La ricetta per non rischiare di vedersi sostituiti al lavoro, tra qualche anno, da un robot? «L’unica cosa da non fare è studiare e prepararsi per lavori ripetitivi. Gli skills più richiesti in futuro saranno con tutta probabilità la creatività e la capacità di interagire con gli altri, intesa sopratutto come capacità di agire in scenari imprevisti. Queste potrebbero essere aree risparmiate dall’automatizzazione». A dirlo è un guru del settore: Martin Ford, informatico, scrittore, “futurologo”, sopratutto autore del bestseller “Rise of the Robots: Technology and the Threat of a Jobless Future”, libro tradotto in venti lingue che nel 2015 ha vinto il prestigioso Financial Times/McKinsey Business Book of the Year Award, nonché fondatore di una società di sviluppo software in Silicon Valley.
«Oggi i robot sono perfino capaci di comporre sinfonie, dipingere quadri: siamo già molto avanti nell’elaborazione di algoritmi anche capaci di interagire con gli umani. Ma almeno per i prossimi 10-20 anni i settori di servizi alla persona, tutti i lavori per i quali è centrale l’empatia, sembrano più al sicuro degli altri» aggiunge Ford, in Italia in questi giorni per partecipare al Bip Future Forum: tre giorni di eventi, workshop e incontri a Milano, a Palazzo Mezzanotte, per discutere sul futuro dell’economia, organizzati da Bip – Business Integration Partner, la più grossa società di consulenza di matrice italiana.
Gli skills più richiesti in futuro saranno con tutta probabilità la creatività e la capacità di interagire con gli altri, intesa sopratutto come capacità di agire in scenari imprevisti
La lettura di Ford è che alcune caratteristiche rendano la trasformazione che stiamo vivendo differente rispetto a quelle avvenute in passato. Innanzitutto per l’esponenzialità della velocità di progresso: le scoperte scientifiche e tecnologiche che nella storia dell’uomo hanno impiegato anni, se non decenni, per essere perfezionate e diventare di uso comune, oggi si susseguono a ritmi vertiginosi. Un altro aspetto nuovo è quello del progressivo aumento delle capacità cognitive delle macchine, sempre più capaci di prendere decisioni e di ”imparare”. Infine, la pervasività della tecnologia in ogni settore: come accadde a cavallo tra Ottocento e Novecento con l’elettricità, la tecnologia è entrata in ogni settore produttivo, nella realtà quotidiana di ogni azienda, ogni ufficio, ogni attività lavorativa, diventando in breve tempo assolutamente indispensabile. Sarebbe assolutamente impensabile vivere e lavorare senza elettricità, lo stesso ormai accade per la tecnologia.
Il tema più importante, già attuale, è naturalmente come i robot entrano nel mondo del lavoro. Ford ricorda che da molti decenni esistono macchinari che si sostituiscono al lavoro dell’uomo, per esempio per il carico scarico. Tecnicamente hanno “rubato” il lavoro a schiere di facchini e magazzinieri: «Certo la macchina sostituisce il lavoratore umano» conferma Ford «ma in questo caso non dovremmo esserne così preoccupati, in quanto si tratta di un lavoro usurante e non salutare per l’uomo».
Un altro aspetto interessante che Ford sottolinea é che, differentemente dai lavoratori in carne ed ossa, i robot non consumano, non partecipano al ciclo economico. Utilizzarli dunque indubitabilmente conviene alle aziende, che possono così disporre di risorse instancabili e senza alcuna pretesa (niente rivendicazioni per il salario, per le condizioni di lavoro, niente sindacato!), ma il rovescio della medaglia è che, una volta finito il loro “turno”, i robot non tornano in case che hanno dovuto affittare o comprare; non mangiano cibo che hanno acquistato nei supermercati, non vanno in vacanza in alberghi – non fanno insomma girare l’economia. Com’era quel detto di Henry Ford (nb: una fortuita omonimia, nessuna parentela con lo scrittore)? “Pago bene i miei operai perché devono essere in grado di acquistare le auto che producono”: beh, fosse vivo ora, dovrebbe fare i conti col fatto che i potenziali acquirenti dei suoi prodotti non potrebbero di certo essere i macchinari che ora popolano le sue officine.
Certamente giornalisti, musicisti, psicologi non fanno i salti di gioia al pensiero che il lavoro lavoro potrebbe essere svolto tra qualche anno da una macchina
Ma cosa succede invece se il computer sostituisce i colletti bianchi? I giornalisti? Persone con alto livello di istruzione? Questa è la frontiera più controversa. Perchè se siamo più o meno tutti d’accordo che sia un bene che le macchine svolgano i lavori più ingrati, quelli che spaccano la schiena, che tolgono la vista, o espongono al rischio di incidenti, il discorso cambia radicalmente quando si sconfina nel campo dei mestieri “intellettuali”. (Non a caso, nell’intervento successivo a quello di Ford, il chief evangelist di Bip Ivan Ortenzi ha ricordato come i romani avessero in latino due parole distinte per differenziare l’ars, che era l’arte, la professione, il mestiere svolto con un qualche talento, la scienza, dal labor, che invece è il lavoro che comporta sforzo e pena; e sottolineando come in napoletano questa distinzione sopravviva nel verbo ”faticare”).
Certamente giornalisti, musicisti, psicologi non fanno i salti di gioia al pensiero che il lavoro lavoro potrebbe essere svolto tra qualche anno da una macchina – e in effetti, già esistono in via sperimentale software che riescono per esempio a scrivere articoli finanziari al posto di un giornalista. Ma vi sono, ricorda Ford, anche aspetti positivi. Primo fra tutti: la nostra capacità di risolvere problemi aumenta enormemente. Le macchine potenziano il cervello umano, lo ampliano. Permettono di lavorare meno ore; e si apre dunque uno spazio interessante, – in un certo senso un nuovo tempo libero.
La grande sfida sembra quella di riuscire a governare le trasformazioni innescate dalle innovazioni tecnologiche, anziché subirle, attraverso un incessante, lungimirante e ben documentato lavoro di previsione
Nel lungo periodo, Ford ne è convinto, dovremo dividere i lavori dal reddito, attraverso un reddito minimo garantito universale, e aumentando incentivi per l’istruzione. «Non suggerirei mai di evitare il progresso e restare fermi al vecchio», dice lo scrittore: «Bisogna però riqualificare il massimo numero di persone affinché possano lavorare con le nuove tecnologie, e non ignorare la verità: ci saranno via via meno lavori, e bisognerà prendersi cura delle persone che inevitabilmente resteranno indietro».
A chi parla di tassa sui robot risponde: «Non direi che bisognerebbe proprio tassare i robot, del resto come si potrebbero tassare i software che molte aziende usano? Ma c’è bisogno di far slittare la tassazione, meno sul lavoro e più sul capitale e sulle fasce più ricche della popolazione».
Senza tralasciare una stoccatina al mondo delle imprese, a dispetto della platea piuttosto “aziendalista” di Palazzo Mezzanotte: «Il ruolo dei governi è centrale. C’è uno spazio per collaborazione tra governi e aziende: queste ultime però dovrebbero collaborare, e non cercare sempre solo di cercare modi per evitare di pagare le tasse».
Lo scenario è complesso: la grande sfida sembra quella di riuscire a governare le trasformazioni innescate dalle innovazioni tecnologiche, anziché subirle, attraverso un incessante, lungimirante e ben documentato lavoro di previsione. Chissà se la politica e il mondo del lavoro – imprese e sindacati in testa – si dimostrerà all’altezza.