Qualcuno scrisse anni fa il piccolo trattato di ciclosofia, un prontuario di chi usa le due ruote e guarda le città da un altro punto di vista.
Perché la bicicletta è un detonatore di attimi rubati, quelli in cui spesso nascono le migliori idee, a volte perché le trovi per caso.
Ho sempre trovato le due ruote un mezzo privilegiato, metafora perfetta della decisione e della scelta: c’è la parte più cognitiva e strategica, quella in cui pianifichi la strada da percorrere, i semafori da evitare, il modo più rapido per arrivare a destinazione. E c’è quella più istintiva e non troppo consapevole: a un certo punto pedalare diventa gesto ipnotico e senza tempo, come il magico giorno in cui, studiando pianoforte, un passaggio difficile sulla tastiera, che richiedeva la massima concentrazione, si scioglie nella magia dell’automatismo e si trasforma in naturale. Ecco, la bici è questo, esempio perfetto di quello che Daniel Kahneman ha brillantemente distinto in sistema 1 e sistema 2 nel cervello: la mente più razionale – pianificatrice, appunto, e quella più automatica emotiva.
La bicicletta è un mezzo che mi è sempre piaciuto perché chi la usa padroneggia i segreti del pi greco senza necessariamente doverne conoscere le equazioni. È il mezzo più esperienziale e REALE: il ciclista sente, più del pedone, le asperità del terreno e le pendenze nascoste di un viale. Avverte o intuisce la salita, o il falso piano. E fa la fatica umile di sentire il percorso nelle gambe.