Nonostante sia operativo già da qualche anno, il Fair Play Finanziario continua a generare quel misto di apprensione e confusione che anima le discussioni calciofile sui social. Discussioni che sono destinate a farsi sempre più numerose e convulse sotto l’ombrellone, in quel momento magico dell’anno hiamato “Calciomercato”. Nel momento in cui una squadra stacca corposi assegni per il calciatore di turno, nel giro di un nanosecondo parte la grande domanda: “Ma come fa il tale club a spendere, se c’è il Fair Play Finanziario?”. E non di rado, come tutte le grandi discussioni di una certa portata, accanto a chi si fa certe domande perché vuole (giustamente) saperne di più, c’è il ramo complottista pronto a sbugiardare le ordite trame della Uefa a danno di noi poveri tifosi, che ignari di tutto subiamo un gioco diventato ormai teatrino per ricchi senza più alcuna etica. Lo sanno bene gli stessi protagonisti del calcio, che ne approfittano per gettare benzina sul fuoco: vedi l’ultimo esempio del presidente della Roma James Pallota, che si è chiesto a voce alta come sia possibile che il Milan abbia fatto tutti questi acquisti senza avere soldi.
Eppure, basta fermarsi un attimo e fare alcune considerazioni, per capire meglio cosa succede nel lato finanziario del pallone e sfatare alcuni miti. Ad esempio, leggiamo un attimo cosa ha dichiarato pochi giorni fa alla Gazzetta dello Sport il Managing Director, Financial Sustainability & Research della Uefa Andrea Traverso. Parlando degli obiettivi del FFP, Traverso ha sottolineato che è stato “raggiunto l’obiettivo della sostenibilità, ora c’è quello della competizione nei tornei, della riduzione della forbice per dare equilibrio”. Già, perché chi è ancora convinto che il FFP servisse ad equilibrare la competitività, commette un errore. Le norme volute dal governo europeo del calcio sono state fin da subito tese a creare un calcio più equilibrato a cominciare dai conti, seguendo la parola d’ordine appunto della sostenibilità. Tradotto: se spendi, devi creare un sistema contabile che ti permetta di rientrare dall’investimento in cicli triennali, perché tale è la durata di ogni periodo d’indagine della Uefa stessa sui conti del club.
Di fatto, l’obiettivo di primario Nyon non era quello di livellare la competizione, ma di creare un sistema calcistico europeo volto all’etica economica. Per questo sono stati creati dei paletti finanziari da rispettare, pena multe più o meno gravi. E i primi a pagare sono stati i grandi club, se vogliamo metterla sul piano del confronto tra club ricchi e meno ricchi. Lo ha confermato lo stesso Traverso, spiegando che sono le grandi che hanno problemi: i club di Italia, Francia, Russia, Portogallo hanno raggiunto accordo per rientrare nei parametri”. A questi si sono aggiunti Psg e Manchester City, che hanno cercato la furbata con le sponsorizzazioni gonfiate, sono state punite e “hanno rispettato l’accordo: hanno ricavi enormi, possono agire”.
Ecco che allora la discussione animata su FFP e calciomercato in questi giorni ha quasi preso fuoco, quando si è trattato di commentare il possibile approdo di Neymar al Psg. Un acquisto che, se operato, sarebbe prima di tutto perfettamente in regola con le regole del Financial Fair Play. Proviamo a vedere perché. Il brasiliano ha una clausola di rescissione che lo lega al Barcellona di 222 milioni di euro. Significa che, acquistandolo, il peso del cartellino in mano al Psg sarebbe – nel caso di un contratto superiore ai 4 anni, diciamo 5 anni – di 44,4 milioni di euro. Già, perché come abbiamo avuto modo di spiegare già nel caso dell’Inter qui su LK, quello che conta ai fini del bilancio non è la spesa effettuata – il mero spostamento di denaro dalle casse di un club a un altro – ma conta l’ammortamento, cioè il costo dell’operazione per ogni anno di contratto sottoposto al giocatore in questione. A tale costo, cioè all’ammortamento, va ovviamente inclusa la spesa per l’ingaggio, calcolata al lordo. Se le indiscrezioni di stampa fossero confermate, Neymar prenderebbe uno stipendio di 30 milioni al netto delle tasse, che lordi diventano praticamente il doppio. Quindi possiamo affermare, dati alla mano, che Neymar costerebbe al Psg 104,4 milioni all’anno per 5 anni a cominciare dalla stagione 2017/18.
Si tratta di una spesa sostenibile, per le casse parigine e in termini di FFP? Basta guardare prima di tutto il trend dei ricavi del club. Nell’ultima stagione, il Psg ha registrato un fatturato di 542 milioni di euro – un risultato in aumento rispetto ai 483 milioni del 2015) – con un utile finale di 10,3 milioni di euro contro i 10,5 milioni dell’anno precedente. Un risultato raggiunto in primo luogo grazie alla crescita della cosiddetta gestione caratteristica, cioè di quei ricavi legati a stadio (42,2 milioni di euro contro i 39 del 2015), commerciali (129,2 milioni contro 78,9 dell’anno prima) e televisivi (107,2 milioni contro 85,8 del 2015). Come si vede la crescita maggiore, del 15% ciascuno, è quella legata a tv (70 milioni sono arrivati dalla Champions) e dalla parte commerciale.
Una crescita calcolata escludendo i mitici 200 milioni circa che la Qatar Investment Authority versa ogni anno al club come sponsorizzazione e che vengono registrati come “Altri ricavi”. Parliamo della famosa sponsorizzazione gonfiata ad hoc dai proprietari qatarioti per sfuggire alle maglie del FFP e che è stata ricalcolata dalla Uefa secondo un Fair Value che ha poi portato alle sanzioni al club, rispettate e quindi rimosse. Per certi versi, la punizione della Uefa è servita ai ricchi proprietari guidati da Nasser Al Khelaifi per darsi una regolata e lavorare sulla crescita sostenibile del club. Se guardiamo ad esempio la forbice tra la voce degli altri ricavi e la crescita del fatturato netto – dunque escludendo le plusvalenze da mercato – notiamo che si è allargata sempre più nel corso del tempo: se nel 2012 gli altri ricavi erano di 125 milioni e il fatturato netto di 22 milioni, nel 2013 il rapporto era di 233 milioni contro 399,5, nel 2014 di 270 milioni contro 474, nel 2015 di 205 contro 483, mentre all’ultimo bilancio disponibile è stato di 225 contro 542. Il fatturato del Psg al momento è dunque in grado di assorbire il costo annuale di Neymar, anche dal punto di vista dei limiti posti dalla Uefa. Il FFP prevede che il rapporto tra spese per gli ingaggi non devono valere oltre il 70% del fatturato: al momento, tale spesa per il Psg è del 54%. Inoltre, il presente periodo di monitoraggio copre il triennio 2015/2018, dentro il quale ogni club non può superare il limite dei 30 milioni di passivo aggregato, cioè dei tre bilanci in esame. Se nel 2015/16 il Psg ha registrato come detto 10,5 milioni di utile, per il 2016/17 è previsto un risultato simile, considerando però un fatturato ancora in crescita. Dunque nel 2017/18 i conti possono sforare di almeno 50 milioni di passivo, senza però sbilanciarci troppo su quanto il fatturato potrà ancora crescere.
Non c’è nulla di immorale a comprare un giocatore di calcio a cifre importanti. Perché quando si acquista un calciatore di livello, si acquista un asset, ovvero un bene che può essere monetizzato. Non si compra certo una possibile bolla che non sai mai quando scoppierà, come uno dei tanti giganti del web legati ai social: tempo fa il New York Times parlava di rischio scoppio per la bolla in ambito tech, quando Facebook lanciò l’onerosa offerta d’acquisto da 1 miliardo per annettersi Instagram, cioè il doppio del suo valore. Per non parlare di Twitter, che addirittura non cresce più. Uno come Neymar produce reddito, soldi, ricavi, money, danè, chiamateli come volete.
Possiamo quindi affermare che il Psg ha imparato la lezione, fermo restando che 200 milioni all’anno di sponsorship da parte della QTA non sono pochi. Per fare il grande salto ed aumentare la portata dei ricavi, il club deve continuare ad investire sulla propria immagine, perché è l’ambito con la più alta crescita. Lo stadio parigino del Parco dei Principi è stato oggetto di lavori che lo hanno riqualificato, ma si sa che un impianto più di una certa di soglia di ricavi non può assicurare, mentre la parte broadcasting è legata per lo più alla Champions, alla quale il Psg partecipa ormai ogni anno. Resta dunque la parte commerciale. In questo senso, comprare Neymar può assicurarti il balzo definitivo in avanti. E bisogna mettersi in testa in questo senso che non c’è nulla di immorale a comprare un giocatore di calcio a cifre importanti. Perché quando si acquista un calciatore di livello, si acquista un asset, ovvero un bene che può essere monetizzato. Non si compra certo una possibile bolla che non sai mai quando scoppierà, come uno dei tanti giganti del web legati ai social: tempo fa il New York Times parlava di rischio scoppio per la bolla in ambito tech, quando Facebook lanciò l’onerosa offerta d’acquisto da 1 miliardo per annettersi Instagram, cioè il doppio del suo valore. Per non parlare di Twitter, che addirittura non cresce più. Uno come Neymar produce reddito, soldi, ricavi, money, danè, chiamateli come volete. Lo fa attraverso la propria immagine, visto che siamo nell’era del calcio globale. Per fare un esempio, come ogni anno SportsPro Media ha stilato la classifica dei 50 atleti con il più alto valore commerciale al mondo. Nella top ten ci sono due calciatori: il terzo assoluto è Paul Pogba, il settimo il nostro Neymar grazie agli accordi con giganti del calibro di Nike (che è anche partner tecnico del Psg), Panasonic, Claro, Volkswagen, Gillette. Tutti grandi sponsor che sfruttano l’immagine del calciatore e che sono pronti ad accostarsi anche al Psg, in vista del Big One, ovvero il Mondiale del 2022, di cui il brasiliano sarebbe uomo immagine per gli organizzatori, quella famiglia reale del Qatar che è fondatrice del fondo Qatar Sport Investments, proprietaria del Psg.
E se l’attuale FFP ha cristallizato certe posizioni di potere – sebbene molti club si siano adattati alla realtà diventando macchine da plusvalenze vincenti, come il Monaco campione di Francia e semimfinalista nell’ultima Champions – la Uefa stessa è pronta a introdurre nuove regole come quella Luxury Tax i cui proventi andrebbero redistribuiti al sistema. C’è dunque da sperare che certi giganti continuino a macinare soldi, anche con operazioni “immorali”. Altrimenti chi lo traina poi il sistema stesso?