La lezione della Volvo: sarà il protezionismo etico a salvare l’Occidente

Issare dazi e barriere per i prodotti stranieri? È un’arma che si ritorce contro chi la usa e indebolisce il consumatore. Ma se invece punissimo chi non rispetta il lavoro e l’ambiente? Il caso della casa automobilistica svedese dimostra che votare col portafoglio si può (e funziona)

BRYAN THOMAS / GETTY IMAGES NORTH AMERICA / AFP

Il sistema economico ha un difetto di fabbricazione che dopo la globalizzazione non riusciamo più a correggere (almeno da noi). Basta prendere in mano qualunque manuale di economia per accorgersene. I due obiettivi della microeconomia sono quelli della massimizzazione del profitto e del surplus del consumatore. Questo sistema ha avuto un incredibile successo nel perseguire i fini che si era proposto. La crescita mondiale media annuale è attorno al 3%. Viviamo l’epoca dell’onnipotenza del consumatore e mai abbiamo avuto a disposizione una tale varietà e qualità di beni a prezzi contenuti, talvolta persino gratuiti.

C’è una terza cosa che sarebbe importante che però mancava negli obiettivi in premessa e infatti manca anche nei risultati. È quella della qualità e della dignità del lavoro. E se non basta l’intuizione si possono controllare i risultati degli studi sulle determinanti della soddisfazione di vita per vedere che questo terzo obiettivo è quello più importante per i cittadini. È facile capire che se questo obiettivo non esiste in partenza nel modello difficilmente può essere realizzato indirettamente attraverso il perseguimento degli altri due. Per aumentare i profitti e per essere competitivi sul mercato abbassando i prezzi il vaso di coccio è inevitabilmente la qualità e la dignità del lavoro.

Nell’era pre-globalizzazione il riequilibrio era ottenuto grazie al potere contrattuale dei sindacati e alle battaglie dei lavoratori. Nell’era post-globalizzazione quest’arma esiste ancora ma appare alquanto spuntata. Un sindacato che “esagera” nel difendere un costo del lavoro elevato ma dignitoso può indurre l’azienda a delocalizzare in paesi dove il costo del lavoro più basso o comunque rischia di metterla in difficoltà nella concorrenza globale. E l’inquinamento sociale della precarizzazione del lavoro che deriva da questo squilibrio post-globalizzazione non è meno dannoso di quello ambientale perché produce diseguaglianze crescenti, migrazioni incontrollate, rigurgiti nazionalisti e conflitti sociali.

Nessuna forma di protezionismo “nazionalista” può essere né giusta né efficace. L’unica forma di protezionismo giusta ed efficace è quella “etica”. Che consiste appunto nello stabilire il principio che i prodotti che arrivano sugli scaffali dei supermercati (da qualunque zona del mondo arrivino) devono essere premiati/penalizzati a seconda della qualità del lavoro e della loro sostenibilità ambientale

Come si risolve il problema oggi ?

C’è ovviamente una via micro su cui tutti dobbiamo impegnarci. Migliorare la qualità del sistema paese (burocrazia, costi energia, tempi e costi giustizia civile, ecc.) e del nostro sistema formativo, fuga verso la qualità delle aziende con investimenti in tecnologie più evolute che aumentano produttività del lavoro e richiedono maggiori qualifiche sfuggendo alla concorrenza dei “bambini che cuciono i palloni”.

Ma c’è e ci deve essere anche una via macro. Che è fatta da una combinazione di tre fattori. Maggiore consapevolezza ed uso da parte dei cittadini del potere enorme ed ancora fortemente sottoutilizzato di voto col portafoglio (ossia della possibilità di premiare con consumi e risparmi le aziende migliori in termini di dignità del lavoro a parità di qualità e prezzo). Sviluppo delle informazioni sulla qualità del lavoro dei prodotti. E rimodulazione delle imposte sui consumi a saldo zero per le casse dello stato premiando con Iva più bassa i prodotti ad alta dignità del lavoro (e qualità ambientale) e alzando l’Iva sugli altri.

​È tornato di moda di questi tempi il protezionismo come arma di difesa nei paesi ad alto reddito. Nessuna forma di protezionismo “nazionalista” può essere né giusta né efficace perché gli uomini sono tutti uguali e perchè fa scattare le ritorsioni dei paesi colpiti. L’unica forma di protezionismo giusta ed efficace è quella “etica”. Che consiste appunto nello stabilire il principio che i prodotti che arrivano sugli scaffali dei supermercati (da qualunque zona del mondo arrivino) devono essere premiati/penalizzati a seconda della qualità del lavoro e della loro sostenibilità ambientale.

Se in campo ambientale la strategia dei tre fattori è partita da tempo ed ha ormai invertito la direzione di marcia del sistema (fortissima la pressione dei fondi d’investimento che votano col portafoglio sul tema ambientale, sempre più numerose le dichiarazioni di paesi di bando presente o futuro di prodotti inquinanti, di qualche giorno fa l’annuncio della Volvo dell’intenzione di produrre dal 2019 solo motori ibridi o elettrici) nel campo della dignità del lavoro molto va ancora fatto. Sia in termini di sensibilizzazione che di metriche per misurare la qualità del lavoro su scala globale.

In Italia come rete Next vogliamo dare un contributo partendo con EyeOnBuy la piattaforma web multistakeholder (con una governance democratica e condivisa e non con un solo uomo al comando) che intende diventare il TripAdvisor a tre dimensioni (qualità prodotto, dignità lavoro e ambiente) che aiuta i cittadini a votare col portafoglio e a scegliere per il loro interesse di lavoratori le aziende più brave nell’efficienza a tre dimensioni (creazione di valore economico socialmente ed ambientalmente sostenibile). La sfida è partita e chi sa guardare lontano vede quello che altri non vedono perché la palla si sta dirigendo verso la buca.

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