Gran Bretagna al voto, la Brexit è ormai l’ultimo dei problemi

Anche per questo i laburisti di Corbyn rimontano nei sondaggi, dice Cameron Tait della Fabian Society, think tank del principale partito di opposizione. In pochi scommettono su una sconfitta del primo ministro May, ma il risultato rischia di indebolirne la leadership

A una settimana dalle elezioni politiche anticipate, in Gran Bretagna la leadership di Theresa May appare meno granitica di prima. Il capo del governo conservatore è in testa a ogni sondaggio per ottenere un nuovo mandato: la May vuole la strada spianata per trattare senza esitazioni l’uscita del suo Paese dall’Unione Europea. Nemmeno un anno fa, il 23 giugno del 2016, i cittadini britannici hanno votato per la Brexit, al referendum voluto dal suo predecessore David Cameron nell’intento di chiarire il quadro politico, soprattutto all’interno del suo partito diviso sul tema europeo. Ma l’azzardo di Cameron, contrario alla Brexit e quindi costretto a dimettersi una volta constatato il risultato popolare, è uno spettro che si aggira oggi anche alle spalle del nuovo primo ministro. Quando la May ha sorpreso tutti chiedendo le elezioni anticipate per l’8 giugno, era la metà di aprile, il partito conservatore schiacciava quello laburista nei sondaggi, anche perché il leader progressista Jeremy Corbyn è sempre stato considerato un outsider non adatto a guidare il governo di una delle principali potenze finanziarie e militari mondiale. Secondo il sondaggio commissionato allora dal Guardian erano 44% a 26%. L’ultima rilevazione YouGov di maggio porta il distacco al 42%-39%, anche se altri sondaggi sono meno generosi con i laburisti. Una chiave per capire che cosa è maturato in questa campagna elettorale oltremanica è questo: la Brexit non è stata il tema centrale. L’uscita della Gran Bretagna dall’Unione europea è un dato talmente assodato che il partito indipendentista che più l’ha voluta, l’Ukip di Nigel Farage, rischia di scomparire dalla mappa elettorale. “In pochi scommetterebbero contro la vittoria dei conservatori con una maggioranza chiara – spiega a Linkiesta Cameron Tait, della Fabian Society, think tank laburista di Londra -. I voti conservatori sono stati sottostimati anche dai sondaggi del 2015. Ma probabilmente tutti i partiti resteranno alla fine delusi dal risultato”. E lì si capirà se sarà hard o soft Brexit.

Le elezioni di giovedì prossimo potrebbero rappresentare un ‘secondo’ referendum sulla Brexit oppure è un risultato ormai archiviato?
Nessuno dei due principali partiti si è impegnato a ribaltare il risultato del referendum di un anno fa. Da quando Corbyn ha impegnato i Laburisti ad accettarlo votando a favore dell’articolo 50. Solo i liberal-democratici sono rimasti a sostenere le ragioni del ‘remain’, ma non sono riusciti a raccogliere sostegno, tanto che probabilmente perderanno dei seggi.

Ma la Brexit è stato il principale tema della campagna elettorale?
Sorprendentemente no, e questo sembra avere intrappolato gli strateghi conservatori. Il primo ministro ha presentato le elezioni anticipate come una scelta fra la sua leadership ‘forte e stabile’ e il caso e la debolezza che caratterizzerebbe Corbyn, che sta chiedendo una Brexit più moderata con legami più stretti con l’Europa anche dopo l’uscita formale della Gran Bretagna dall’Unione Europea. Ma alla fine, nonostante questa impostazione iniziale, la campagna elettorale è stata combattutta finora su un terreno più familiare. Quello dei servizi pubblici: l’educazione, la sanità, la lotta alla criminalità.

Come dobbiamo leggere, dunque, il recupero dei laburisti negli ultimi sondaggi?
I conservatori hanno cercato di controllare che la campagna elettorale fosse focalizzata sulla leadership forte della May, ma non sono riusciti a controllare la discussione. Ne esce che gli elettori britannici sono molto più preoccupati della qualità delle scuole locali e degli ospedali rispetto alla posizione del Paese sul tavolo dei negoziato con l’Unione Europea. E questo gioca a favore di un rafforzamento dei laburisti. A questo si aggiungano altri due elementi che stanno favorendo i laburisti: la crisi elettorale dell’Ukip e la difficoltà dei liberla- democratici di riprendersi dalla botta del 2015.

Quando la May ha sorpreso tutti chiedendo le elezioni anticipate per l’8 giugno, era la metà di aprile, il partito conservatore schiacciava quello laburista. Secondo il sondaggio commissionato dal Guardian erano 44% a 26%. L’ultima rilevazione YouGov di maggio porta il distacco al 42%-39%, anche se altri sondaggi sono meno generosi con i laburisti

Quindi che tipo di governo potrebbe uscire dalle elezioni?
A dispetto di questo dibattito sulla rimonta laburista, devo dire che in pochi scommetterebbero contro la conferma di un governo conservatore che abbia una maggioranza chiara in Parlamento. Le sofisticate strategie di targeting degli elettori conservatori potrebbero rivelare che i loro voti effettivi sono sottostimati dai sondaggi, come è accaduto appunto nel 2015. Però c’è un’altra possibilità.

Quale?
Che alla fine tutti i partiti restino delusi dal risultato. I laburisti e i liberal-democratici probabilmente perderanno seggi. L’Ukip collasserà. E la May probabilmente raccoglierà meno di quanto ci si aspettasse all’inizio della campagna elettorale. Quindi il panorama post-elezioni potrà apparire molto diverso dalla leadership ‘forte e stabile’ vantata dal primo ministro, la cui figura sarebbe messa in discussione dai conservatori più influenti.

Ma se, e ripeto se, invece il risultato elettorale non portasse a una maggioranza larga o risicata a sostegno di un nuovo governo conservatore che cosa accadrebbe alla Brexit?
Come ho detto prima, in pochi allo stato delle cose scommetterebbero in questo senso. Me nell’eventualità estrema che ne uscisse un hung Parliament, un ‘Parlamento appeso’, conterebbe a quel punto l’aritmetica. Una ‘soft’ o una ‘hard’ Brexit dipenderebbe da accordi oltre i perimetri dei partiti dipenderebbe dal campo in cui si collocheranno i singoli membri del Parlamento, a prescindere dalle loro appartenenze.

Un ultimo chiarimento: come dobbiamo leggere la crisi dell’Ukip, fra i vincitori del referendum dello scorso anno?
Theresa May deve sentirsi sollevata dal fatto che la sua inversione a U sulla Brexit, che ha finito per sostenere, abbia depotenziato la vittoria elettorale dell’Ukip. Certo all’Ukip, passato dal 20% di un anno fa al 4% di cui lo accreditano i sondaggi oggi, non ha giovato aver un nuovo leader come Paul Nattal, protagonista di gaffes imbarazzanti. Nonostante siano marginali in questa campagna elettorale, i membri dell’Ukip possono comunque dire di aver raggiunto il risultato dei risultati: la Gran Bretagna sta lasciando l’Unione Europea.

@ilbrontolo

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