Claudio Taffarel, ritratto del portiere di Dio

Le ultime settimane del portiere brasiliano in Italia, ormai più di vent'anni fa: campione del mondo, scaricato dalla Reggiana, devoto cristiano

Reggio Emilia, settembre 1994

L’odore di gasolio e di plastica consunta penetra a fondo nelle narici, contaminando qualsiasi esalazione urbana provenga dai finestrini aperti dell’autobus in partenza. Sull’asfalto del marciapiede la scritta “Fortissima tu sei e noi cantiamo in coro ‘Forza Regia, Regia facci un gol’” sta sbiadendo sotto il caldo sole emiliano: Reggio Emilia è un pugno nella pianura, stretta tra le pretese di grandezza di Parma e il rumore della provincia industriale di Modena. Come tutte le citta d’Emilia, Reggio ha un impianto urbano fondamentalmente medievale: prima la cinta muraria difendeva la città da possibili invasioni, ora, a metà degli anni Novanta, forma il tracciato su cui si muovono i mezzi del trasporto di massa. Dentro, il centro diviene il salotto delle banche e di chi può viverci; fuori, la periferia diviene l’ennesimo dislocamento urbanistico uguale a mille altri lungo lo sprawl padano, il lungo asse metropolitano diffuso che porta da Milano a Rimini.

“La circonvallazione è la sottile linea che divide la ricchezza dalla povertà, il male dal bene. E io, da buon cristiano, devo rimanerci finché questa eterna lotta che mi divora non sarà cessata” pensa Claudio Taffarel, seduto sui seggiolini posteriori dell’autobus, con i vestiti sudici e la barba lunga. Da quando è stato messo fuori squadra dalla Reggiana passa le sue giornate così, percorrendo all’infinito i viali della cintura d’asfalto. Dal Cin, l’imprenditore veneto che, insieme alla famiglia Fantinel, ha rilevato nel maggio del 1993 le quote della Reggiana dalle coop rosse, ha deciso che il posto da extracomunitario occupato dal portiere brasiliano deve andare a una delle rivelazioni del Mondiale statunitense, il nigeriano Sunday Oliseh: Taffarel, da neocampione del mondo, viene trattato come un impiccio burocratico di cui né la Reggiana né il Parma (proprietario del cartellino) intendono farsi carico.

“La mia vita Signore, argilla tenera nelle tue mani perché tu possa darle forma”, si ripete Taffarel, dondolandosi sullo scomodo sedile. “Queste strade di provincia sono piene di avidità e di corruzione. Tanzi, Dal Cin, Fantinel sono il lupo che sbrana l’agnello di Dio”: si sono accordati per lucrare sulla sua cessione, senza nemmeno permettergli di allenarsi con la Primavera. Taffarel chiede di perdonarli e di liberare il suo cuore cristiano dall’odio nei loro confronti. Nel frattempo, sente che il suo posto è lì, su quel seggiolino, a osservare l’umanità che entra ed esce dalle portiere cigolanti. Vorrebbe abbracciarli tutti, uno per uno. Come aveva abbracciato i tifosi che pochi mesi prima, a San Siro, si erano riversati in campo non appena l’arbitro, col suo triplice fischio, aveva sancito la vittoria della Reggiana sul Milan. Aveva voluto stringere a sé anche Pippo Marchioro, che, a luglio, aveva pilatescamente dichiarato di essere molto dispiaciuto dell’addio di Claudio, ma, purtroppo, il calcio era fatto così. Lui stesso, due mesi prima, era stato a un passo dal Torino. La dirigenza gli aveva impedito il trasferimento, blindandolo a Reggio. È il Signore a decidere se stai sedendo sulla panchina giusta o su quella sbagliata. Se sarai in lotta per la retrocessione o per un posto in UEFA.

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