Le istituzioni europee sono piene di funzionari italiani. E allora perché contiamo poco?

Era dal ’79 che non c’era un presidente italiano all’assemblea di Strasburgo. In Commissione e Parlamento, considerando i funzionari con ruoli apicali, siamo il paese più rappresentato dopo la Germania. Ma per essere protagonisti non contano le poltrone, semmai la qualità degli incarichi ricoperti

Un esercito di funzionari italiani. Direttori generali, capi unità, capi missione: erano anni che nelle istituzioni europee non c’erano tanti connazionali. Certo, il semplice dato numerico non basta. Forse bisognerebbe valutare la qualità delle posizioni ricoperte. È su questo piano, del resto, che si stabilisce il peso specifico di un Paese a Bruxelles. Intanto emerge un aspetto inedito. Con buona pace degli euroscettici, negli organismi Ue sventola il tricolore. E così, quando malediciamo la burocrazia europea, spesso finiamo per prendercela con un funzionario italiano.

I numeri, anzitutto. Qualche mese fa l’ambasciatore Maurizio Massari, rappresentante permanente d’Italia presso l’Unione Europea, ha fotografato la nostra presenza nelle istituzioni Ue durante una dettagliata audizione alla Camera. La recente elezione di Antonio Tajani a presidente del Parlamento Europeo è solo l’ultima nomina di rilievo. «Era dal 1979 che non avevamo un Presidente italiano come capo dell’Assemblea di Strasburgo, ed è un notevole risultato per l’Italia, perché adesso abbiamo italiani nelle tre massime cariche». Il riferimento va ovviamente a Mario Draghi, presidente della Banca Centrale Europea e Federica Mogherini, alto rappresentante per la politica estera. «A questo livello – insiste l’ambasciatore – siamo veramente ben rappresentati». C’è poi una schiera di funzionari meno noti al grande pubblico, non per questo meno importanti. Figure inserite ai più alti livelli nei gangli delle istituzioni comunitarie. Con riferimento alle posizioni apicali in seno alla Commissione europea, l’Italia è il secondo Paese più rappresentato dopo la Germania. Abbiamo 4 direttori generali, 2 vicedirettori generali, 30 direttori e 116 capi unità. Tra le ultime nomine spicca quella di Silvano Presa, che lo scorso novembre è diventato vicedirettore generale presso la Direzione generale del bilancio, un ruolo particolarmente delicato.

Una schiera di funzionari meno noti al grande pubblico, non per questo meno importanti. Con riferimento alle posizioni apicali in seno alla Commissione europea, l’Italia è il secondo Paese più rappresentato dopo la Germania. Abbiamo 4 direttori generali, 2 vicedirettori generali, 30 direttori e 116 capi unità

Al Parlamento europeo l’Italia ha ottenuto lo stesso invidiabile risultato. Con 3 direttori generali, 4 direttori e 30 capi unità siamo ancora una volta il secondo paese più rappresentato. Di nuovo dopo la Germania. E poi c’è il SEAE, il Servizio europeo per l’azione esterna. Qui parlano la nostra lingua 2 direttori generali e 2 direttori. Ma anche 13 capi missione presso le varie delegazioni dell’Unione Europea nel mondo (quattro di loro provengono dalla Farnesina). Anche in questo caso l’Italia è ben rappresentata. Siamo il secondo Paese per numero di funzionari in posizioni apicali, stavolta dietro alla Francia. Numericamente ben presenti, ma non per questo necessariamente protagonisti. Ecco il paradosso. Il numero di posizioni ricoperte nelle istituzioni europee non significa che abbiamo automaticamente un peso rilevante. La forza di un Paese si misura nella capacità di difendere i propri interessi e imporre i temi considerati prioritari. Non solo con il numero di poltrone occupate. È un tema delicato, ma centrale. Come spiega il deputato Daniele Marantelli in un’interrogazione appena depositata a Montecitorio, si tratta di un argomento decisivo anche per rafforzare l’europeismo degli italiani. «Una forte rappresentanza dei nostri interessi – si legge – contribuirebbe a rispondere alla disaffezione dei cittadini italiani sempre più propensi a vedere l’Unione europea come matrigna e non come la propria casa».

L’ambasciatore Maurizio Massari, rappresentante permanente d’Italia presso l’Ue, non si nasconde. «A mio avviso dovremo consolidare i nostri successi sulla qualità più che sulla quantità delle posizioni»

L’ambasciatore Massari conosce bene la situazione. E non si nasconde. «A mio avviso – spiega nell’audizione – dovremo consolidare i nostri successi sulla qualità più che sulla quantità delle posizioni». I nostri rappresentanti in Europa lavorano ogni giorno proprio per questo. L’obiettivo principale è far crescere il numero di vice direttori generali italiani in commissione. Più in generale, spiega Massari, è fondamentale riuscire «a piazzare funzionari italiani nelle posizioni apicali in quelle direzioni generali della Commissione che sono particolarmente delicate per i nostri interessi nazionali». Qualche esempio? La Direzione Generale Home, per dirne una. Organismo che si occupa di affari interni. Oppure la Direzione Generale per la Concorrenza, incentrata sull’unione economica e monetaria. Mettere i nostri uomini nei posti giusti è la vera partita. «Dovremmo fare un’azione mirata più qualitativa che quantitativa».

Nei prossimi mesi le nostre aspirazioni europee avranno un’opportunità da sfruttare. Con l’uscita del Regno Unito dall’Ue, l’Italia ha la concreta possibilità di conquistare nuovo peso specifico nelle istituzioni continentali. In proposito, l’interrogazione di Marantelli è chiara: tra le numerose conseguenze della Brexit, spiega, «va segnalata anche quella relativa alle posizioni occupate dagli alti funzionari britannici». A breve, non essendo più cittadini di uno degli stati membri, perderanno il requisito per ricoprire quei ruoli. E con ogni probabilità dovranno essere sostituiti. Almeno nelle posizioni che rientrano tra i nostri interessi strategici, sarà importante riuscire a gestire il riposizionamento. Un battaglia diplomatica poco nota, lontana dai riflettori, ma fondamentale per decidere il ruolo italiano in Europa.

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