema italiano, dove il tasso di risparmio è alto ma dove oltre il 30% rimane in circolante e depositi. Per convincere gli italiani a sottoscrivere i Pir sono stati messe in campo agevolazioni robuste, ossia un’esenzione fiscale per chi tiene i titoli per almeno 5 anni; è inoltre prevista un’esenzione dalla tassa di successione. Ogni persona fisica può investire fino a 30mila euro per 5 anni, ossia fino a 150mila euro. La rischiosità degli investimenti può variare a seconda della componente riservata alle obbligazioni e all’allocazione del 30% non vincolato alle imprese italiane. È consigliabile investire in questi strumenti una parte dei propri investimenti, in una logica di diversificazione.
Agli effetti che questi strumenti stanno avendo sul sistema economico italiano è stato dedicato l’incontro “2017 Fenomeno Pir”, organizzato da AcomeA e Banco Desio. Effetti che sono già evidenti in Borsa. Dall’inizio dell’anno l’indice Ftse Aim, che rappresenta le aziende medio-piccole, è salito del 23,95 per cento. L’indice Ftse Star (il segmento successivo, per taglia delle imprese) del 28,11 per cento. Per fare un confronto, il Ftse Mib, l’indice delle aziende maggiori, ha segnato un più contenuto +8,97 per cento. È il segno di una vitalità delle acquisizioni nelle imprese più tipiche italiane.
Altro dato che segna un’inversione di tendenza è quello delle nuove quotazioni. Se tutto il 2016 ha segnato 20 ammissioni e 14 Ipo in Borsa Italiana, dall’inizio del 2017 le ammissioni sono già 15, di cui 8 su Aim Italia, 6 sul segmento Mta e una sul Miv. Secondo le previsioni di IR Top, ci saranno almeno 50 nuove quotazioni sull’Aim entro il 2018. Ultimo dato positivo: la presa d’assalto del programma Elite di Borsa Italiana, che prevede corsi di formazione per le aziende e che spesso precede le quotazioni. Il programma, attivo da alcuni anni, ospita 580 società da 26 Paesi, di cui 450 italiane. Quelle entrate dall’inizio del 2017 sono oltre cento. Il rischio che tutto questo movimento sia una bolla, ha fatto notare il moderatore dell’incontro, il direttore di Class Cnbc Andrea Cabrini, è limitato dalla lunga durata degli investimenti nei Pir, ossia al fatto che le agevolazioni fiscali, per diventare effettive, necessitano di un investimento di almeno cinque anni.
Il successo dei Pir è nei dati: il governo prevedeva una raccolta di 1,8 miliardi di euro nel 2017 e si è già arrivati a 3 miliardi. Il segmento Aim delle piccole imprese è salito del 23,9% dall’inizio dell’anno. Gli Ipo all’Aim saranno 50 entro il 2018. E dall’inizio dell’anno oltre 100 piccole e medie imprese si sono iscritte al programma Elite di Borsa Italiana
Secondo Maurizio Ballabio, vice direttore generale di Banco Desio, «la clientela sta apprezzando il valore “patriottico” dei Pir, perché percepisce che gli effetti possono essere un rafforzamento delle aziende italiane e quindi un aumento dell’occupazione». Secondo Ballabio questi strumenti di finanziamento, alternativi al credito bancario, «non tolgono mercato alle banche», perché «se il prospetto di crescita di un’azienda è molto forte, il credito bancario non riesce a seguire l’azienda nello sviluppo oltre un certo limite», specie se l’equity, cioè il capitale della società, è basso.
Roberto Brasca, vice presidente di AcomeA Sgr, ha invece delinato i requisiti che deve avere un’azienda per essere ricompresa all’interno di quelle finanziate attraverso i Pir. A essere valutati, ha detto, sono il progetto imprenditoriale, i numeri che emergono dai bilanci e la componente manageriale, che deve essere robusta.
Diversi possono essere i vantaggi per le imprese che si aprono alla finanza. Per chi si quota, ha aggiunto Brasca, oltre all’approdo di capitali, c’è anche lo sviluppo commerciale dovuto alla maggiore notorietà. Una testimonianza di come l’apertura ai mercati possa cambiare a fondo la natura di un’impresa è arrivata da Marco Astorri, socio fondatore di Bio-On, società quotata alla Borsa Italiana. La società, ha spiegato Astorri, era partita con l’acquisto di alcuni brevetti per lo sviluppo di un nuovo tipo di bio-materiali, in particolare di plastiche biodegradabili. La svolta è arrivata nel 2013, quando lo stesso Astorri è stato avvicinato, in occasione di un premio assegnato a Bio-On a Londra dal Financial Times, da un rappresentante dell’Aim londinese. Qualche mese dopo una nuova proposta di quotazione è arrivata dall’Aim di Borsa Italiana. L’Ipo, una volta realizzato, nel 2014, ha permesso alla società di quotarsi con un valore di 50 milioni di euro nel 2014. Oggi la capitalizzazione è arrivata a 350 milioni di euro. «In Italia ci sono tantissime società con grandi tecnologie che tuttavia non crescono perché non si aprono al mercato. Noi siamo partiti con due persone. Ora siamo in 40 con un indotto di altre 50 persone. Entro fine anno ne assumeremo altre 40» ha detto Astorri, che in seguito ha descritto le difficoltà delle imprese per quotazioni come superabili. «Il meccanismo può apparire costoso e macchinoso, ma negli Usa i costi sono ancora maggiori. Negli anni abbiamo imparato che la “invasività” dei consulenti che accompagnano alla Borsa è salutare. E che se all’inizio si ha l’impressione di perdere tempo, a causa degli incontri con gli investitori, col tempo si apprezzano gli stimoli e le occasioni di chiarirsi le idee che questi incontri generano».
«In Italia ci sono tantissime società con grandi tecnologie che tuttavia non crescono perché non si aprono al mercato. Noi siamo partiti con due persone. Ora siamo in 40 con un indotto di altre 50 persone. Entro fine anno ne assumeremo altre 40»